Il cammino del mago

Titolo: La torre di tenebra (The tower of fear). Genere: fantasy, drammatico, fantastico.
Scrittore: Glen Cook.
Editore: Sonzogno.
Anno: 1989.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.



Dopo un classico (Il fu Mattia Pascal), torniamo alla narrativa fantastica, con un romanzo fantasy spurio: La torre di tenebra, libro scritto da Glen Cook nel 1989.

Dico spurio perché siamo ben lontani dal genere fantasy avventuroso di J.R.R. Tolkien, dal fantasy di formazione di J.K. Rowling, dal fantasy eroico di R.E. Howard e pure da quello epico di E.R. Eddison (a proposito, che occorra per forza avere due nomi per scrivere fantasy?).

Difatti, La torre di tenebra punta tutto sulla psicologia dei personaggi, nonché su una trama socio-politico-diplomatica veramente fitta.
In questo senso, l’autore più vicino tra quelli che conosco è probabilmente Steven Erikson.

Ma andiamo subito a vedere la trama de La torre di tenebra, storia ambientata in un mondo immaginario, e specificatamente nella città di Qushmarrah, nella quale agiscono, per farla breve, tra forze contrastanti: gli Erodiani, gli occupanti che anni orsono la conquistarono; la Vivente, la resistenza locale; i Dartar, i guerrieri mercenari provenienti dal deserto al servizio delle forze di occupazione.

Se questo è il triangolo di fondo, i personaggi che vanno a popolarlo sono tantissimi, e a molti di loro è dedicato un punto di vista privilegiato, tanto da avere spessissimo dei cambiamenti di ambientazione o di stile narrativo.

Cito solo i principali: Aaron Habid e la sua famiglia di onesti lavoratori; Nazsif bar bel-Abek, altro lavoratore indigeno, ma dal passato oscuro; Yoseh, giovane guerriero dei Dartar; Nakar, stregone sospeso tra la vita e la morte, che la strega sua amante sta cercando di resuscitare per riprendere il controllo della città; Cado, conquistatore di Qushmarrah e ora governatore militare delle forze di occupazione; Sullo, governatore civile degli Erodiani; il Generale, l’anziano leader della Vivente; Azel, guerriero-sicario tanto testardo quanto scaltro…

… e poi i vari referenti dei vari quartieri di Qushmarrah, i vari soldati Dartar o Erodiani, etc.

Insomma, il quadro è molto variopinto, tanto che per una buona metà del libro (che peraltro è abbastanza lungo) si fatica a orientarsi tra i numerosi nomi, dovendo consultare a più riprese l’elenco di “partecipanti” a inizio volume.
Questo è un difetto non da poco, perché rischia di far desistere dalla lettura un 50% dei lettori, e di far proseguire confuso e poco coinvolto il restante 50%, come per l’appunto é successo a me.

E questo è stato un peccato, perché la trama c’è, l’introspezione psicologica dei personaggi pure, l’ambientazione è ugualmente ben caratterizzata (a tratti sembra davvero di essere a Qushmarrah).
Sarebbe dunque bastato curare maggiormente l’aspetto del coinvolgimento del lettore per ottenere un signor romanzo.

Rebus sic stantibus, invece, La torre di tenebra di Glen Cook rimane un fantasy socio-politico interessante e fuori dal coro dei soliti romanzi fantasy tutti elfi e magie, ma sfortunatamente privo di un certo appeal.
Sufficienza stiracchiata, dunque.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il fu Mattia Pascal.
Genere: commedia, psicologico.
Scrittore: Luigi Pirandello.
Editore: Einaudi.
Anno: 1904.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.


Dopo tre libri contemporanei (Il signore delle illusioni di Tanith Lee, Folle estate di Giulio Pinto e La vampira di Marte della stessa Tanith Lee), ritorniamo ai classici, e lo facciamo con uno dei romanzi italiani più importanti di tutti i tempi: Il fu Mattia Pascal, di Luigi Pirandello, libro pubblicato nel 1904.

Peraltro, si tratta di un libro che ho sempre gradito moltissimo fin dai tempi del liceo, pregno com’è di intelligenza e ironia.

Andiamo subito a tracciarne in breve la trama, in realtà assai fitta, e peraltro raccontata come in un grande flashback: Mattia Pascal, giovane nato e vissuto in un paesino della Liguria, viene a trovarsi nella situazione di doversi inventare una nuova identità, dopo che il ritrovamento di un cadavere che gli somiglia tantissimo lo fa dichiarare morto.

