Il cammino del mago

Titolo: La perla alla fine del mondo.
Scrittore: Luca Masali.
Genere: fantastico, fantascienza, avventura, autori italiani.
Editore: Mondadori.
Anno: 1999.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


Finalmente ho finito questo libro.
Tale affermazione potrebbe facilmente indurre due pensieri, tuttavia contrapposti: o il finalmente è riferito al fatto che ero ansioso di leggerlo, o è riferito al fatto che è stata un’agonia leggerlo.

A dire il vero, nessuno dei due corrisponde alla verità, la quale è la seguente: La perla alla fine del mondo di Luca Masali è a mio avviso un romanzo fantastico non orrendo, ma nemmeno bello, e non vedevo l’ora di terminarlo per potermi dedicare ai sette libri di Martin delle Cronache del ghiaccio e del fuoco che mi sono comprato nel frattempo.

Ok, probabilmente non è quello che uno scrittore vorrebbe sentirsi dire sul proprio libro, ma tant’è…

Ma passiamo al focus della recensione: La perla alla fine del mondo (seguito de I biplani di D'Annunzio, libro con cui Luca Masali ha vinto il prestigioso Premio Urania) è un romanzo di genere fantascientico, che oscilla tra passato e futuro, e di ambientazione esotica, visto che parte da Montecarlo ma svolge il grosso delle sue vicende nel deserto del Sahara.

Ecco in breve la trama: tutto parte da una serata al casino di Montecarlo, dove Citroen e Renault, nientemeno che i fondatori delle rispettive case automobilistiche, fanno una scommessa sull’attraversamento del deserto africano.

Ed è così che Citroen mette su un quattro e quattr’otto un equipaggio per vincere la scommessa, e al suo interno figura anche Matteo Campini, dipendente del casino, nonché altri personaggi: Raoul, Louis e Corinne.

Fin qui, sembra una sfida contro il deserto, e quindi una storia di avventura… ma il tutto andrà ad assumere contorni più complicati (intendo, più complicati del deserto, delle tempeste di sabbia, degli scorpioni, della sete e della fame, etc), sotto forma di personaggi provenienti da futuro e aventi ognuno una missione specifica, ovviamente in contrasto tra di loro.

Vado ora a descrivere quelli che a mio avviso sono i punti di forza e di debolezza del libro.
Contro: i personaggi sono tutt’altro che memorabili, a cominciare dal protagonista (ora, non ho letto il precedente romanzo che ha vinto il premio Urania, ma spero che in quello la situazione fosse migliore a questo riguardo); la trama non è chiarissima (tra Tetradi e Impero Neottomano, etc, il lettore spesso deve rileggere per essere sicuro degli “schieramenti”); il senso dell’umorismo di Luca Masali lascia abbastanza a desiderare, tanto che lo scritto non fa ridere quasi mai, e anzi spesso risulta ingenuo.

Pro: l’ambientazione è abbastanza curata; dietro al tutto c’è una certa ricerca storica e religiosa, con Corano, sure, ordini religiosi ed eventi storici citati in modo piuttosto sostanzioso; gli spunti introdotti sono abbastanza, tra passato, presente, reciproche missioni, etc; il libro è ben scritto.

Rimane però il fatto che La perla alla fine del mondo, pur essendo scritto bene e pur non essendo pessimo, non coinvolge (beh, non ha coinvolto me, perlomeno) e non appassiona, risultando per la gran parte del tempo noioso, e peraltro concludendosi in un finale poco credibile e monco, fatto che diminuisce ulteriormente la valutazione globale.

Se volete tentarvela con uno scrittore italiano di genere fantastico-fantascientifico (categoria che, a dirla tutta, non si distingue per qualità) il mio consiglio è di provare piuttosto con Valerio Evangelisti, o con Massimo Mongai (il primo più serio e il secondo più umoristico).

Fosco Del Nero


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Titolo: Come sedurre i nemici e plagiare gli amici (How to win friends and influence people).
Scrittore: Lucifer Satan.
Genere: saggistica, successo personale, saggistica.
Editore: De Agostini.
Anno: 2009.
Voto: 6.5
Dove lo trovi: qui.


Qualche tempo fa un amico mi ha prestato un libriccino assai curioso, sia nel titolo, che nel nome del suo autore, sia nella veste grafica, sia negli argomenti: sto parlando di Come sedurre i nemici e plagiare gli amici, scritto da Lucifer Satan (!).

Ok, detta così sembra una cosa o macabra o cinica, ma va detto fin da subito che il libro ha un’anima umoristica piuttosto forte.

In sostanza, l’autore, dietro (quello che spero sia) lo pseudonimo di Lucifer Satan, scrive una sorta di saggio su come avere successo nella vita…

… parlando però di come funziona, a suo modo di vedere le cose, la vita vera, senza le, a suo dire, stupidaggini tipo pensiero positivo, karma, comunicazione efficace, etc.

Il testo, piuttosto agile e facile a leggersi, è suddiviso in sei capitoli corrispondenti ai sette peccati capitali: avarizia, ira, gola, lussuria, accidia, invidia, superbia, proponendo per ciascuno dei capitoli degli utili, sempre a suo modo di vedere, consigli su come comportarsi nella vita per avere successo, potere, soldi e fama…

… ovviamente fregandosene degli altri, proprio come hanno fatto le persone di maggior successo del pianeta, fatto peraltro illustrato da una ricca case history.

