Il cammino del mago

Titolo: La fine di New York (New York verskinkt!).
Scrittore: Erik Jan Hanussen.
Genere: fantascienza.
Editore: Mediterranee.
Anno: 1931.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui


Mi ero procurato La fine di New York per via della fama di Erik Jan Hanussen, famoso veggente del ventesimo secolo, famoso tanto per i suoi poteri medianici quanto per essere stato stretto consigliere di Hitler… e successivamente ucciso dalle SS, forse proprio per la sua amicizia con Hitler, o forse perché sapeva troppo ed era un personaggio scomodo.

A parte le sue tristi vicende personali, l’aspetto interessante di questo suo libro è uno, anzi due: il primo è che è stato scritto interamente in trance, a memoria umana il primo del suo genere, registrato tramite fonografi e poi messo su carta; il secondo è che va a descrivere la distruzione di New York… e sarebbe peraltro nato proprio da una domanda rivolta ad Hanussen sulla New York del 2500, alla quale lui avrebbe prima risposto che in quell’epoca New York non sarebbe più esistita, e dopo registrato il testo in questione.

Testo che, New York a parte, pare essere anticipatorio di svariate cose, realizzatesi già totalmente o parzialmente. Ad esempio, l’apertura dell’atomo e la bomba atomica, l’uso dell’energia solare, gli Stati Uniti d’Europa (per i quali le élite nascoste stanno lavorando da molto tempo) e la presidenza a turno, il trapianto d’organi, robot e sensori di sicurezza, la diffusione della televisione… ma anche elementi meno tecnologici come l’inaridimento dei sentimenti a favore di una scienza più fredda, un’alimentazione più ragionata… e anche cose ancora di là da venire, ma successe in passato, come la costruzione di città sotterranee e la comunicazione con una civiltà esistente su Marte.

Al di fuori del suddetto libro, in altri contesti Hanussen (ch'era lo pseudonimo di Herschmann Chaim Steinschneider) predisse tanto altro: l’ascesa al potere di Hitler, la guerra mondiale, la sconfitta del nazismo e la rovina di buona parte del mondo, la riunificazione della Germania (persino prima che fosse divisa, cosa accaduta dopo la Seconda Guerra Mondiale), senza contare l’enorme mole di fatti più trascurabili e legati alle vite di singole o poche persone, cosa che gli aveva assicurato una fama enorme in tutto il mondo dell’epoca.
Pare che egli avesse previsto anche la sua morte, ma che ritenesse impossibile sfuggirle avendo ormai messo in moto certi meccanismi.

Ma veniamo ora a La fine di New York: il libro in sé non è che mi sia piaciuto molto.
Al di là dell’interesse legato all’aspetto previsionale-anticipatorio, il romanzo in sé è mediocre: ci sono 120 pagine circa riempite con personaggi bislacchi, situazioni abbastanza assurde (compreso un elisir per resuscitare i morti… in attesa che avvenga anche questo, di mio considero tale elemento narrativa fantastica) e dialoghi forzati. 
Insomma, come romanzo La fine di New York non vale granché.

Rimane la curiosità per gli argomenti anticipati, quando di poco e quando di molto, e forse ciò da solo può essere un motivo sufficiente per leggersi questo libro del 1931 di Erik Jan Hanussen.

Fosco Del Nero


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Titolo: Narciso e Boccadoro (Narziss und Goldmund).
Scrittore: Hermann Hesse.
Genere: avventura, esistenziale.
Editore: Mondadori.
Anno: 1930.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.


Dopo le recensioni de Il vagabondoPeter Camenzind e Siddharta, giunge quella del quarto libro di Hermann Hesse che mi son comprato: Narciso e Boccadoro, uno dei romanzi più famosi dello scrittore tedesco, probabilmente insieme allo stesso Siddharta, a Il lupo nella steppa e a Il giuoco delle perle di vetro (di questo ho ascoltato un lungo audiolibro, e prima o poi leggerò anche il libro).

Narciso e Boccadoro segue di otto anni Siddharta, e un lettore interessato agli argomenti esistenziali, come era lo stesso Hesse, si attenderebbe in un così lungo lasso di tempo un aumento di consapevolezza da parte di chi scrive… e invece non è stato così.
Anzi, in Narciso e Boccadoro i limiti di consapevolezza di Hesse si notano ancor più che in Siddharta, che forse è il libro meno hessiano tra i suoi (o almeno tra quelli che ho conosco io), e che anzi non pare nemmeno un romanzo quanto una composizione da tesi di laurea.

Viceversa, Narciso e Boccadoro è romanzo duro e puro, e narrativamente dà qualche lunghezza a Siddharta, che però, nel suo essere più lindo e sintetico, gli è avanti in quanto a messaggio… anche perché molto probabilmente per “comporlo” Hesse si è rifatto alla tradizione spirituale indiana, senza metterci troppo del suo.

Ma veniamo alla trama di Narciso e Boccadoro, ambientato in un Medioevo non meglio precisato temporalmente e geograficamente, ma molto ben precisato culturalmente: i due protagonisti si conoscono in un monastero cattolico e fanno presto amicizia, riconoscendo l’uno la grandezza dell’altro. Quella di Narciso, intellettuale ed erudito per vocazione, è un po’ più avanti essendo egli più anziano, mentre quella di Boccadoro, viaggiatore ed epicureo, è un po’ più indietro essendo egli più giovane.
Due qualità molto diverse, dunque, accomunate dal fatto di essere ognuna un’eccellenza nel suo campo, cosa di cui si avvede presto il savio Narciso, il quale è presente nella narrazione all’inizio e alla fine, mentre nel centro c’è il solo Boccadoro con le sue esperienza di vita… vivaci, variegate e dedicate al viaggio, alla sopravvivenza, alla carnalità e ai sentimenti.

Era da molto che un libro non mi teneva incollato alle sue pagine, anche in ore notturne, mentre Narciso e Boccadoro lo ha fatto: ciò, da solo, è un punto d’onore a suo vantaggio… ma che Hesse fosse un ottimo autore non era oggetto di discussione.
Non vi ho trovato la profondità che, otto anni dopo Siddharta, auspicavo che vi fosse, ma pazienza; il romanzo rimane comunque un grande romanzo, ed ha una dote non comune: quella di suggerire al lettore la sua natura, e quindi anche il suo destino inteso come percorso esistenziale preferibile, in base al fatto che egli si “sintonizzi” maggiormente con lo studioso Narciso o con l’artista Boccadoro.
Peccato che nessuno dei due personaggi arrivi al punto massimo di quella strada, ma come detto pazienza.

Nel cammino c’è comunque spazio per insegnamenti e riflessioni: sulla propria natura di fondo, come detto, ma anche sull’impermanenza delle cose materiali e sulla ricerca interiore.
Non tanto da farne un testo “esistenzial-spirituale”, ma abbastanza affiancato a un romanzo di gran qualità.

Fosco Del Nero


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