Dapprima intenzionato a tornare in paese per dichiarare a tutti che è ancora vivo (ha appreso la notizia leggendo un giornale sul treno), poi decide di lasciar le cose come stanno, onde evitare i problemi economici e relazionali lasciati a Miragno, incoraggiato in ciò anche da una recente e fortunata vincita al casinò di Montecarlo.

Intorno a Mattia Pascal, tra una vita e l’altra (la seconda sotto il nome di Adriano Meis), girano numerosi personaggi: Oliva e Romilda, ragazze con cui ebbe una relazione, Malagna, l’amministratore infingardo del patrimonio familiare, la vedova Pescatore, Anselmo Paleari, la signorina Caporale, etc.

I temi affrontati da Il fu Mattia Pascal sono diversi: la fortuna, l’amicizia, le possibilità di vita.
Tutti temi importanti, anche se ciò che mi ha fatto amare Pirandello, così come capitato con Italo Svevo, per citare un altro grande della letteratura italiana, è stato lo stile ironico e leggero con cui ha tratteggiato i suoi personaggi e gli eventi loro connessi.

Da sottolineare anche l’importanza storica del romanzo di Pirandello, manifesto del nuovo romanzo novecentesco basato sul prolungamento e sullo studio della figura, romantica e decadente, dell’inetto a vivere (Mattia Pascal ha fama di sfaccendato buono a nulla), inserito però nel nuovo contesto economico.

Se per D’Annunzio la vita era arte ed estetismo, per Pirandello l’arte letteraria è vita (come egli ebbe modo di dire: “la vita o si vive o si scrive”).

Come sempre i gusti personali fanno la differenze nel gradimento di questo o quello scrittore o libro, ma di mio ho sempre trovato che Il fu Mattia Pascal è un romanzo intelligente, ricco e assai gradevole nel suo incedere… oltre che un libro che può insegnare qualcosa a chi lo legge.

Fosco Del Nero


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Titolo: La vampira di marte (Sabella).
Genere: fantascienza, horror, drammatico, psicologico.
Scrittore: Tanith Lee.
Editore: Newton Compton.
Anno: 1980.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


Da poco ho recensito un libro di Tanith Lee, ossia Il signore delle illusioni.
Si trattava di un libro che avevo in casa da parecchi anni, e che avevo tentato di leggere da adolescente, rimanendone tuttavia deluso e interrompendo la lettura.

Con la maggiore pazienza della maturità sono riuscito a finirlo…
… ma anche stavolta non mi è piaciuto.

Avevo deciso di lasciar perdere Tanith Lee, dunque, considerandola poco affine al mio gusto, benché scrittrice importante e affermata.
Su consiglio di un lettore del blog, tuttavia, mi sono accostato a La vampira di Marte, testo che ugualmente avevo a casa de anni: stavolta il risultato è stato migliore, per quanto non entusiasmante.

Intanto, il genere è cambiato, coerentemente con la grande flessibilità della scrittrice, che spazia tra fantascienza, fantasy e horror.

Se Il signore delle illusioni si situava tra fantasy e drammatico, La vampira di Marte si sistema tra fantascienza e drammatico. Verrebbe quasi da dire horror, dal momento che, come testimonia il titolo italiano (peraltro mediocre), l’argomento centrale del romanzo è il vampirismo, tuttavia il focus dell’opera è più introspettivo-psicologico che orrorifico.

Ma andiamo a vedere in grande sintesi la trama de La vampira di Marte: Sabella Quey è una ragazza che vive su Novo Marte, pianeta colonizzato dall’umanità in un imprecisato futuro, ma che, soprattutto, è una vampira: a un certo punto della sua vita, difatti, ha sentito la necessità di nutrirsi di sangue umano, fatto che abbina immancabilmente al sesso, nel senso che essa attira gli uomini in un rapporto da cui lei si nutrirà e che invece loro dimenticheranno, conservando solo una vaga sensazione di piacere.

Le cose per Sabella si complicano quando uccide per sbaglio il suo amante Sabbia Vincent, che verrà cercato dall’inquietante fratello Jace Vincent.

Il libro è certamente ben scritto, e l’autrice riesce a catturare abbastanza bene l’attenzione del lettore, anche senza la forza trascinante di altri romanzi.
Detto che l’elemento fantascientifico alla fine è ridotto allo sfondo del paesaggio, e che quello orrorifico sta più nel genere vampiresco che non nella narrazione, La vampira di Marte risulta interessante per l’aspetto introspettivo del personaggio di Sabella, a cui poi si uniranno le incerte motivazioni di Jace.