L’autore, peraltro, sempre sotto l’egida della “Satan Corp”, ha pubblicato altri libri dello stesso tenore, come I diari del diavolo, Il successo della meretrice di Babilonia, Le cattive abitudini e i metodi per apprenderle, Se al primo colpo non ci riesci… bara, occorre dire riscontrando un certo successo.

Ora, fermo restando che non consiglierei certo di applicare le sue teorie alla vita reale (anche perché sono convinto che tutto quello che facciamo ci torna indietro, e magari moltiplicato per dieci), rimane il fatto che Come sedurre i nemici e plagiare gli amici:
- fa ridere,
- è molto ben curato in quanto ad estetica,
- contiene pure qualche verità.

A voi divertirvi nella lettura di Lucifer Satan se non vi infastidiscono simboli esoterici, sangue disegnato, effigie sataniche, etc.

Fosco Del Nero


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Titolo: Elric di Melnibonè (Elric of Melnibonè).
Scrittore: Michael Moorcock.
Genere: fantasy, fantastico.
Editore: Fanucci.
Anno: 1972.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.


Ho iniziato la lettura di Elric di Melniboné, primo libro della saga fantasy di Michael Moorcock, con grande trepidazione, un po’ per la fama positiva dell’opera, un po’ perché ci ho messo molto tempo a procurarmi il primo romanzo (uscito di produzione e solo di recente ristampato)… e come sempre l’attesa aumenta il desiderio.

La particolarità della saga di Elric, cominciata nel 1972, era quella di presentare non il classico eroe fantasy, forte, nerboruto, invincibile o qualche variazione sul tema, bensì una sorta di antieroe, un imperatore privo del carisma dell’imperatore, un guerriero privo della determinazione dei guerrieri, persino un essere umano debole e perennemente malato, costretto a ricorrere a delle pozioni curative per rimanere in sufficiente salute.
Peraltro, un albino, e dunque un uomo strano già nell’aspetto.

Elric di Melniboné, il primo libro, ci porta nel suo regno, e ci mostra Elric alle prese col regno stesso, e soprattutto col cugino Yyrkoon e con la cugina-amante Cymoril.
Inoltre, alle prese con divinità del mare, divinità della terra, divinità degli inferi, spade magiche (Tempestosa e Luttuosa).

Personaggi umani in effetti ce ne sono pochi, ed eccettuati i tre principali gli altri sono puro contorno.

Da sottolineare che anche lo stile di scrittura segue da vicino il protagonista albino, risultando anni luce dalle atmosfere epiche di un Howard o dalla schiettezza di un Martin, e proponendo invece un incedere narrativo tranquillo e serafico come il suo protagonista.

Tra l’una cosa e l’altra, ne emerge un fantasy sui generis, che non piacerà certamente a tutti, e men che mai ai fan del fantasy più classico, d’azione o di avventura (il cosiddetto heroic fantasy), ma che al contrario possiede un’anima più contemplativa e tranquilla.

Personalmente, il libro di Michael Moorcock non mi ha soddisfatto in pieno, ma comunque gli riconosco un valore sufficiente, e perlomeno mi leggerò il suo seguito, incluso nello stesso volume del primo romanzo.

Difficile però che mi avventuri nel resto della saga, composta da dieci episodi, a meno che il secondo, Sui mari del fato, non mi convinca appieno.

In conclusione, un appunto sul personaggio M. Moorcock, oltre che scrittore anche critico letterario, e pure feroce: tra i suoi bersagli, J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis per la loro letteratura fantasy stereotipata, H.P. Lovecraft e R. Heinlein per i tratti politici e razzisti di alcune loro opere.

Voi da che parte state?

Fosco Del Nero


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Titolo: Lezioni di scrittura creativa (Writing fiction).
Scrittore: Autori vari.
Genere: saggistica.
Editore: Dino Audino Editore.
Anno: 2003.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.


Chi segue il sito sa che di recente ho recensito ben tre libri sull’argomento scrittura, e precisamente Smettetela di piangervi addosso: scrivete un best seller di Renato Di Lorenzo, Scrivere zen di Natalie Goldberg e Il mestiere di scrivere di Raymond Carver.

Se tutti avevano come obiettivo il consigliare qualcosa di utile al lettore che intendesse prendere la penna in mano, lo hanno perpetrato ognuno a suo modo, come ho già avuto modo di scrivere nelle rispettive recensioni.

Chi si focalizzava sui romanzi, chi sui racconti, chi sulle poesie.
Chi suggeriva come scrivere un best seller commerciale, chi un racconto molto curato, chi una poesia ispirata.

Alla fine della fiera, ogni testo presentava qualche spunto utile, ma a mio avviso mancava una trattazione organica e onnicomprensiva…

… cosa che ho viceversa trovato in Lezioni di scrittura creativa, sorta di manuale-compendio sull’arte dello scrivere costituito da diversi saggi su vari argomenti scritti da differenti autori, tutti riconducibili però al Gotham Writers’ Workshop, celebre scuola di scrittura creativa americana (che ha sede a New York ma che è molto attiva anche online).

Il testo è composto da una decina di saggi sui punti più importanti della scrittura: la forma della storia, i personaggi, la trama, il punto di vista, le descrizioni, i dialoghi, l’ambientazione, la voce, la revisione, la pubblicazione.

