Il cammino del mago

Titolo: Io sono Rossamund - Monster blood tattoo 1 (Monster blood tattoo - Book 1 - The foundling).
Scrittore: D.M. Cornish.
Genere: fantasy, fantastico, avventura.
Editore: De Agostini.
Anno: 2006.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


Mentre alcuni libri li punto da lontano, perché ne conosco l’autore o la fama, altri mi capitano addosso come per caso, e così è stato per Io sono Rossamund, primo romanzo della trilogia Monster tattoo di D.M. Cornish, che ho adocchiato in un supermercato in una cesta di vecchi libri scontati e ho poi preso al volo.

Anzi, ad esser più preciso nella suddetta cesta ho adocchiato il secondo e il terzo libro della trilogia, ossia Luci dell'impero e All'ombra dell'imperatore… per poi recuperare in separata sede il primo dei tre libri, Io sono Rossamund, il quale è l’oggetto della recensione odierna.

Iniziamo subito ad evidenziare una particolarità di questo libro: piuttosto corposo dall’esterno, è in realtà meno sostanzioso di quanto non sembri, giacché su 450 pagine circa, 330 sono romanzo, e quasi 120 sono pagine di appendice, tra vocabolario, mappe, calendario, disegni di soldati imperiali, disegni di navi, etc.

Si dà il caso, infatti, che D.M. Cornish sia disegnatore, oltre che scrittore, e pure discretamente dotato su ambo i fronti.

Fatta questa ricca introduzione, passiamo alla trama sommaria di Io sono Rossamund: Rossamund è un orfano che vive presso la Stimata Società Nautica per Trovatelli di Madame Opera, che non è altro che un orfanotrofio in cui vengono accolti dei bambini, i quali vengono poi educati col fine di piazzarli presso alcuni lavori dell’Impero, quelli per i quali si dimostrano più portati. 
Abbiamo così educatori, insegnanti, e ragazzi di varie fasce d’età, tra cui Rossamund, che curiosamente porta un nome da ragazza.
Tra i vari personaggi presenti in questa fase della storia, abbiamo Gosling, il Maestro Fransitart, Verline.
Nella seconda parte, con Rossamund fuori dall’orfanotrofio e destinato ad un lavoro come lampionaio, conosciamo invece Capitano Poundich, Europe e il suo factotum Licurius, l’autista Fouracres, e altri ancora.

Il bailamme è discreto, nutrito anche dai numerosi mostri che si incontrano lungo il cammino, dal momento che Io sono Rossamund è un fantasy puro, e anche assai vivace.

Non è un fantasy campato per aria, però, e anzi Cornish crea letteralmente un mondo, di cui la ricca appendice ne è una rappresentazione: abbiamo una struttura sociale e politica, abbiamo diverse razze, tanti lavori socialmente utili, abbiamo tante mappe e tanti disegni, nonché tantissimi nomi un po’ bizzarri, che immagino siano costati un certo impegno al traduttore di questo fantasy assai fuori dalle righe, che non credo abbia avuto un gran successo – non in Italia, almeno – ma che ha dalla sua parecchi assi nella manica, tanto che sono contento di aver preso la trilogia in blocco, e tanto che il secondo volume, Luci dell'impero, non tarderà ad essere letto.

Osservazione finale: vanno bene le saghe, le trilogie e le pentalogie (ormai sembra che gli scrittori siano incapaci di scrivere meno di tre romanzi), ma un singolo libro deve avere perlomeno una fine.
Magari una fine non “definitiva”, ma almeno parziale, ciò che pare sia diventato cosa rara… e anche Io sono Rossamund non fa eccezione: si interrompe quando è terminata un’avventura, ma proprio all’inizio di un’altra, il che non è una fine degna di un romanzo.

Fosco Del Nero


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Titolo: I custodi di Slade House (Slade House).
Scrittore: David Mitchell.
Genere: fantastico, drammatico.
Editore: Frassinelli.
Anno: 2015.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


David Mitchell è un nome difficile da scordare dopo che si è letto (e prima ancora, visto al cinema) Cloud Atlas - L’atlante delle nuvole, un romanzo che più che un romanzo è una sinfonia.

Dunque, altri suoi libri, come questo I custodi di Slade House, non possono non essere accostati con aspettative di originalità e di profondità… che in questo caso sono state solo in parte soddisfatte, e vedremo perché.

Come prima cosa, gli estremi: I custodi di Slade House, edito da Frassinelli, è un libro di circa 230 pagine di stampa  media, di genere difficilmente definibile: siamo chiaramente nel fantastico, e siamo in mezzo ad una storia di fantasmi, come peraltro anticipa il titolo stesso del libro, che in originale è semplicemente Slade House in omaggio all’antico modo di intitolare le storie di fantasmi o di case possedute.

Tuttavia, tutto quello che c’è nel mezzo è originale e inaspettato… proprio come ci si aspetterebbe da David Mitchell, scrittore certo non banale; uno di quegli scrittori, anzi, che ti sa sorridere pensando o sentendo quel luogo comune per cui tutto sarebbe stato già detto o scritto.

E invece no.

Ecco in sintesi la trama de I custodi di Slade House, libro che si suddivide in cinque parti, distanti ciascuna nove anni, e aventi ciascuna un diverso protagonista centrale… nonché due coprotagonisti, per dirla così, coloro che poi sarebbero i “custodi” di Slade House (ma custodi da che punto di vista? Il titolo italiano è un po’ campato per aria, occorre dire): Slade House è un’antica casa padronale, con palazzo e rigoglioso giardino, situata nel bel mezzo di Londra, che ha una caratteristica interessante, tra le altre: non dovrebbe esistere, giacché era stata colpita dai bombardamenti tedeschi nella seconda guerra mondiale e, una volta distrutta, sulle sue ceneri erano state costruite altre vie e altri palazzi.

Eppure, esiste, e ogni qualche tempo qualcuno la vede e vi si avventura dentro, trovandovi diversi personaggi, che però son tutti riconducibili a Jorah e Norah Grayer, due gemelli nati più di un secolo prima e ancor ben vivi… a differenza di coloro che si sono avventurati in Slade House.

I custodi di Slade House, pur avendo una trama che sarebbe tecnicamente da horror, non lo è nella sostanza, anche per via dello stile acuto e brillante di David Mitchell, che non dico che fa sembrare il tutto una commedia, ma poco ci manca.

Lo stile di Mitchell è peraltro il criterio con cui l’opera va valutata, o meglio, con cui la valuterà il singolo lettore: se lo stile è gradevole agli occhi di chi legge, risulterà gradevole tutta l’opera, che ne è letteralmente impregnata, e viceversa.
Persino l’originalità della storia si inchina a tale fattore, dal mio punto di vista.

Personalmente, io ho gradito l’uno e l’altro, anche se devo dire che Cloud Atlas - L’atlante delle nuvole sta su un livello superiore rispetto a questo I custodi di Slade House, libro comunque di buon valore e altra prova del talento letterario e immaginifico di David Mitchell.

Fosco Del Nero


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Titolo: I falsi pellegrini - Trilogia Templare 1 (The templare trilogy - 1 -  The false pilgrims).
Scrittore: Nicholas Wilcox.
Genere: drammatico, storico, avventura.
Editore: Edizioni Il Punto d’Incontro.
Anno: 2000.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.



Bentrovati su Libri e Romanzi per una nuova recensione: dedicata, quest’ultima, al libro I falsi pellegrini, scritto da Nicholas Wilcox e primo romanzo della Trilogia templare.