Nel complesso, La vampira di Marte di Tanith Lee non mi è dispiaciuto, anche se non mi ha esaltato.

Fosco Del Nero


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Titolo: Folle estate. Genere: commedia.
Scrittore: Giulio Pinto.
Editore: Gruppo Albatros Il filo.
Anno: 2011.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.


Il libro recensito quest’oggi è il romanzo di un giovane scrittore italiano, Giulio Pinto, che proprio nel 2011 è uscito in libreria, edito dal Gruppo Albatros Il filo, con Folle estate.

Andiamo subito a vedere in grande sintesi la trama del libro.
Folle estate racconta le vicende estive di una coppia, Samuele e Silvia, il primo vicecommissario e la seconda insegnante.
Passioni dei due: la Juventus nel primo caso e l’ippica nel secondo.

Questi quattro campi (questioni di polizia, questioni di scuola, questioni di calcio e questioni di cavalli) sono i principali argomenti del romanzo, che con le sue 360 pagine è piuttosto lungo, anche se affiancati da tutta una serie di episodi minori.

Curiosamente, quasi tutti legati alla delinquenza… con i protagonisti della storia che sono i primi a non rispettare la legge.
Ecco così che si assiste in rapida successione a tutto un repertorio di scorrettezze morali e legali, come: concorsi truccati, commissari d’esame corrotti, scherzi ad personam con l’autovelox, uso di sirene fuori servizio, professori che fanno i compiti d’esame ai ragazzi, spacciatori non arrestati per fare favori ad amici, corruzione di finanzieri, truffa di quadri, trafugamento di beni artistici nazionali, corruzione di presidi, multe non messe a motociclisti amici che andavano a 150 all’ora, etc.
Forse l’apice lo si raggiunge con una sorta di una corruzione-estorsione incrociata tra un medico e un poliziotto.

Insomma, il quadretto etico che ne esce non è proprio dei migliori (per non dire che è squallido), specie perché a fine testo esso viene rafforzato dalla morale per cui c’è sempre qualcuno che la fa più grossa di noi (nella fattispecie i delitti di stato), per cui al confronto le nostre scorrettezze sono meno importanti e non ce ne dobbiamo curare troppo e curarci solo dei nostri interessi.

Sfortunatamente la bassezza morale dei contenuti nonché la grande noia degli argomenti principali (ippica e Juventus su tutti) non sono gli unici difetti di Folle estate, che purtroppo si distingue anche per una punteggiatura assai zoppicante tipica degli scrittori esordienti (e degli editori senza editing), per un uso eccessivo dei punti esclamativi, per numerosi errori sulle maiuscole, per una gestione del tempo assolutamente poco efficace (paragrafi lunghi decine e decine di pagine senza interruzioni, neanche di una sola riga di separazione, e pur in presenza di salti temporali netti), per un narratore onnisciente, invasivo e spesso inopportuno…

… ma soprattutto, e questo a mio avviso è il principale punto dolente dell’opera, per un senso dell’umorismo assai scarso nonché per dei dialoghi assolutamente balbettanti e poco credibili in un duplice senso: il primo è un altro tipico errore degli esordienti, ossia il far dire ai personaggi le cose che il lettore deve sapere, senza tenere conto del fatto che il dialogo in quel contesto è insensato (perché magari il personaggio che ascolta dovrebbe già sapere quelle cose o perché comunque una persona che parla normalmente non si esprime in toni informativi tipo un telegiornale o un’enciclopedia).

Il secondo è che essi sono sovente improbabili anche per la saccenteria mostrata in essi, con discorsi lunghissimi, arzigogolati e davvero inverosimili sui più dotti argomenti: geografia, zoologia, medicina, storia, etimologie greche e latine, col tutto che dà l’idea di un autore che cerca di impressionare il lettore con qualche sprazzo di conoscenza.

Si noti peraltro che nel testo capita spesso che tali dialoghi “enciclopedici” siano affiancati a discorsi al contrario decisamente terra terra, per non dire rozzi, fatto che acuisce ulteriormente il senso di inverosimiglianza.

Forse l’unica cosa che si salva di Folle estate è una discreta padronanza della lingua di chi scrive, nonostante le ingenuità stilistiche di cui si è detto.

La conclusione della recensione è semplice: non vi consiglio di leggere Folle estate. A meno che, magari, non siate appassionati di ippica o di immoralità miste.

Fosco Del Nero


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