Un corpus abbastanza organico, dunque, anche se ogni minisaggio può essere letto e applicato per conto suo, in modo da migliorare quel singolo “fondamentale”.

Sì, praticato, visto che gli esercizi proposti sono numerosi, e assai utili nell’ottica di utilizzare e imparare da subito i concetti inclusi nel testo.

Insomma, se dovessi consigliarvi uno dei quattro testi citati, vi consiglierei senza dubbio Lezioni di scrittura creativa del Gotham Writers’ Workshop.
A cui magari affiancherei quello di Natalie Goldberg perché il più autentico dal punto di vista della ricerca dell’ispirazione e dello scrivere come stile e piacere di vita (mentre il nostrano Di Lorenzo parla espressamente di libri di cassetta per il grande pubblico).

Qualunque scegliate, buona lettura… e buona scrittura.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il grande inverno - Le cronache del ghiaccio e del fuoco 2 (A game of thrones - Book one of a song of ice and fire).
Scrittore: George R. R. Martin.
Genere: fantasy, epico.
Editore: Mondadori.
Anno: 1996.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


Qualche mese fa ho proposto il primo libro della saga delle Cronache del ghiaccio e del fuoco di George Martin, sarebbe a dire Il trono di spade.

Chi ha letto la recensione tuttavia si ricorderà che in realtà si trattava non del primo romanzo, ma della prima parte del primo romanzo, dato che la Mondadori, probabilmente per incassare di più, ha deciso di scomporre il libro originale in due volumi differenti, chiamando questo secondo Il grande inverno.

Dunque, Il grande inverno è parte integrante de Il trono di spade, che difatti terminava nel bel mezzo degli eventi, senza nemmeno una fine parziale.

A coloro cui era piaciuto il libro, dunque, non restava altro da fare che leggere anche il prosieguo…
… e senza indugio sono stato tra questi, data la grande qualità del narrato di Martin.

Anzi, confesso senza mezzi termini che era da molto (forse dai tempi in cui lessi Howard, Tolkien, Ende e Feist) che non mi imbattevo in uno scrittore fantasy di qualità così elevata, posto che i vari Salvatore, Erikson, Donaldson, Lewis, etc mi sono piaciuti decisamente di meno.

Non è dunque fortuita la fama largamente positiva di Martin, che non a caso conta schiere e schiere di fan.

Ok, ma che tipo di fantasy è il suo?
Più vicino a quello potteriano della Rowling, più simile a quello epico-eroico di Howard, o forse parente di quello fiabesco di Tolkien ed Ende?

Nessuno di questi in realtà, dato che Martin si muove più tra diplomazia, relazioni interpersonali e arguzia che non tra magie e razze non umane.

Anzi, a dire il vero ne Il trono di spade, se si eccettua qualcosa lasciato intravedere nel prologo, praticamente non vi era alcun elemento fantasy.
In questa seconda parte del romanzo, invece, si assiste a qualcosa in più, nonché a un’evoluzione della storia piuttosto cruda e cinica.

E questa è un’altra caratteristica di George Martin: con lui non si va tanto per il sottile, tanto che a qualunque dei numerosi personaggi, protagonisti principali o secondari, può succedere qualcosa di brutto.

E se da un lato questo può causare dispiacere in chi si è affezionato a questo o quel personaggio (un altro elemento positivo è il fatto che non vi è un protagonista centrale assoluto, ma diversi punti di vista, fatto che lascia al lettore la scelta su chi seguire con maggiore simpatia), dall’altro assicura vivacità e originalità al testo.

George R.R. Martin è dunque uno scrittore assolutamente consigliato; persino irrinunciabile per gli amanti della letteratura fantasy-epica.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il grande amico Meaulnes (Le grand Meaulnes).
Scrittore: Alain Fournier.
Genere: commedia, drammatico.
Editore: Demetra.
Anno: 1913.
Voto: 4.5.
Dove lo trovi: qui.


Il grande amico Meaulnes (o Il grande amico, o Il grande Meaulnes) è considerato il classico di Alain Fournier, scrittore francese morto giovanissimo durante la Grande Guerra.

Il romanzo fu pubblicato nel 1913 a puntate su una rivista letteraria, ed ebbe da subito un forte successo.

Il suo protagonista è Augustin Meulnes, giovane benestante della provincia francese dal grande carisma, tanto da essere soprannominato dai suoi compagni di scuola il Gran Meulnes e da avere un forte ascendente su molte persone, tra cui la voce narrante della storia, François Seurel, il figlio del maestro del paese.

I due sono compagni di avventure, e proprio durante una di queste, in un luogo cui erano giunti per caso essendosi persi, essi vedranno Yvonne da Galais, di cui Meulnes si invaghirà immediatamente.
Sfortunatamente, nonostante le ostinate ricerche, il “luogo segreto” non verrà più trovato… almeno fino a quando…

La ragione che mi ha spinto alla lettura del libro risiede sostanzialmente in un equivoco: da diverse descrizioni in cui mi ero imbattuto online, sembrava trattarsi di una storia dalla forte valenza immaginifica, surreale persino.