Il nome della trilogia, ma anche del libro, fa intuire dove ci si sta recando e in quale contesto: parliamo di cavalieri templari, di crociate, di Terra Santa e di persone che si fingono pellegrini.

Per un motivo non da poco, e anzi persino fantastico-mitologico: recuperare l’arca dell’alleanza di cui si parla nella Bibbia e consegnarla all’ordine dei Templari, in difficoltà dopo che il suo gran maestro, così come tutti cavalieri che non sono riusciti a fuggire, è stato imprigionato dal Re di Francia e dal Papa, complici in tale intento.
La missione di recupero è affidata a due soli cavalieri, Vergino e Beaufort, cui si aggiungono come collaboratori un giovane, Luca, e il suo servo, Huevazos.
Ovviamente, come da copione, tale missione è contrastata: gli avversari dei Templari, per pararsi da questo eventuale colpo, mandano loro dietro tale Lotario de Voss, cavaliere tedesco di raro cinismo e cattiveria… il quale peraltro pare avere un conto aperto con Beaufort, risalente ai tempi di Acri, quando la città cadde e finì in mano saracene.

Detto della trama sommaria, che ci porterà in giro tra Europa, Asia Minore e Africa, veniamo al commento del testo: l’ambientazione è bella e credibile, e la ricostruzione storica buona (ovviamente al netto di eventi e personaggi inventati).
I personaggi sono caratterizzati discretamente, anche se in modo leggermente stereotipato…
… e in effetti questo è il difetto principale del libro: è tutto un po’ stereotipato: i buoni cavalieri in missione, il bravo ragazzo aiutante che si innamora della brava ragazza in difficoltà, il servo fedele ma un po’ gretto, il cattivo tedesco (chissà perché nella metà della letteratura i cattivi sono sempre tedeschi), gli intrighi di palazzo, tradimenti e contro-tradimenti.

Insomma, I falsi pellegrini non porta molta originalità e innovazione, per utilizzare un eufemismo.

E, come dico sempre, quando un’opera non si distingue per originalità, deve per forza distinguersi per un’ottima esecuzione.
I falsi pellegrini  ce la fa a cavarsela?

Direi di sì, almeno per conquistarsi una stretta sufficienza, nel senso che la scenografia è ben tinteggiata, e mantiene vivo un accettabile livello di interesse nel lettore.

Sufficienza risicata, dicevo, e nulla più, tanto che non sarei andato a leggermi gli altri due libri della trilogia (ma non si usa più scrivere libri singoli, si va per forza alle trilogie, quadrilogie, pentalogie, etc?)… se non avessi già avuto a casa, regalatomi, pure il secondo libro, Le trombe di Gerico (per la cronaca, la trilogia si chiude con Il sangue di Dio).

Appuntamento col secondo romanzo, dunque, per quanto sarà difficile che Nicholas Wilcox mi convinca a leggere pure il terzo.

Fosco Del Nero


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Titolo: Sulle navi pirata - Time machine 3 (Sail with pirates - Time machine).
Scrittore: R Jim Gasperini.
Genere: librogame, avventura, storia.
Editore: E.L.
Anno: 1984.
Voto: 6.
Dove lo trovi: nel mercato dell’usato.


Dopo aver letto i primi due libri della serie di librogame Time machine, ossia L’età dei dinosauri e Le sorgenti del Nilo, è arrivato il turno del terzo libro: Sulle navi pirata.

È cambiato l’autore, essendo passati a tale Jim Gasperini, il quale credo che abbia scritto solo questo librogame, almeno nelle pubblicazioni E.L., e inoltre siamo passati a un’ambientazione del tutto differente: dopo l’era dei dinosauri e dopo l’esplorazione del continente africano, siamo ora alle prese con i pirati del XVII secolo, tra Cuba, Bahamas, Hispaniola (isola ora suddivisa tra Haiti e Repubblica Dominicana), Portorico e Isole Vergini.

Insomma, siamo nel Mar dei Caraibi, ma soprattutto siamo tra esploratori, pirati e avventurieri, con lo scopo dell’avventura che è quello di ritrovare un galeone affondato in quegli anni, e che si dice sia affondato con un grande tesoro, tra argento e antichi reperti, la Conception, abbreviazione di Nostra Signora dell’immacolata concezione.

Secondo obiettivo della missione: scoprire perché ci chiamano Lucky Century.

La struttura del libro è identica a quella dei due che lo hanno preceduto, e immagino sia la medesima in tutta la serie Time machine: non c’è da strutturare un personaggio, né si usa un personaggio già fatto, non si lanciano dadi, non si distribuiscono punti tra caratteristiche varie… si scelgono solamente i paragrafi nelle varie scelte proposte.

Struttura semplice, dunque, e ugualmente lo stile dell’opera, di questa opera e della serie in generale, è semplice e apparentemente destinato a un pubblico giovane (tra l’altro le altre serie di librigame destinate a un pubblico più giovane hanno il medesimo formato breve: penso a Detective Club, ma anche ad Avventure stellari).

Devo dire in ogni caso che finora ho gradito tutti e tre i libri, quale più e quale meno, e anche questo Sulle navi pirata ha un suo perché, con la valutazione che è sufficiente o poco più che sufficiente.
Da sottolineare anche che il libro è arricchito da numerose illustrazioni ben caratterizzate.
Passiamo ora ai prossimi della lista, anch’essi di ambientazioni assai differenti: Selvaggio west e Missione a Varsavia.

Fosco Del Nero


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Titolo: La civiltà del vento (Low-flying aircraft and other stories).
Scrittore J.G. Ballard.
Genere: racconti, fantascienza, fantastico.
Editore: Mondadori.
Anno: 1976.
Voto: 4.5.
Dove lo trovi: qui.


Finora non avevo mai letto alcun libro di J.G. Ballard, ma solamente un racconto incluso nella raccolta Incidente a Leonta City… che peraltro non mi era piaciuta troppo.

Il primato spetta dunque a La civiltà del vento, a sua volta racconta di racconti, ma stavolta di un solo autore: James Graham Ballard, solitamente abbreviato in J.G. Ballard.

I racconti, per la precisione, sono otto, e sono i seguenti:
- La civiltà del vento,
- Il pastore aereo,
- L’astronauta morto,
- Il bombardiere del sogno,
- Vita e morte di Dio,
- Il più grande show televisivo mai visto,
- Gli invasori,
- Bambin prodigio.

Il genere è quello tipico della fantascienza di decenni fa, per quanto non troppi decenni, dal momento che il testo è del 1976: siamo sulla fantascienza molto mentale, oscillante tra scienza e psicologia.

La valutazione l’avrete probabilmente già vista in alto, per cui ora passerò a motivare un tale voto così basso: semplicemente, la raccolta di racconti è noiosa, con personaggi mai ben caratterizzati, eventi poco verosimili e coinvolgenti.

Su sette racconti, peraltro tutti corti ad eccezione del primo, lungo per 70 delle 160 pagine totali e dunque una sorta di romanzo breve, solamente tre hanno un qualche interesse iniziale, ma sono svolti male.

Il fatto paradossale è che in alcuni casi, Ballard parte da un’idea originale e interessante, persino brillante, ma poi, semplicemente, non la sa eseguire a dovere, perdendosi in concetti da luogo comune o in banalità prive di profondità.

E, curiosamente, rendendo brevi proprio quei racconti che partivano da uno spunto brillante, e più lunghi e tediosi gli altri.
Verrebbe da dire “peccato” in relazione ai tre racconti suddetti, che avrebbero meritato a dire il vero una stesura da romanzo… se non fosse che, molto probabilmente, se il romanzo lo avesse scritto Ballard sarebbe stato noioso.

