Il cammino del mago

Titolo: La casa tra i mondi (The house between the worlds).
Scrittore: Marion Zimmer Bradley.
Genere: fantasy, psicologico.
Editore: Fanucci Editore.
Anno: 1988.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui


Quanto sento il nome di Marion Zimmer Bradley inevitabilmente penso al suo eccellente, e forse ancora più che eccellente, Le nebbie di Avalon, che ho letto anni fa e a cui sono rimasto affezionato, nonostante il mondo di Re Artù e di Avalon non mi abbia mai attirato troppo. Anche se, a onor del vero, il suo seguito Le querce di Albion non è stato all’altezza, come peraltro era probabile che fosse.

Capitatomi tra le mani La casa tra i mondi, dunque, ed essendo esso non legato al mondo magico-celtico, ma essendo un fantasy in piena regola, il quale peraltro è il genere prediletto della Bradley, mi attendevo molto da quest’altro libro di M.Z. Bradley… ma le attese sono state in buona parte deluse.

Andiamo subito a tratteggiare la tram: Cameron Fenton è un ricercatore nell’ambito della parapsicologia, e sta partecipando a un esperimento in cui si cerca di potenziare le doti esp delle persone tramite l’assunzione della droga Antaril. La suddetta droga, tuttavia, più che potenziale i suoi sensi extra-sensoriali, lo proietta in un mondo parallelo, quello degli Alfar, che Cameron scopre poi essere solo uno dei tanti: c’è anche il mondo di Pentarn, quello degli Ironfolk, quello del cosiddetto Gnomo, una sorta di elementare della terra.
Cameron ha ovviamente dubbi: quei mondi sono reali o sono frutto dei deliri indotti dalla droga? La sua fidanzata Sally, molto razionale, propende per la seconda ipotesi, ma lui rimane in dubbio fino alla fine… e per ben trecentocinquanta pagine.

La casa tra i mondi è solamente sufficiente: incuriosisce, se vogliamo, ma tutto sommato è abbastanza prevedibile e scontato, e anche un po’ forzato in alcuni punti, soprattutto quelli relazionali tra i protagonisti.
C’è qualche elemento di interesse, tuttavia, e anzi nel finale il romanzo propone una visione molto bella, affermata per bocca dell’elementale della terra: “Tutta la vita è una”. Probabilmente l’autrice intendeva arrivare ad essa in una sorta di crescendo rossiniano, e proporla come insegnamento importante. L’insegnamento è invero importante, ma il percorso per arrivarvi  ai miei occhi non è  stato particolarmente efficace.

Ma forse La casa tra i mondi non è il romanzo migliore di Marion Zimmer Bradley, che in effetti è famosa per altri libri e soprattutto per il lunghissimo Ciclo di Darkover (composto da ben ventidue romanzi più varie pertinenze… che è esattamente ciò che mi ha sempre dissuaso dal cominciarlo).

Fa niente; ci saranno altre occasioni.

Fosco Del Nero


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Titolo: Nell’anima del mondo.
Scrittore: Italo Bertolasi.
Genere: geografia, viaggi.
Editore: Urrà Edizioni.
Anno: 2010
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.


Mi ero procurato il libro Nell’anima del mondo, scritto da Italo Bertolasi, per quello che pareva un mix tra viaggio fisico e percorso interiore; il primo era evidente dalla presentazione del libro, che parlava di “mondo”, “viaggi” e “pellegrinaggi”, mentre il secondo era ipotizzabile per via dell’editore, Urrà Edizioni, che solitamente pubblica testi legati alla crescita personale.

Dei due elementi, quello più prevalente è in assoluto il primo, mentre il secondo invero è quasi del tutto assente, se non nella citazione di alcune pratiche come il tai chi, la camminata meditativa, e altre ancora.

Il primo elemento, invece, è presente in modo massiccio, e mi è piaciuto davvero molto. Tanto più che il libro, di formato ampio e assai ben curato dal punto di vista editoriale, ospita un’enorme quantità di foto, di buona qualità e molto belle a vedersi, di valore ancor più alto in quanto testimoniano realtà che probabilmente adesso non ci sono più o sono state contaminate da progresso, turismo e globalizzazione e stanno dunque scomparendo.
Libri e testimonianze come questa sono dunque a dir poco preziose.

Ma andiamo con ordine: Italo Bertolasi è un viaggiatore di lunga data, uno di quelli che, sull’onda di un desiderio di avventura e di una vita autentica, ha girato il mondo fin da ragazzo, collezionando così un gran numero viaggi, di posti visitati e di cose da raccontare.

Nell’anima del mondo descrive i suoi viaggi, o almeno una parte di questi, dal momento che immagino che il tutto sia stato molto sintetizzato, in Giappone, Nepal, Pakistan, Cina e Bali.
Per ognuno di tali viaggi, Bertolasi propone molte foto, il racconto della sua esperienza personale, un po’ di storia del paese e un po’ della sua cultura, dando forte precedenza alle pratiche religiose, spirituali e salutistiche dei suddetti popoli antichi (pur senza arrivare mai a essere un testo di genere evolutivo).
Ecco così che nel libro si parla soprattutto di zen, di sufismo, di sciamanesimo, di taoismo, di induismo… ma anche di trekking avventurosi, percorsi spirituali, pratiche di benessere, rimedi salutistici, etc.

Al di là di tutto quel che viene detto, tuttavia, quel che colpisce sono soprattutto le foto, alcune davvero meravigliose.