Niente affatto, e anzi mi sono trovato tra le mani un romanzo qualunque, a metà tra commedia e dramma, senza una trama specifica e che va avanti esclusivamente intorno alla figura di Meulnes, definito come brillante e carismatico senza che però si mostra nessuna prova di tale arguzia o brillantezza (alla faccia del “show, don’t tell” delle scuole di scrittura creativa).

Ne emerge anzi l’esatto contrario di quanto speravo, ossia una storia banalotta e sciatta, priva di forza immaginifica ma anche di tensione, che peraltro pare piuttosto campata in aria in quanto a scelte dei personaggi.

Il sottotitolo di Il grande amico Meaulnes è “invito alla giovinezza”; il mio invece è “invito a non leggerlo”.
Nessuna arte, poca passione, poco acume.
L’unico motivo che mi viene in mente per la sua relativa fama è la morte precoce di Alain Fournier; si sa, difatti, che tendiamo a mitizzare coloro che non ci sono più.

Fosco Del Nero


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Titolo: Universo (The orphans of the sky).
Scrittore: Robert Heinlein.
Genere: fantascienza, fantastico.
Editore: Mondadori.
Anno: 1963.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


Dopo la commedia brillante di P.G. Wodehouse (La conquista di Londra) e l'horror di W.H. Hodgson (I pirati fantasma), torniamo a uno dei generi letterari miei preferiti, e conseguentemente uno dei generi più presenti su questo sito: la fantascienza.

E lo facciamo con uno autore mica di poco conto: Robert Heinlein, uno degli scrittori dell’Età d’oro della fantascienza (anni "40 e "50), nonché autore di romanzi che hanno fatto storia, come per esempio Starship troopers - Fanteria dello spazio, da cui è stato tratto qualche anno fa l’omonimo film.
Un altro dei suoi classici è Universo, libro del 1963, considerato un capolavoro della fantascienza.

Dico subito che mi ha deluso, e neanche poco.
Dalle sue credenziali, nonché dalla fama dell’autore, mi attendevo difatti un testo profondo e coinvolgente, se non proprio visionario e importante, e invece mi sono trovato tra le mani un libro dalla trama semplice e banalotta, pieno di cliché, con personaggi poco interessanti e anzi più simili a macchiette, e con una trama che parte da un’idea ma non la sviluppa, preferendo rifugiarsi in qualche scena d’azione.

Peraltro, l’evoluzione degli eventi è piuttosto improbabile, cosa che lo stesso Heinlein non manca di far dire al suo narratore, pregando il lettore di non farsi domande sulla coerenza degli avvenimenti… !

Ad ogni modo, ecco la trama di Universo: la storia è ambientata in un imprecisato futuro, e in un imprecisato punto dello spazio, all’interno di un’astronave, talmente grande da essere considerata l’universo stesso.

I suoi abitanti, difatti, vi vivono da talmente tanto tempo, generazioni su generazioni, da aver dimenticato la loro provenienza (ovviamente il pianeta Terra), nonché cosa siano i pianeti, le stelle, la natura, etc.

La popolazione, peraltro, si divide in due grandi razze: gli uomini e i mutanti, divenuti deformi a causa di radiazioni nocive, e poi diventati nel tempo sempre più strani (ci sono per esempio uomini con due teste e due personalità distinte); le due razze vivono in piani diversi dell’astronave, enorme tanto in lunghezza quanto in altezza, composta per l'appunto da numerosissimi livelli.

Per l’uomo Hugh Hoyland, tuttavia, il destino ha in serbo qualcosa di diverso dalla solita vita “uomo che lotta contro i mutanti”, visto che egli, catturato proprio dai mutanti, ha l’opportunità di vivere con loro, per quanto come servo, e di imparare alcune cose che gli uomini dei livelli più bassi non sanno, nonché di vedere qualcosa di strano…

Parte da qui il moto che rivoluzionerà gli eventi sull’astronave-universo, in un mix tra pura azione e riflessione concettuale, persino su temi importanti come paradigma di vita, convinzioni limitanti, diversità-razzismo-classismo, etc.

A proposito di diversità, fa sorridere come Heinlein ponga chiaramente le donne su un piano inferiore, ignorandole per quasi tutto il romanzo, e poi citandole solo come “bagaglio degli uomini”, peraltro un bagaglio poco utile, che si può tranquillamente malmenare o trascurare.

Anche il contrasto tra uomini dominatori e mutanti primitivi lascia un po’ perplessi, specie perché i mutanti-primitivi, a differenza degli uomini “sani”, hanno più di una moglie, il che introduce anche il classismo religioso oltre che quello sessuale e quello fisico...
Vabbé, ma in fondo parliamo di un romanzo scritto a partire dagli anni "40, e al tempo mi pare che ci fossero ancora i dinosauri.

Ad ogni modo, come dicevo in apertura Universo di Heinlein mi ha un po’ deluso (l'unica cosa lodevole probabilmente è la premessa di partenza di un microcosmo che ha perso coscienza del resto tanto da considerare se stesso come l'unica realtà esistente), e forse non è un caso che Heinlein non sia mai stato uno dei miei scrittori preferiti della fantascienza di quel periodo (al contrario, per esempio, dei vari Van Vogt, Asimov, etc).

Fosco Del Nero


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Titolo: Il mestiere di scrivere.
Scrittore: Raymond Carver.
Genere: saggistica.
Editore: Einaudi.
Anno: 1997.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.