Ma d’altronde, alcuni scrittori sono famosi per la brillantezza delle idee di fondo, altri per l’esecuzione, alcuni per il ritmo e altri per la profondità dei personaggi.
Come si dice, a ognuno il suo.
Di mio, molto probabilmente non leggerò più J.G. Ballard.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il segreto delle gemelle - Fairy Oak 1.
Scrittore Elisabetta Gnone.
Genere: fantasy.
Editore: De Agostini.
Anno: 2005.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


Che sono un grande appassionato del genere fantasy (e non solo io,in realtà, ma tutta l’umanità, dalla Divina commedia a Il signore degli anelli, dall’Eneide a Harry Potter) si sapeva già…
… che mi mettessi a leggere anche i fantasy destinati all’infanzia, e anzi tendenzialmente a un pubblico femminile era meno scontato, ma evidentemente è così se sono andato a leggermi Il segreto delle gemelle, il primo libro dedicato da Elisabetta Gnone alla saga di Fairy Oak.

Per la cronaca, non solo mi sono letto il primo romanzo della serie, ma mi sono comprato, a scatola chiusa, l’intera saga in un sol colpo, approfittando dei due volumoni che contengono tutti e sette i romanzi.

Il primo volumone, intitolato La trilogia completa, comprende Il segreto delle gemelle, L’incanto del buio e Il potere della luce… titoli peraltro che accennano tutti al tema della dualità, giusto per la cronaca.

Il secondo volumone, intitolato I quattro misteri, comprende invece i suddetti quattro romanzi: Capitan Grisam e l’amore, Gli incantevoli giorni di Shirley, Flox sorride in autunno, Addio, Fairy Oak.

Ciascuno dei due per un totale di circa 1000 pagine… anche se va detto che si tratta di pagine di libri per bambini, ossia scritte grandi grandi, che pubblicate in edizioni più normali sarebbero forse 500 o 600.

Ma veniamo a Il segreto delle gemelle: il libro in questione conta 230 pagine (140 normali, forse), e introduce il lettore nel mondo di Fairy Oak, un villaggio in cui vivono insieme persone magiche e non magiche, nonché fatine, alberi senzienti e parlanti, etc.

In esso l’autrice Elisabetta Gnone ci presenta le protagoniste centrali della storia, le gemelle Pervinca e Vaniglia (dette, rispettivamente, e Babù, cosa che a dire il vero non aiuta a riconoscerle e ogni volta costringe a ricordarsi a quale nome-personaggio è associato il soprannome), nonché le persone che stanno loro intorno: genitori, zie, amici e amiche, fatine assortite… nonché il malvagio Terribile 21, che intende portare al lato oscuro le persone più predisposte per esso.

Il che sa molto di Star wars, diciamolo, così come l’insegnamento alle piccole maghette sa molto di Harry Potter, diciamo anche questo.
L’autrice però dà un suo tocco personale, e molto ben distinguibile, al libro, tramite descrizioni visive, nomignoli, rapporti umani, e persino le illustrazioni, che costituiscono una parte portante dell’opera… e che anzi, personalmente, sono ciò che mi ha attirato verso di essa (la copertina de I quattro misteri è bellissima, così come molte illustrazioni interne dei due volumi)… ricordandomi peraltro un album delle figurine che facevo da bambino, che aveva tratti delicati, dolci e femminili quali quelli delle illustrazioni e del testo in generale.
Anzi, la somiglianza energetica è tale che non escluderei che la stessa autrice vi si sia ispirata.

Ad ogni modo, torniamo al testo: Il segreto delle gemelle è gradevole e scorre via facile facile. Si legge in modo scorrevole, è pieno di vezzeggiativi ed espressioni infantili, è essenzialmente semplice e men che adolescenziale.
Il che in teoria non dovrebbe deporre a favore della lettura da parte di un adulto; tuttavia la sua semplicità e la sua dolcezza sono anche le sue doti migliori, che non a caso lo hanno fatto assai apprezzare da un largo pubblico. Senza dubbio giovanile e prevalentemente femminile, ma comunque in esso c’è un po’ di bellezza per tutti.

Forse se avessi prima letto Il segreto delle gemelle non avrei continuato con l’intera saga di Fairy Oak, ma, giacché ho proceduto diversamente, presumo che prima o poi leggerò anche il resto.

Fosco Del Nero


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Titolo: Creare il mondo (Making the world).
Scrittore Douglas Wood, Yoshi Miyazaki, Hibikki Miyazaki.
Genere: illustrazioni, esistenziale.
Editore: Eifis Editore.
Anno: 1998.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


Da poco ho recensito un libro illustrato, Il principe elefante - La storia di Ganesh, che mi è piaciuto molto, ed oggi ne recensisco un altro, confidando in un risultato ugualmente positivo: il libro in questione è Creare il mondo, scritto da Douglas Wood e illustrato da Yoshi Miyazaki e Hibikki Miyazaki (non so se vi sia parentela con i più famosi Miyazaki registi).

Si tratta di un libro di formato piuttosto ampio, e piuttosto breve, come da tradizione per i prodotti di questo tipo: siamo sulle 35 pagine circa, per la precisione.

La tradizione è rispettata anche nel target di pubblico cui si rivolgono gli autori, giacché Creare il mondo parla direttamente all’infanzia, per quanto, come nella migliore tradizione dei prodotti per l’infanzia, ha qualcosa da dire anche agli adulti.

Un solo messaggio, a dire il vero, che poi è quello contenuto nel titolo stesso, ma di buon valore, e che è veicolato da numerose illustrazione di buona bellezza.
Nulla di sconvolgente, ad essere onesti, ma comunque di valore discreto, e in stile acquerellato e molto colorato.

Peraltro, la vocazione “esistenziale” del libro è certificato anche dal suo editore, Il punto d’incontro, editore specializzato in tematiche esistenziali, per l’appunto, nonché dal nome della collana in cui è inserito il libro illustrato: Semi di luce, che sintetizza le due componenti di cui abbiamo appena detto: sfondo esistenziale e target infantile di pubblico.

E non c’è molto altro da dire su Creare il mondo del trio Douglas Wood-Yoshi Miyazaki-Hibikki Miyazaki, se non ribadire che si tratta di un prodotto di buona fattura; non imperdibile, ma comunque gradevole e con un suo perché.

Sempre ammesso che piaccia il genere dei libri illustrati, ovviamente; io lo trovo belli e ispiranti, se fatti bene, ma qualcun altro potrà non gradirli affatto... ma potrebbe comunque regalarli a qualcuno che viceversa li gradisse, adulto o bambino, cosa che rende il genere particolarmente versatile.

Fosco Del Nero


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Titolo: I sette serpenti - Sortilegio 3 (The seven serpents - Sorcery 3).
Scrittore: Steve Jackson.
Genere: librogame, fantasy, avventura.
Editore: E.L.
Anno: 1984.
Voto: 8.
Dove lo trovi: nel mercato dell’usato.


Se Le colline infernali, primo libro della serie di librogame Sortilegio, si era conquistato la valutazione di 7.5, e La città dei misteri, forse il librogame per eccellenza nei miei ricordi di adolescente, si era attestato a un eccellente 8.5, il terzo libro, I sette serpenti, si pone a metà strada e si prende un 8.0.