Questo è il terzo libro sulla scrittura che recensisco negli ultimi tempi, dopo Smettetela di piangervi addosso: scrivete un best seller di Renato Di Lorenzo e Scrivere zen di Natalie Goldberg.

L’uno era agli antipodi dell’altro, per diversi motivi: il primo si riferiva principalmente ai romanzi, il secondo alle poesie; il primo elencava passo passo le cose che non devono mancare in uno scritto, il secondo puntava sull’ispirazione; il primo si poneva come obiettivo insegnare a scrivere un libro di successo, il secondo puntava invece alla scrittura come stile di vita, per il puro piacere di scrivere, e questo al di là di pubblicazione e dati di vendita.

Come si situa invece questo Il mestiere di scrivere di Raymond Carver?

Intanto, occorre dire che dei tre Carver è certamente quello che, testi alla mano, ha avuto la maggiore importanza in ambito letterario, finendo anzi per diventare uno degli scrittori di racconti più apprezzati delle ultime decadi negli Usa.

In secondo luogo, bisogna precisare anche che non si tratta di un saggio unico, bensì di una somma di singoli testi, nonché di alcune lezioni estrapolate dai suoi (apprezzatissimi) corsi di scrittura creativa.

Dunque, non vi è un filo conduttore unico, come nel caso degli altri due testi citati, ma una serie di singoli scritti, da cui comunque si possono estrapolare alcuni suggerimenti.

Per esempio, il fatto che ogni scrittore ha una sua impronta (o comunque dovrebbe averla, dice Carver!); il fatto che se si vuole scrivere bisogna avere il coraggio di farlo mettendoci tutto se stesso; il fatto che esiste il talento, esiste lo studio, ma vi sono anche degli influssi irresistibili sotto forma di persone ed eventi; il fatto che è importante avere un mentore, tanto come maestro di scrittura, quanto come motivatore (il suo fu John Gardner); il fatto che è molto importante riscrivere-rivedere-correggere quanto scritto (questo specie per le forme narrative brevi); il fatto che chi scrive deve saper comunicare all’esterno le emozioni che ha all’interno; il fatto che le coincidenza della vita vanno colte.

Il mestiere di scrivere di Raymond Carver non è quindi un manuale di scrittura, come non è una biografia dello scrittore americano, ma una via di mezzo, con alcuni piccoli saggi scritti in vari momenti della sua vita che includono un po’ di questo e un po’ di quello; alla fine della fiera, il prodotto finale è più che altro, come recita il titolo, una piccola guida al “mestiere dello scrittore”, un mestiere fatto di rinunce e difficoltà (almeno, nel caso di Carver).

Nella parte finale del testo, peraltro assai breve, vi sono alcuni esercizi, anche se definirli esercizi è un poco esagerato, posto che si tratta solamente di alcune tracce su cui scrivere un racconto.
Nel caso, tenete conto di quanto detto prima di acquistare il volume.

Fosco Del Nero


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Titolo: I pirati fantasma (The ghost pirates).
Scrittore: William Hope Hodgson.
Genere: horror, fantastico.
Editore: Newton Compton.
Anno: 1909.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.



I pirati fantasma è una delle opere più conosciute di William Hope Hodgson, uno scrittore già apparso su Libri e Romanzi per via del meraviglioso La casa sull’abisso, considerato non a caso uno dei suoi capolavori (insieme probabilmente a La terra dell’eterna notte, ma anche ai racconti dedicati all’"acchiappafantasmi" Carnacki).

Dunque, ho già avuto modo di esprimere la mia ammirazione per il talento dello scrittore britannico, talento che ha dato il meglio di sé in ambito orrorifico-metafisico, ma che si è espresso in molti altri settori: giallo, fantascienza, noir, poesie, etc.

E non solio in ambito letterario, visto che W.H. Hodgson, pur all’interno di una vita piuttosto corta (è morto a quarant’anni durante la grande guerra a causa di una granata tedesca), è stato: marinaio e ufficiale, fotografo, pugile e istruttore di palestra, conferenziere, nonché ovviamente scrittore (di romanzi, racconti e poesie).

Nato nel 1877, egli ha dunque avuto una vita assai avventurosa, soprattutto nei suoi numerosi e lunghi viaggi via mare.

Non a caso, mare e acqua sono uno dei suoi temi ricorrenti; nello stesso La casa sull’abisso l'acqua era un elemento importante, e lo è a maggior ragione anche ne I pirati fantasma.

I testi di W.H. Hodgson puntano il dito sulla potenza dell’inconscio, decisamente più forte del conscio, e riescono come pochi a suscitare una sorta di paura dell’ignoto, spesso tanto sconosciuto quanto minaccioso.

In tal senso, non stupisce la vicinanza letteraria con quello che probabilmente è il più grande genio letterario dell’esoterico-misterioso-orrorifico, quell’Howard Phillips Lovecraft che dichiarò di essere stato influenzato da Hodgson, come peraltro Hodgson dichiarò la medesima cosa verso Lovecfraft, essendo stati i due contemporanei.

Tornando a questo I pirati fantasma, il giudizio è assai semplice: l’ambientazione è buona ed efficace, la trama è interessante e sempre coinvolgente.

I pirati fantasma di William Hope Hodgson alla fine della fiera è un racconto lungo che mescola elementi horror con la tensione tipica del thriller.
Come detto, Hodgson fa del mare il perno centrale della vicenda, e proprio dal mare scaturiscono quegli elementi spaventosi e irrazionali che determinano poi il finale drammatico.

Un bel libro, dunque, che merita di essere letto, anche se, a mio avviso, è inferiore allo spettacolare e irrinunciabile La casa sull’abisso (non ho ancora letto invece La terra dell’eterna notte, ma è certo che prima o poi lo farò…).

Fosco Del Nero


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Titolo: La conquista di Londra (Bill the conqueror).
Scrittore: Pelham Grenville Wodehouse.
Genere: commedia.
Editore: Tea.
Anno: 1924.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


Tempo fa, preso da un’irresistibile smania per le commedia femminili in stile I love shopping (ma sul sito sono passati anche Devo comprare un mastinoAl diavolo piaceColazione da Tiffany TrottNome e indirizzo: sconosciutiAmore al cioccolatoManuale di caccia e pesca per ragazze, etc), avevo comprato anche La conquista di Londra di Pelham Grenville Wodehouse, che, per via della copertina e del periodo di boom per questo filone, mi era sembrato del medesimo genere narrativo (che mi diverte alquanto, se non si fosse capito).

L’assenza del nome dell’autore (uomo), puntato alle sole iniziali, aveva contribuito all’inganno, unito al fatto che ignoravo che trattavasi di un romanzo del 1920 circa.
Impossibile dunque ricondurlo a quel filone…

Mi è andata bene comunque (ogni tanto acquisto libri a casaccio, dietro la sola ispirazione), visto che mi sono trovato tra le mani uno scritto dalla grande effervescenza, la cui vetustà (è nato 130 anni fa!) nulla toglie alla freschezza del suo narrato, che corrisponde a una commedia degli equivoci di tipo sentimentale assai briosa.

Il protagonista è Bill West, perdutamente innamorato della bella Alice Coker, peraltro sorella del suo amico Judson.

Il suo viaggio a Londra di cui al titolo riguarderà proprio questi tre personaggi, per quanto in modo differente: Bill vuole dimostrare a se stesso e al suo ricco zio di valere qualcosa, e inoltre aderisce alla richiesta di Alice di prendersi cura del malposto fratello, allontanandolo dai divertimenti e dall’alcol in cui era immerso a New York.

Durante il viaggio, Bill rincontrerà Felicia Sheridan, a cui da piccola aveva salvato la vita, e che non lo aveva nel frattempo affatto dimenticato, in un crescendo di situazioni umoristiche.

La conquista di Londra di P.G. Wodehouse è una commedia piuttosto leggera, dunque, che merita la lettura non solo per gli eventi oggetto della trama (tutto sommato innocui enon certo trascendentali), ma soprattutto per il grande mestiere da narratore di Wodehouse, che personalmente non conoscevo ma che ho scoperto essere diventato assai noto già in vita, e peraltro molto apprezzato, autore di ben novanta romanzi, che vendeva regolarmente e con buon successo.

Non un caso, dunque, con lo scrittore che dimostra di saper usare la penna e intrattenere il lettore.
Buonumore assicurato.

Fosco Del Nero


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Titolo: I giardini della Luna - La caduta di Malazan - Volume primo (Gardens of the Moon).
Scrittore: Steven Erikson.
Genere: fantasy.
Editore: Armenia.
Anno: 1999.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.


Uno strazio: probabilmente uno dei romanzi che più mi ha annoiato in assoluto da sempre.

Ok, ok, vedo già i numerosissimi fan di Steven Erikson che sbraiteranno a causa della pessima valutazione assegnata a I giardini della Luna, primo libro del ciclo de La caduta di Malazan, cosa peraltro già accaduta in passato con qualche offeso ammiratore di qualche libro da me poco apprezzato.

Tuttavia, non ci posso fare niente: ho letto tutte le 600 pagine del romanzo, e non ne sono rimasto catturato mai.

Ci sono alcuni libri che, magari a causa di un incipit un po’ ostico, ti prendono solo dopo 50 o persino 100 pagine (mi viene in mente l’eccellente Domani le stelle di Orson Scott Card), e difatti questa era la mia speranza… sfortunatamente disattesa.

Forse gran parte della colpa sta nell’eccessiva mole, veramente impressionante, di nomi di persone, luoghi, razze, eventi, etc, tanto che si fa fatica a ricordare tutto e tutti, si deve spesso consultare gli elenchi di fine volume e si deve ogni santa volta fare mente locale sull’appartenenza a un certo schieramento di questo o quel personaggio, fatto che inevitabilmente spezza la lettura.

Certamente la trama molto fitta e con continui balzi, spaziali e temporali, non agevola il già confuso lettore, anche se la questione non può essere relativa al solo intreccio, posto che altri autori sono soliti disegnare trame assai complesse, eppure ben comprensibili e anzi molto coinvolgenti (in ambito fantasy, mi viene in mente George Martin).

Ma forse è semplicemente una questione di gusti: a me piacciono Martin, Ende, Tolkien, Feist, Howard, Haggard, e magari a qualcun altro piaceranno altri scrittori fantasy, da Erikson a Salvatore, da Paolini a Brooks, da Donaldson alla Rowling...