Facciamo un passo indietro: il nostro eroe, guerriero o mago che sia (ma la serie è stata chiaramente scritta per impersonare la figura del mago, ed in tal senso è assai più significativo… e d’altronde il nome della serie è “Sortilegio”, non “Spada a due mani”), dopo aver superato le Colline Shamutanti nel primo libro, e l’insidiosa città di Kharè nel secondo, tra mille insidie ma anche dopo numerosi eventi propizi, si trova a dover affrontare in questo terzo libro le Baklands, un ampio territorio di cui nemmeno si hanno mappe nel Regno di Analand (rinnovo i complimenti a Steve Jackson per la scelta del nome), e che porta, una volta superata prima il Pianoro di Baddu-Bak e poi la Foresta di Snatta, e saltato anche il Lago Ilklala, alla fortezza di Mampang, nella quale risiede l’Arcimago, a cui il nostro errore dovrà sottrarre la Corona dei Re, da egli a sua volta rubata tempo prima.

L’unico problema è che l’Arcimago è stato avvisato di tale missione, e ben sette serpenti gli sono stati inviati come messaggeri: il coraggioso eroe dovrà dunque eliminarli tutti, altrimenti il suo nemico verrà a conoscenza della sua missione.

Curiosamente, i libri di Sortilegio alternano gli scenari secondo numeri pari e dispari: il libro primo e il terzo sono ambientati nella natura, tra foreste e steppe, mentre il secondo e il quarto in contesti umani (umani si fa per dire), che siano città o castelli.
Di mio, tra i due ho preferito gli ambienti urbani… ma finora ho letto il solo La città dei misteri, mentre non ho mai giocato a La corona dei Re, che non avevo quando ero ragazzino…
… ma che conoscevo per essere un “volume triplo”, ossia il librogame edizioni E.L. più lungo tra tutti.

Per la prima volta in vita mia lo leggerò tra poco, da grande, e vediamo cosa ne verrà fuori.
Confido comunque che, tra la narrazione di Steve Jackson e le affascinanti illustrazioni di John Blanch, l’atmosfera di Sortilegio sarà mantenuta intatta.

Ultimo appunto: tanto La città dei misteri quanto I sette serpenti può essere condotto in tanti modi, e quindi rigiocato numerose volte. I sette serpenti, per esempio, può essere portato a compimento avendo eliminato uno, due, tre, quattro, cinque, sei o tutti e sette i serpenti messaggeri.
I quali sono, a proposito, il Serpente dell’Aria, il Serpente della Terra, il Serpente del’Acqua, il Serpente del Fuoco, il Serpente Solare, il Serpente Lunare, il Serpente del Tempo.
Viceversa, mi è parso meno rigiocabile il primo episodio della serie, ma magari è stata una mia impressione, comunque non corroborata da uno studio dei paragrafi e della struttura del libro.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il principe elefante - La storia di Ganesh (The story of Ganesh).
Scrittore Amy Novesky, Belgin K. Weidman.
Genere: racconti, illustrazioni, infanzia, induismo.
Editore: Eifis Editore.
Anno: 2004.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


Personalmente apprezzo molto i libri illustrati, che siano indirizzati a piccoli o adulti, così ogni tanto me ne procuro uno…

… o semplicemente lo leggo, giacché solitamente a leggere una ventina o trentina o quarantina di pagine per metà piene di figure e magari scritte pure a caratteri larghi non ci vuol molto.

È stato proprio così per Il principe elefante - La storia di Ganesh, libro illustrato prodotto dal duo Amy Novesky-Belgin K. Weidman, la prima autrice dei testi e il secondo delle illustrazioni, e pubblicato in Italia da Eifis Editore.

Cominciamo col dire che il libro giocava in casa, data la mia passione per l’India e la cultura indiana in generale… nonché per Ganesh in particolare, di cui non a caso mi son portato a casa svariate statuette o immagini dal mio viaggio in India.

Il principe elefante - La storia di Ganesh, per la precisione, racconta una delle storie sulla genesi di Ganesh, e ovviamente sul motivo per cui egli ha la testa d’elefante e non da uomo.
Gli altri personaggi della storia, se vogliamo chiamarli così, sono le altre deità del pantheon indù, ossia Parvati e Shiva, rispettivamente madre e padre di Ganesh.

La storia è quella, e in tal senso non c’è molto da dire, se non che è stata riportata in modo semplice e scorrevole. Al massimo si può fare un commento sul fatto che sia stata narrata una versione piuttosto che un’altra… e la spiegazione in questo senso è ovvia visto che l’altra versione era decisamente più macabra, mentre in questo libro illustrato si è voluta riportare la magia della cultura indiana.

Riuscendoci, devo dire, grazie a delle illustrazioni bellissime, davvero meravigliose, sia nei tratti, che nei colori, nei personaggi e nei panorami.

L’essenza de Il principe elefante - La storia di Ganesh sta tutta qui, in poche parole, e in tal senso, per la bellezza che propone, il libro vale certamente la spesa.
Sappiamo bene che il rapporto tra testo e numero di pagine gioca a sfavore dei testi illustrati, ma dalla loro parte essi hanno per l’appunto la possibilità affatto trascurabile di poter proporre bellezza visiva, nonché immaginifica, cosa in cui il libro realizzato da Amy Novesky e Belgin K. Weidman ha pienamente successo.
Bella anche l’edizione dell’editore italiano.

Fosco Del Nero


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Titolo: Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta (Zen and the art of motorcycle maintenance).
Scrittore Robert M. Pirsig.
Genere: autobiografico, psicologico, filosofico, esistenziale.
Editore: Superpocket.
Anno: 1974.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


La consapevolezza è davvero incredibile.
O, se volete utilizzare un’espressione più comune, la differenza di prospettiva derivante dal punto di vista e dal cambiamento interiore è davvero incredibile.

Lessi la prima volta Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta quando ero ragazzino, credo il primo anno d’università (avevo 18 anni), e allora mi parte un libro davvero profondo, colmo di significati esistenziali e di gran valore.

L’ho riletto ora, e la mia visione su di esso è incredibilmente mutata.
Non che ora lo ritenga un libro pessimo o non valido, tutt’altro…

… ma, come sempre, ogni bocca ha bisogno di un certo cibo, e il cibo vecchio si riconosce subito come tale.

Ora, infatti, ho percepito il romanzo di Robert Pirsig come estremamente mentale, filosofico nel senso negativo del termine, lento, pesante, complicante cose in realtà semplici.
E, per di più, avente nessuna attinenza con il termine “zen”, che viceversa indica un atteggiamento interiore ed esistenziale del tutto opposto: orientato alla semplicità piuttosto che alla complessità, orientato all’anima piuttosto che alla mente, orientato alla serenità piuttosto che alle turbe intellettuali.

Insomma, Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta con lo zen non c’entra praticamente niente… come essenza, dico, anche se ogni tanto qualche frase e qualche spunto di valore esce fuori, e in quel momento si nota l’esperienza pluriennale dell’autore in India.
Anche se, purtroppo, molto più spesso esce fuori il passato da filosofo di Pirsig, col romanzo che è in buona parte autobiografico, e che si perde in intellettualismi davvero poco utili per molte decine di pagine, e anzi per centinaia.

Ciò, però, non è bastato per interrompere la mia simpatia per Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, giacché evidentemente esso è stato un libro che mi ha dato qualcosa a suo tempo, quando mi serviva, e inoltre è un libro ben scritto… ma è bastato per decidere con gran facilità di non leggere mai più il libro di Robert M. Pirsig.

Fosco Del Nero


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Titolo: Essere vampiri (How to be a vampire: a fangs-on guide for the newly undead).
Scrittore Amy Gray.
Genere: fantastico, horror, umoristico.
Editore: De Agostini.
Anno: 2009.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


L’altro giorno stavo facendo la spesa in un supermercato, quando, accostatomi a un cassone di libri, noto un volume dall’aria interessante, intitolato Essere vampiri.