Insomma, a ognuno il suo a seconda delle proprie preferenze su stile, intreccio, caratterizzazione dei personaggi, ambientazione, genere dominante, etc…

… e il mio, a quanto pare, non è Steven Erikson, che sarà pure un big della narrativa fantastica, ma che mi ha annoiato da morire.

Fosco Del Nero


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Titolo: Scrivere zen (Writing down the bones).
Scrittore: Natalie Goldberg.
Genere: saggistica.
Editore: Ubaldini.
Anno: 1986.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


Di recente ho recensito un manuale sullo scrivere, e specificamente Smettetela di piangervi addosso: scrivete un best seller, di Renato Di Lorenzo, saggio in cui l’autore esplicitava le più importanti regole per scrivere un buon romanzo, dal plot ai personaggi, all’uso degli aggettivi al conflitto, etc.

Con oggi facciamo il bis, con un altro testo sulla scrittura: Scrivere zen, di Natalie Goldberg.
I due manuali, peraltro, sono decisamente agli antipodi l’uno rispetto all’altro.

Intanto perché quello di Di Lorenzo, come annuncia nel titolo, si rivolge ai romanzi, e in particolare a quelli di cassetta, mentre la Goldberg è una poetessa e si rivolge soprattutto a quel tipo di produzione letteraria.

In secondo luogo, ed è il punto principale, perché Di Lorenzo illustra quelle che, ovviamente secondo lui, sarebbero le “regole del buon romanzo”, quelle in mancanza delle quali un romanzo è da considerare non sufficiente (che poi molti grandi autori del passato e del presente non le osservino immagino sia un dettaglio…), mentre l’autrice americana cerca più che altro l’ispirazione.

Ancora, l’obiettivo del primo testo è quello di scrivere dei romanzi da vendere, mentre Scrivere zen si riferisce alla scrittura come a una mission di vita, al di là poi dei soldi che ne possono arrivare come conseguenza secondaria (o persino terziaria).

Certo, alcune considerazioni sono in comune, come il celebre “show, don’t tell” (mostra, anziché dire), però il paradigma di fondo è completamente diverso.

La mia valutazione, peraltro, è più o meno la stessa, visto che in ambo i casi ho trovato degli spunti degni di nota, ma non un “manuale definitivo” sull’argomento (che, peraltro, suppongo sia difficilissimo da realizzare, se non impossibile).

Ad ogni modo, spunti ce ne sono da entrambe le parti, come detto, e magari sta al singolo lettore orientarsi più sull’uno (nel caso si vogliano nero su carta gli elementi principali di un romanzo) o più sull’altro (nel caso si cerchi l’ispirazione più che la costruzione) a seconda delle preferenze individuali.

Di mio, ho preferito leggermente Scrivere zen di Natalie Goldberg, anche per il sostanzioso condimento di esperienze di vita di una vera scrittrice… di poesie, di racconti o di romanzi poco importa.

Fosco Del Nero


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Titolo: La tomba e altre storie dell’orrore.
Scrittore: Howard Phillips Lovecraft.
Genere: horror, grottesco, fantastico.
Editore: Newton Compton.
Anno: 1920 circa.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


Di Howard Phillips Lovecraft, uno dei miei scrittori preferiti sin dalla mia adolescenza, ho già presentato un paio volumi, e segnatamente Kadath e Colui che sussurrava nel buio.

Con La tomba e altre storie dell’orrore, altro volumetto edito in forma economica dalla Newton Compton, andiamo quindi a quota tre.

Invito chi non avesse mai sentito parlare di Lovecraft a leggersi le recensioni prima citate, quella di Kadath soprattutto, in cui sintetizzo, ammesso che sia possibile farlo in modo efficace, la visione letteraria (e forse non solo letteraria) di Lovecraft, creatore (ma forse solo relatore) di un pantheon orrorifico non da poco.

I suoi Miti di Cthulhu sono ormai leggenda letteraria, tanto che la loro fama ha da tempo travalicato i limiti del mondo letterario, sconfinando nel cospirazionismo e nell’esoterismo (a tal riguardo si veda il caso del Necronomicon scritto dall’arabo pazzo Abdul Alhazred, da Lovecraft citato e forse costatogli la vita, data la sua morte in circostanze sospette e a seguito di ripetute minacce).

Ma rimaniamo sui libri, che poi sono quello che ci interessa: se è vero che H.P. Lovecraft deve la sua fama al Ciclo di Cthulhu, è da dire che il volume in questione non appartiene a tale corpus letterario, comprendendo invece sette racconti dell’orrore di tipo generico, ovviamente incentrati sul tema della morte (anche senza Cthulhu, è pur sempre Lovecraft).

Tali racconti sono: La tomba, Il tempio, Il divoratore di spettri, Nella cripta, I cari estinti, Due bottiglie nere, Il boia elettrico.

Dei sette, il racconto più noto e apprezzato è proprio quello che dà il titolo alla raccolta, ossia La tomba.
Ma tutti portano l’impronta del genio di Providence, e, benché slegati dalla sua tipica produzione cthulhiana, presentano profondità e, soprattutto, suspence narrativa.

Fosco Del Nero


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Titolo: Abaddon (Abaddon).
Scrittore: James Morrow.
Genere: commedia, surreale, fantastico, drammatico.
Editore: Il saggiatore.
Anno: 1996.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


Finalmente, dopo ormai anni dall’acquisto, ho letto Abaddon di James Morrow.