Scritto da tale Amy Gray, il volume in questione si proponeva come una guida utile per approcciarsi al mondo dei vampiri, diventare uno di essi e orientarsi tra le varie scelte disponibili: stile di vestiario, arredamento, trucco, musica, letture, stile di vita, etc.

Il tutto ovviamente (anche se di questi tempi di ovvio non c’è tanto) con uno stile umoristico.
O meglio, il volume è scritto seriamente, proprio come se fosse una guida vera e propria, ma i contenuti fantastici si evincono dal contesto e dal genere piuttosto leggero.

La cosa più notevole del libro è l’apparato grafico: parliamo di una pubblicazione De Agostini, e quindi di un grande editore, che ha messo a disposizione del testo in questione, pur senza ch’esso sia particolarmente costoso (15 euro, ma nel cassone di vecchi libri l’ho trovato a 2 euro), un ricco apparato di disegni e foto, che rendono il volume un piccolo gioiello estetico, ricco di immagini davvero evocative, e nemmeno particolarmente lugubri, a testimonianza della vocazione del libro, che anzi pare un libro orientato all’adolescenza, magari a quegli adolescenti che hanno conosciuto il mito dei vampiri (io dico mito, ma in realtà non lo è) tramite Twilight o prodotti simili (True blood o qualcos’altro), piuttosto che dal romanzo o film Dracula, o da prodotti più risalenti.

La vocazione e il genere di Essere vampiri, peraltro, è ben chiarita dalla quarta di copertina, dove prima si legge il titolo “La guida completa per entrare nell’esclusiva cerchia dei dannati” e poi il commento “Come confessare ai tuoi genitori che le tenebre ti attirano”, o ancora “Qual è il look che più si adatta alle esigenze dei succhiasangue”.

D’accordo, io non lo proporrei a mio figlio dodicenne come suggerisce la pagina di Amazon (Età di lettura: da 12 a 13 anni), ma magari da qualche anno in su va bene…
… come va bene per adulti vecchi appassionati di letteratura vampiresca che hanno voglia di farsi due sorrisi con tante citazioni e riferimenti, e a cui piacciono i volumi editoriali particolarmente ben curati.

Da cui la buona valutazione che Essere vampiri di Amy Gray si è meritato.

Fosco Del Nero


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Titolo: La città dei misteri - Sortilegio 2 (Kharè, cityport of traps - Sorcery 2).
Scrittore: Steve Jackson.
Genere: librogame, fantasy, avventura.
Editore: E.L.
Anno: 1984.
Voto: 8.5.
Dove lo trovi: nel mercato dell’usato.


Dopo aver recensito il primo episodio della serie di librogame Sortilegio, ossia Le colline infernali, ecco il secondo, La città dei misteri, che probabilmente è stato il librogame che mi è più rimasto impresso da ragazzino, e fors’anche quello che ha contribuito alla mia passione per i librigioco.

Tale concetto vale per la serie Sortilegio in generale, e per La città dei misteri in particolare.

Un po’ di trama per questo libro datato 1984: il protagonista della storia, guerriero o mago che sia (essendo guerrieri si gioca ad un livello facile, essendo maghi si gioca ad un livello mnemonicamente più impegnativo… ma molto migliore, tanto che si può tranquillamente dire che la serie è stata scritta per giocarla come maghi), lasciata la Porta di Cantopani, ultimo baluardo del regno di Analand (lo so, questo nome Steve Jackson poteva sceglierlo molto meglio), ha attraversato anche le insidiose Colline Shamutanti, fino ad arrivare all’altrettanto insidiosa e ancor più misteriosa città di Kharè, dove lo attende una nuova avventura.

Mentre Le colline infernali si dipanava lungo un ampio territorio geografico, La città dei misteri si svolge nella sola Kharè… ma la città basta, con le sue numerose insidie e le sue numerose opportunità.
All’avventuriero occorrerà per forza apprendere i quattro versetti che apriranno la magica porta nord di Kharè, che permetterà all’avventuriero di entrare nelle Baklands, un territorio ancora in buona parte inesplorato.

Kharè ha un fascino particolare, e tutto contribuisce a tale fascino: la scrittura di Steve Jackson, i numerosi personaggi e trabocchetti interni alla città, i versetti magici da apprendere, la porta da attraversare… persino le illustrazioni, effettuate in uno stile grafico che non ho mai visto da nessun’altra parte, così bizzarre e affascinanti esse stesse, portano punti a questo volume per me semi-mitico.

Il quale peraltro si può giocare tante volte, giacché, pur proponendo alcuni passaggi obbligati, è comunque molto vario.

Passati per La città dei misteri, il prossimo appuntamento è con I sette serpenti

… titolo che è tutto un programma.

Fosco Del Nero


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Titolo: Resurrezione (Voskresenie).
Scrittore Lev Nikolaevic Tolstoj.
Genere: drammatico, sentimentale, psicologico.
Editore: Newton Compton.
Anno: 1899.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


Come sempre, le mie letture sono piuttosto ampie come generi, e si passa dal fantasy all’esistenziale, dalla fantascienza al drammatico, fino ai classici del passato, e oggi è proprio il caso di uno di questi, giacché siamo in compagnia di Resurrezione di Lev Nikolaevic Tolstoj, uno dei grandi autori russi… genere che confesso di aver frequentato poco in passato.

Tra l’altro, se si tratta di narrativa, essa conserva comunque un forte tessuto esistenzial-religioso, dal momento che Tolstoj aveva già compiuto la sua svolta cristiana, e cristiana nel vero senso della parola, tanto che lo scrittore russo ricevette scomunica dalla chiesa ortodossa dell’epoca, e addirittura con i proventi di Resurrezione finanziò una setta, ugualmente assai invisa tanto alla chiesa quanto al potere degli Zar, quella dei Duchobory, non a caso fuggiti dalla Russia fino al Canada, alla ricerca di un posto pacifico… ma avendo problemi anche lì per via del fatto che tendevano al pacifismo, alla vita in comune, al vegetarianesimo, all’astensione da alcol e fumo, al rifiuto della proprietà privata (terre comprese) e di una forte strutturazione sociale. 
Insomma, meno religione e più spiritualità vissuta, sia per codesti Duchobory che per Tolstoj, come testimonia anche il personaggio centrale di Resurrezione, libro assai corposo.

Eccone in grande sintesi la trama: il Principe Dmitri Nechljudov ha tutto, ricchezze, educazione, fama, possibilità di carriera e di matrimonio prestigiosi, e difatti è in procinto di sposarsi con una giovane di alta società come lui.
Un fatto, tuttavia, lo sconvolge, e lo spinge a riconsiderare tutta la sua vita, passata a futura: egli finisce a fare il giurato in un processo nel quale riconosce la giovane Katjusa Maslova, che fu il suo primo amore e la sua prima conquista quand’era ragazzino e si trovava nella tenuta di campagna delle zie, presso Niznij Novgorod, nella quale egli soleva passare le estati. Al tempo, sedotta la ragazza, le lasciò dei soldi e non ne seppe più niente. 
Ricostruendo la sua storia, seppe in seguito che essa era rimasta incinta, per questo era stata mandata via dalle sue zie, aveva cercato dei lavori per tirare avanti e si era ridotta a prostituirsi in mancanza di altro e in mancanza di denaro. Il figlioletto era morto di lì a poco.
Ecco che Dmitri Nechljudov si sente colpevole della deriva che ha preso quella giovane donna e si impone di aiutarla: economicamente e anche col matrimonio.
Dapprima la ragazza, che nel mentre è stata severamente condannata ai lavori forzati in Siberia, ne prova fastidio, oltre che gran sorpresa, ma poi accetta la presenza e l’aiuto di quell’uomo gentile e generoso, per cui riprende a provare l’affetto che provava un tempo… per quanto la storia si concluderà in modo non lineare.

Resurrezione in sostanza racconta una doppia resurrezione, e non solo una sola: quella sociale di Katiusa, che ridiviene persona a modo dopo essere sprofondata negli abissi del mondo della prostituzione, e quella interiore-spirituale di Dmitri, che ridiviene anche lui persona a modo dopo essere sprofondato negli abissi della superficialità e della ricerca del mero piacere.

Anzi, si può senz’altro dire che delle due la più rilevante è la seconda, che peraltro si conclude con i Vangeli, di cui vengono citati alcuni famosi passi che parlano di non giudizio, di accettazione, di amore e compassione verso tutto e tutti.

In tal senso, il romanzo ha persino una componente esistenziale, per quanto in poche frasi e tra le righe: esistenzial-spirituale e non religiosa, intendiamoci. E, in tal senso, è una lettura edificante anche da questo punto di vista.

Per il resto, Resurrezione è un testo molto lungo e a tratti un poco pesante, per quanto si tratta comunque di una lettura di valore, sia storico, che letterario che interiore.

Fosco Del Nero


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Titolo: Liza di Lambeth (Liza of Lambeth).
Scrittore: William Somerset Maugham.
Genere: drammatico, sentimentale.
Editore: Newton Compton.
Anno: 1897.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.


Essenzialmente le mie letture oscillano tra tre generi: la letteratura esistenziale, i romanzi di genere fantastico e i classici dei grandi autori del passato, in questo ordine di preferenza.
Di grandi classici ne leggo pochi, ma ogni tanto qualcuno arriva, ed è il caso odierno, con Liza di Lambeth di William Somerset Maugham.

Maugham peraltro è un autore con una qualche vicinanza col primo genere, come provano romanzi come Il filo del rasoio (che non ho letto, ma di cui ho visto la bella conversione cinematografica) o Il mago (che lessi da ragazzino, e che solo a posteriori seppi essere stato disegnato sulla figura dell’esoterista Aleister Crowley).

Tuttavia, il romanzo recensito non ha affatto contenuti esistenziali, ma piuttosto sociali e drammatici. Liza di Lambeth peraltro è il primo scritto dell’autore e, grazie al successo che ebbe fin da subito, lo convinse a lasciare la carriera di medico per dedicarsi a quella di scrittore, che avrebbe portato avanti fino alla fine della vita.

Ecco la trama sintetica di Liza di Lambeth: siamo in un sobborgo di Londra, Lambeth per l’appunto, alla fine del diciannovesimo secolo, e siamo alle prese col micromondo proletario e operaio di un quartiere ben preciso, quasi mondo nel mondo, dove tutti si conoscono bene e in cui il giudizio sociale è tanto forte da determinare i destini di una persona.
Almeno è quanto il romanzo sembra tratteggiare, nell’accompagnare la relazione adulterina tra la giovane Liza, appena diciottenne, e il maturo Jim, quasi quarantenne… relazione che terminerà in dramma, per l’appunto.

Laddove invece il libro era iniziato con un’atmosfera gioiosa, quasi da sagra di paese, con Liza, da tutti conosciuta e ambita perché bella, che sgambettava per le strade del rione, ballando e cantando insieme agli altri ragazzi e ragazze della zona.

Al tempo Liza di Lambeth fece scalpore per la sua schiettezza nel raccontare una storia realistica, profondamente calata in un contesto sociale non degradato, ma certo non nobiliare, e nemmeno agiato. La critica di allora si divise nella considerazione di questo romanzo breve, mentre il pubblico apprezzò, tanto che la fama non tardò ad arrivare per Maugham.

Personalmente, ho gradito a sufficienza questo libro, anche se a dire il vero non amo troppo drammi e contro-drammi.
Ma, se capiterà, concederò un’altra chance a William Somerset Maugham, scrittore di valore.

Fosco Del Nero


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Titolo: La porta sui mondi (Worlds within).
Scrittore: Rog Philips.
Genere: fantascienza, avventura, sentimentale.
Editore: Libra.
Anno: 1950.
Voto: 4.5.
Dove lo trovi: qui.


Il romanzo recensito questa volta porta il titolo de La porta sui mondi, ed è datato 1950.

Si tratta di un romanzo di fantascienza, fantascienza in stile classico come andava di moda in quegli anni, scritto da tale Rog Philips, che non avevo mai avuto l’occasione di leggere e che nemmeno, a dirla tutta, conoscevo di nome.

Quanto all’edizione, era stato pubblicato nel 1979 dalla casa editrice Libra, al tempo nota proprio per le pubblicazioni di fantascienza, ma in seguito deceduta (credo abbia cambiato nome un paio di volte e poi non so che fine abbia fatto).

Ad ogni modo, gli altri libri che avevo letto tratta da tale collana, denominata Saturno, erano di qualità assai bassa (La stella fuggiasca e Il vagabondo dell’infinito, entrambi di Vargo Statten, I figli di Medusa di Theodore Sturgeon), per cui speravo che questo ne avrebbe risollevato le sorti… speranza vana, purtroppo, e a questo punto era proprio la collana ad avere un target di un certo tipo e piuttosto basso.

Ma vediamo la trama de La porta sui mondi, che mescola ad idee fantascientifiche alcune credenze o mitologie di vari popoli del mondo, soprattutto indios sudamericani: un bel giorno una bella ragazza, tale Edona, bussa alla porta di Lin Carter, inseguita da due omoni. Ovviamente l’uomo fa per difenderla, e subito dopo scopre che la Terra in cui aveva vissuto fino a quel momento – la nostra, per intenderci – non era l’unica, ma coesisteva con altre in realtà parallele, concentriche ma di differenti dimensioni quanto a grandezza del pianeta, della Luna, del Sole, etc.
In sostanza, c’è una Terra 1, una Terra 2, una Terra 3, una Terra 4, una Terra 5 e anche un sesto spazio dimensionale.
Ora, la cultura andina era depositaria di tale sapere, e in passato si era spostata tra i mondi… anche troppo, tanto che aveva aperto, e poi richiuso, un passaggio dimensionale ad una razza serpentoide malefica (ancora serpenti nel ruolo di alieni cattivi... chissà da dove è iniziata tale credenza-tendenza-mito).
Lin Carter dovrà aiutare i suddetti uomini a risolvere il problema, ripresentatosi a causa di un “cattivo”, saltando da un mondo all’altro.

La porta sui mondi è molto avventuroso, ed è antico in ogni sua pagina: fantascienza vecchio stampo, con spiegazioni e spiegazioni, sovente noiose e pedanti, avventura di livello facile, rapporti sentimentali ugualmente facili e prevedibili, figura da macho coraggioso e figura da donna sensibile, etc.
Insomma, per buona parte è un libro che sa di vecchio.

E purtroppo non ha niente che lo sollevi, se non una certa "avventurosità" e la simpatia che fa sorgere verso i due protagonisti.

Insomma, La porta sui mondi di Rog Philips non offre niente di più se non una distrazione leggera e anni "50, da prima fantascienza.
Ed ecco spiegato come mai non avevo mai sentito nominare l'autore in questione.