La distanza temporale non è stata dovuta allo scarso interesse suscitato in me dal libro, ma dal fatto che, dopo l’acquisto, mi resi conto che trattavasi di un seguito, e precisamente del sequel de L’ultimo viaggio di Dio, libro che però risultava difficile da reperire.

Dopo un po’ di tempo, come dicevo, ce l’ho fatta a trovare il primo e quindi a leggere entrambi.

L’ultimo viaggio di Dio mi era piaciuto discretamente, anche se, ad essere onesto, nutrivo per il romanzo aspettative più elevate, dato l’incipit estremamente originale e brillante, nonché la fama di Morrow di scrittore arguto e ironico.

Ecco in breve lo spunto di partenza: un bel giorno nell’oceano Atlantico precipita un enorme corpo umano.
Umano perché di fattezze umane, benché giganti, ma identificato presto come corpo di Dio.
Se corpo vivo, corpo morto, corpo in coma o che altro era tutto da vedere.
Nel dubbio, esso era stato posto in una sorta di stato criogenico in una caverna del Polo Nord.

In questo secondo libro Morrow riprende le fila del discorso, mutando tuttavia tanto i protagonisti quanto il genere, che passa da prevalentemente avventuroso a prevalentemente concettoso.

Un bel giorno, Martin Candle, giudice di pace di Abaddon perseguitato dalla sfortuna (cancro alla prostata, morte della moglie in un incidente, etc), decide di citare Dio al tribunale internazionale dell’Aia.

Sembra un processo improbabile e peraltro costosissimo, e quindi non fattibile, quando salta fuori un finanziatore, il ricco Lovett, desideroso di ottenere per Dio un verdetto di innocenza tanto quanto lo è Candle di ottenerne uno di colpevolezza.

Il libro, intelligente e vivace, oscilla tra malattie (di Candle e di tutti i casi umani portati a testimoniare contro Dio) e sofismi intellettuali (difesa ontologica, libero arbitrio, etc), risultando decisamente vario e dai diversi livelli di lettura.

Sarò sincero ancora una volta: L’ultimo viaggio di Dio mi aveva deluso un poco (perché mi aspettavo molto), e ugualmente mi ha deluso un poco Abaddon, che peraltro mi è piaciuto un po' meno del suo predecessore, pur essendo esso stesso un testo discreto.

Anche se, sempre in nome dell’onestà, devo dire di aver letto le quasi 400 pagine del libro piuttosto in fretta, segno che comunque il romanzo mi ha interessato e coinvolto, da cui la valutazione comunque positiva.

Peraltro, James Morrow è uno scrittore di un certo livello, che ha anche conseguito importanti premi internazionali (per esempio con il romanzo distopico Il ribelle di Veritas).

Fosco Del Nero


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Titolo: Smettetela di piangervi addosso: scrivete un best seller.
Scrittore: Renato Di Lorenzo.
Genere: saggistica.
Editore: Gribaudo.
Anno: 2006.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.


L’articolo odierno è dedicato a un testo che potrebbe interessare molto da vicino coloro che avessero a loro volta l’ambizione (o anche solo la passione, che poi è quello che conta) di scrivere libri: mi riferisco a Smettetela di piangervi addosso: scrivete un best seller, di Renato Di Lorenzo.

Sostanzialmente, siamo di fronte a un manuale sulla scrittura, come se ne vedono molti in giro.

L’assunto alla base di tale manualistica sta nel fatto che, se il talento si può possedere o meno in una certa misura, il mestiere dello scrivere sia invece tale, e vada in tal senso educato e addestrato (Stephen King lo ha sempre sostenuto, e qualche libro lo ha venduto…).

Il testo di Di Lorenzo, nonostante il titolo provocatorio, e anzi un po’ furbetto, non è discorsivo o evanescente, ma anzi offre numerosi spunti e consigli all’aspirante scrittore su come scrivere un romanzo.

L’autore, romanziere egli stesso, parte dai punti base, come verbi, sostantivi, aggettivi e avverbi, e poi si avventura nella struttura portante di un’opera di fantasia, con suspence, conflitto, personaggi, plot, dialoghi, etc.

Gli ultimi capitoli del libro, tutti agili e sintetici, sono dedicati invece ai punti più sottili: premise, tema, riscrittura, punti di vista, flashback, etc.

Sarò sincero, come mia abitudine peraltro.
Ho trovato in Smettetela di piangervi addosso: scrivete un best seller dei suggerimenti interessanti, nonché considerazioni assolutamente condivisibili, ma anche qualche contraddizione (per esempio in un punto Di Lorenzo consiglia di adottare uno stile di scrittura essenziale, riducendo al minimo aggettivi e avverbi, salvo poi citare come esempio di grande letteratura scrittori dallo stile assai pomposo e decisamente poco essenziale; e questo senza cercare D’Annunzio o altri scrittori decadenti o romantici… o scrittori che, semplicemente, hanno il loro stile e che fanno funzionare le loro storie con quello) e qualche aspetto opinabile (se non ve ne fossero, d’altronde, esisterebbe una scienza dello scrivere perfetta, cosa che evidentemente non è, data la straordinaria diversità di registri stilistici in giro).

Insomma, a mio avviso il libro di Renato Di Lorenzo va bene per trarne degli spunti, ma, come tutte le cose della vita, non va assolutizzato.

Fosco Del Nero


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