Fosco Del Nero


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Titolo: Le colline infernali - Sortilegio 1 (The Shamutanti Hills - Sorcery 1).
Scrittore: Steve Jackson.
Genere: librogame, fantasy, avventura.
Editore: E.L.
Anno: 1983.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: nel mercato dell’usato.


Sortilegio è sempre stata una delle mie serie preferite all’interno del piccolo grande mondo dei librogame, se non forse la mia preferita in assoluto; a tale lista ristretta posso aggiungere Alla corte di Re Artù, Grecia antica, Misteri d’oriente, Sherlock Holmes… e in seconda fascia qualcos’altro come Blood sword, Lupo solitario, Guerrieri della strada.

Il libro di apertura di Sortilegio, collana famosa soprattutto per i titoli La città dei misteri e La corona dei Re, è Le colline infernali, il quale rappresenta una sorta di apertura soft nel mondo di Sortilegio, che come descrive bene il titolo della collana descrive un mondo fantasy in cui la magia ha una grande importanza.

In realtà la serie può essere giocata sia come mago che come guerriero, e in questo secondo caso acquista grandemente semplicità, ma perde in possibilità e anche in facilità di esecuzione, visto che il percorso pare essere stato studiato soprattutto per i maghi… se non quasi esclusivamente per essi, come prova anche il corposo Libro della Magia, contenente una cinquantina di incantesimi da studiarsi a memoria, giacché il mago non è autorizzato a consultarlo durante l’avventura, e dunque deve sapere in anticipo quali esistono, a cosa servono e se necessitano di qualche oggetto per essere portati a compimenti, pena dei malus in termini di punti resistenza.

A parte gli incantesimi da studiare, le regole di gioco sono semplici, e prevedono solamente dei punti di abilità, resistenza e fortuna, e le stesse regole per il combattimento sono semplici; cosa ottima, giacché i regolamenti complicati hanno sempre rovinato, quando in parte e quando totalmente, le serie, persino quelle più promettenti.

Veniamo alla storia de Le colline infernali: il protagonista parte dalla porta di Cantopani, estrema propaggine del pacifico Regno di Analand, diretto alla Fortezza di Mampang, dove in futuro cercherà di recuperare la celebre Corona dei Re.
Per il momento, però, il so obiettivo è la città di Kharè, all’interno del territorio di Kakhabad, per arrivare alla quale dovrà superare le Colline Shamutanti, un posto in buona parte inesplorato e pieno di potenziali pericoli, ma anche di potenziali aiuti. A lui scegliere che strada scegliere…

Le colline infernali è un buon inizio di serie; non sta ai livelli dei libri che lo seguono, nemmeno dal punto di vista della corposità, ma presenta bene la serie di Sortilegio, e ha la sua bella atmosfera.
Le uniche cose che lasciano perplessi sono i nomi: si parte dal regno di "Analand" per attraversare il territorio di "Kakhabad"… un scelta che, anche a farlo apposta, non avrebbe potuto essere più ambigua.

Questo curioso dettaglio a parte, Le colline infernali, Sortilegio e l’autore Steve Jackson sono promossi con ottimi voti.

Fosco Del Nero


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Titolo: Le avventure di Gordon Pym (The narrative of Arthur Gordon Pym of Nantucket).
Scrittore: Edgar Alla Poe.
Genere: avventura, azione, thriller, fantastico.
Editore: Mondadori.
Anno: 1838.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.


Era da secoli che non mi leggevo qualcosa di Edgar Allan Poe… racconti, dunque, giacché Poe sosteneva la superiorità narrativa della forma breve, e dunque ha scritto quasi esclusivamente racconti e poesie.

Ma nella sua ricchissima produzione, a dispetto di un tempo di vita purtroppo breve, ci è finito un po’ di tutto: dai saggi a qualche romanzo.
Solo uno completo, a dire il vero, Le avventure di Gordon Pym, recensito in questo articolo. Laddove l’altro, Il diario di Julius Rodman, è rimasto sfortunatamente incompiuto per via della morte improvvisa dell’autore.

Ma veniamo per l’appunto a Le avventure di Gordon Pym. Edgar Allan Poe è noto soprattutto per i suoi racconti del grottesco, del mistero e del terrore, per cui era lecito attendersi anche da questo romanzo una componente di tipo spaventosa… che in effetti c’è, anche se non in modo orrorifico, e invece più legata agli eventi avventurosi raccontati nella storia, presentata come una storia di fatti realmente accaduti, anche se presumibilmente non reali ma inseriti in una cornice realistica per dare un effetto di maggior impressionabilità al lettore.

Comunque, la storia, per sommi capi, è la seguente: il giovane Arthur Gordon Pym si imbarca da clandestino a bordo della baleniera Grampus, assistito in ciò dall’amico Augustus, figlio del capitano della nave.
Sventura vuole però che un ammutinamento determini l’allontanamento del capitano, insieme ai pochi uomini a lui fedeli rimasti in vita, su una scialuppa, mentre i due ragazzi, Augustus e Arthur, rimangono sulla nave e partecipano a una sorta di contro-ammutinamento.
Le sventure sulla Grampus non sono però finite: un naufragio distrugge l’imbarcazione, e i pochi sopravvissuti, tra cui Arthur, vengono infine raccolti dalla goletta Jane Guy, che si dirigerà verso il Polo Sud alla ricerca di terre ancora inesplorate… e trovando effettivamente una terra non nota abitata da una popolazione che pare assai amichevole.

Devo dir la verità, anche se con un po’ di dispiacere relativo all’affetto per una delle letture della mia adolescenza (ho sempre provato simpatia per Poe e Lovecraft, col secondo che non a caso ha citato il primo in un suo romanzo): Le avventure di Gordon Pym è molto datato, e lo è in ogni senso.
Non solo per il discorso delle esplorazioni e delle terre non conosciute, con tanto di mare che diviene più caldo andando verso il Polo Sud, ma anche e soprattutto per la forma linguistica ed espressiva: il ritmo è lento e il testo è pesante, pieno com’è di descrizioni poco interessanti. Per dire, vi sono pagine e pagine su come si conduce una goletta, termini tecnici, etc.
E in generale tutto sa di molto ingenuo, dallo scontro con gli ammutinati allo scontro con gli indigeni.
Il finale, poi, che pare accennare a un’entità creatrice divina, è assolutamente campato per aria, e anzi si può quasi dire che non vi è finale, ma una brusca interruzione priva di ogni spiegazione, come illustra lo stesso Poe nella sua cornice che contiene il narrato.

Insomma, potevo tranquillamente fare a meno di leggermi Le avventure di Gordon Pym… ma senza dubbio ora posso dire che Poe era molto più forte in ciò che sosteneva essere la forma narrativa ideale, ossia il racconto.
D’altronde, preferendolo nettamente si sarà assai di più impratichito con quello, e difatti i risultati parlano abbastanza chiaro.
Magari in futuro mi rileggerò i suoi racconti, sperando di trovarli sempre belli, per quanto un po’ cupi (Il barile di Amontillado, Il cuore rivelatore, Hop-Frog, Re Peste, La maschera della morte rossa, Il ritratto ovale, Il pozzo e il pendolo, etc).

Fosco Del Nero


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Titolo: Incontro con Rama (Rendezvous with Rama).
Scrittore: Arthur C. Clarke.
Genere: fantasy, avventura, esistenza.
Editore: Mondadori.
Anno: 1973.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


Di recente mi son comprato, usato, un piccolo lotto di vecchi romanzi di fantascienza della collana UraniaSchiavi degli invisibiliIl segreto della doppia asciaUna famiglia marziana, La pietra sincronica, Terzo dal Sole e Incontro con Rama.

I primi quattro li ho già letti e mi sono piaciuti tutti, per cui mi sono avvicinato a Incontro con Rama speranzoso che l’effetto scia continuasse…
… incoraggiato in questo dal fatto Incontro con Rama era scritto da un big della fantascienza come Arthur C. Clarke, autore di quel 2001 – Odissea nello spazio che ha fatto la storia del cinema e della letteratura stessa.

Sfortunatamente, nonostante il blasone e la buona fama che circonda il romanzo, non mi è piaciuto troppo, per i motivi che poi dirò.
Per ora, invece, ne traccio la trama sommaria: l’11 settembre (evidentemente è un giorno in cui bisogna stare attenti al cielo) 2077 un grosso meteorite si abbatte sulla Pianura Padana, devastandola e uccidendo tantissime persone (stiano attenti dunque soprattutto gli italiani di quelle parti).
Per prevenire altri disastri di quel tipo, viene fondato il progetto Guardia Spaziale, incaricato di sorvegliare i cieli con un potentissimo radar. Il quale, molti anni dopo, nel 2130, effettivamente scova qualcosa che si sta dirigendo verso la Terra.
Dapprima si pensa sia un meteorite, ma poi si nota indubitabilmente che trattasi di oggetto artificialmente, di forma perfettamente cilindrica.
Si tratta dunque di un prodotto di una civiltà aliena, enorme peraltro, e per indagare in  merito viene spedita l’astronave Endeavour, guidata dal comandante Norton, il quale si troverà di fronte un mistero di non poco conto.

Incontro con Rama è romanzo che gode di buona fama presso i lettori della fantascienza più classica, ossia quella più mentale e scientifica.
E, in tal senso, il romanzo di Clarke rispetta tutti i suoi canoni: viaggio nello spazio, spiegazioni scientifiche, descrizioni fisiche minuziose e dettagliate, ignoto ed esplorazione.

In tutto ciò, la caratterizzazione dei personaggi è davvero scarsa, giacché, all’interno di questo scenario concettuale, si muovono figurine o poco più.
Inoltre il tutto sa terribilmente di freddo e di cerebrale… proprio come era buona parte della fantascienza degli anni “50-“60 e dintorni. 
Ancora, la storia è piuttosto lenta.

Come sempre dipende da cosa piace a chi legge: quando io penso alla fantascienza penso ad Isaac Asimov e ai suoi contesti sociali e politici assai compositi e ricchi, o penso a Jack Vance e alla sua ottima caratterizzazione dei personaggi, o ancora a Alfred Elton Van Vogt con i suoi ritmi rutilanti.

Arthur Clark, con le sue descrizioni sì dettagliate e minuziose, ma anche terribilmente noiose e lente, non rientra nelle mie corde.
Così come non amo gli scampoli, le visioni ridotte e analitiche, mentre preferisco quelle panoramiche, ampie e sintetiche.

In Incontro con Rama viene descritto nel dettaglio un dettaglio, per l’appunto: dettaglio spaziale e temporale, ma il puzzle generale non è minimamente affrontato, tanto che la storia sostanzialmente termina senza che il lettore ne sappia di più rispetto all’inizio.

Insomma, Incontro con Rama dimostra che Arthur C. Clarke, pur bravo nel suo genere, non è il mio autore… e probabilmente è per questo motivo che esso non era ancora stato recensito sul blog e che non lo avessi mai letto prima di ora.

Fosco Del Nero


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Titolo: La pietra sincronica (The secret of synchronicity).
Scrittore: Jonathan Fast.
Genere: fantascienza, avventura, esistenza.
Editore: Mondadori.
Anno: 1977.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.


Capita ogni tanto che mi compri dei piccoli lotti di vecchi romanzi Urania, degli anni “60 o “70, scelti a volte a caso, a volte dando un’occhiata ai contenuti.
Certo, si tratti di libri usati e vecchi di decenni, ma in compenso si pagano poco, e ogni tanto si trova qualche gemma.

Beh, la “pesca” di questa volta è stata molto fortunata, a giudicare almeno dai primi quattro che ho letto: Schiavi degli invisibili, Il segno della doppia ascia, Una famiglia marziana e il romanzo recensito oggi, La pietra sincronica.
Tutti e quattro buoni romanzi, e su quattro addirittura tre con significati oltre il testo letterale e la mera avventura: il primo prende le mosse dalle pubblicazioni di un medium al tempo molto famoso e si addentra nella vita invisibile, il secondo contiene evidenti riferimenti pagano-magici, e il quarto, ossia quello di oggi, s’ispira ad alcune teorie di Jung, nonché ad alcuni principi esistenziali, e ci costruisce intorno un’avventura fantastica.
Quanto al terzo, niente esoterismo, ma in compenso era il più divertente del lotto.

La sfida globale tra i quattro la vince proprio La pietra sincronica di Jonathan Fast, autore peraltro mai sentito… e del quale infatti mi sa che in italiano non è stato pubblicato quasi niente: questo libro e un altro.
Peccato.

Veniamo prima alla trama sommaria del romanzo, e poi ne descriviamo i veri contenuti: siamo sul pianeta Slabour, dove, come suggerisce il nome (misto di “slave” e di “labour”), vige una situazione sostanziale di schiavitù: il boss Callow sfrutta il lavoro di tanti ragazzini, portati lì con l’inganno, ed estrae dalle miniere del pianeta, una roccia disabitata e polverosa in cui non piove mai, una pietra assai preziosa.
Stefin è il protagonista della storia, uno di quei ragazzini attirati lì in modo truffaldino e finiti a fare i muratori a vita… una vita breve, giacché la polvere della miniera rovina rapidamente la salute.
Egli però non si è rassegnato come gli altri, e vuol fuggire.
Finisce così prima in una nave spaziale di lusso, poi sul pericoloso pianeta Junglabesh (un misto tra "jungle" e "Bangladesh"?), poi nel pianeta Nova Center ("nuovo centro"; questa traduzione è chiara), poi in giro per la galassia a recuperare navi spaziali perdute, e poi di nuovo nei pianeti già visitati, come a chiudere un cerchio…

… e in un modo molto più stretto di quanto qualsiasi lettore avrebbe potuto immaginare, nonostante le premesse dell’opera scritte in quarta di copertina, che accennavano alle teorie di Jung e al ruolo della sincronicità nell’esistenza dell’essere umano.

Il libro, peraltro, è condito di principi esistenziali presi a prestito dalle tradizioni spirituali orientali, come provano anche i vari nomi di cui il testo è cosparso: Bode Satva, Siva Nanda, Manas Ananda (ossia "risvegliato", "saggezza" e qualcos'altro).
E di mezzo c’è anche una sorta di pietra filosofale, nonché il viaggio fuori dal corpo, la conoscenza a distanza, il principio di dualità, la reincarnazione e l’oblio, i veli di Maya, la dicotomia tra mente e spirito, la fiducia nell’esistenza, e ovviamente le sincronicità di cui al titolo, col tutto che va a comporre un buon romanzo breve di fantascienza, che tuttavia sale di almeno due livelli (anche tre probabilmente) per via dei contenuti importanti che presenta.

Onestamente, insospettabile, tanto che dubito che mi dimenticherò mai de La pietra sincronica di Jonathan Fast, e anzi probabilmente in futuro andrò a rileggermelo.
E ora vediamo gli ultimi due titoli del lotto: Incontro con Rama (dal titolo promette bene) e Terzo dal Sole.

Fosco Del Nero


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