Per via di tutta la bellezza proposta, all’autore si perdonano anche alcune ingenuità linguistiche, nonché alcune immotivate fissazioni su alcuni vocaboli, come il verbo “sperdersi”, o come l’enorme mole di “erotico”, “vagina”, “vulva”,  “fallo”, di cui il libro abbonda.
Peccati veniali: quel che resta è un’opera di grande bellezza, che può essere d’ispirazione a tanti in diversi sensi, o che come minimo mostrerà molte cose meravigliose a chi la leggerà.

Bonus del testo: ogni tanto spuntano dei piccoli capitoli in cui viene suggerito dove e come praticare in Italia qualcuna delle tecniche di benessere descritte nel libro.

Andando a concludere la recensione, Nell’anima del mondo di Italo Bertolasi è un testo molto bello e valido nella sua componente viaggi-avventura-storia-cultura.

Fosco Del Nero


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Titolo: Missione in montagna - Compact 2 (Secret agent A.C.E. - Compact 2).
Scrittore: Stephen Thraves.
Genere: librogame, avventura.
Editore: E.L.
Anno: 1993.
Voto: 5.
Dove lo trovi: nel mercato dell’usato.


Dopo Il mostro di Loch Ness, il primo librogame della ricercatissima serie Compact (assai ricercata perché vale molto, non perché sia particolarmente bella), ecco il secondo libro: Missione in montagna.
L’anno di pubblicazione è lo stesso, ed è lo stesso anche l’autore, Stephen Thraves, che la legato il suo nome proprio alla serie in questione.

La serie è la stessa, l’autore è lo stesso, l’anno è lo stesso, le dimensioni del libriccino sono le stesse e, sorpresa, anche la struttura del libro-avventura è la medesima: non c’è da preparare il personaggio, non ci sono da tirare dadi, non c’è nemmeno una trama se non l’abbozzo accennato nell’introduzione, il filone narrativo è molto ridotto, e anzi praticamente obbligato, e anche le schede di gioco, se vogliamo chiamarle così, sono identiche: le possibilità a disposizione, gli obiettivi raggiunti, i tre oggetti da trovare e che facilitano la vita all’avventuriero…

… il quale, stavolta, non è un reporter inesperto, ma un agente speciale in missione presso un villaggio di montagna, nelle Alpi, sulle tracce di un inventore pazzo e ambizioso che addirittura vuole conquistare il mondo.
A noi spetta distruggere le sei fialette di composto chimico che gli permetterebbero di raggiungere il suo scopo.

Anche questa volta il plot è piuttosto naif, come semplicistico è tutto quanto, e anzi, oltre che poco credibile, si basa unicamente sul fattore fortuna, cosa decisamente poco stimolante.
Pure la giocabilità è davvero scarsina, dal momento che, con un unico filone valido, si tratterebbe solo di ripercorrere la strada in questione scegliendo l’opzione che l’esperienza ha indicato essere la migliore… pur senza una ragione valida.

Insomma, Missione in montagna, ma a questo punto immagino tutto Compact e tuto Stephen Thraves, è un librogame davvero modesto, nelle dimensioni e nei contenuti.
Unici lati positivi: il formato editoriale carino e una certa freschezza.

Farò anche gli altri Compact che ho più per dovere di completezza (per quanto costano, poi!) che non per aspettative elevate su di essi.

Fosco Del Nero


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Titolo: Un mondo chiamato Camelot (A world called Camelot).
Scrittore: Arthur Landis.
Genere: fantasy, fantascienza, commedia.
Editore: Editrice Nord.
Anno: 1976.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


Da ragazzino mi era capitato in mano e avevo letto un bizzarro romanzo chiamato Stregone suo malgrado e scritto da Christopher Stasheff: un curioso mix tra fantasy e fantascienza, il tutto venato in modo umoristico.
Di recente mi sono imbattuto online in una pagina in cui Stregone suo malgrado veniva associato a un altro romanzo di genere simile, intitolato Un mondo chiamato Camelot e scritto da tale Arthur Landis, nomi a me sconosciuti entrambi.

Mai sentiti... ma ci ho comunque messo poco a procurarmi il libro suddetto, di cui ecco la recensione.

Come prima cosa, letteralmente due parole sull’autore, Arthur Landis: non lo conoscevo per il semplice fatto che in Italia non è famoso, mentre è discretamente noto nel mondo anglosassone.

Seconda cosa: la datazione. Il libro risale al 1976… e ne ero sicuro mentre lo leggevo, perché non poteva che essere anni “70.

Veniamo ora alla trama di Un mondo chiamato Camelot, affatto lineare: in un imprecisato futuro, l’umanità si muove nello spazio, con tanto di Federazione che colonizza certi pianeti e vigila su quelli nei quali si è sviluppata vita intelligente.
Uno di questi pianeti è Fregis, un mondo dalla tecnologia ancora antiquata, di livello medievale, con tanto di castelli, cavalieri, re e dame, che si caratterizza però in modi strani: intanto, in esso viene esercitata, e con notevole successo, la magia; inoltre, oltre a popolazioni umane vi sono anche popolazioni di altre specie, e ben intelligenti ed evolute.
Ad esplorare il suddetto mondo, e a fare rapporto su quanto succede in esso, avendo la Federazione considerato che si tratta di un momento topico, viene inviato Kyrie Fern, un “regolatore”, che sul posto si farà chiamare Harl Lenti e che si avvarrà non solo della sua conoscenza superiore, ma anche di una forza superiore nonché di altre dotazioni standard dei regolatori.

Un mondo chiamato Camelot, così, mescola in egual modo fantascienza, da cui parte, e fantasy, in cui s’immerge, ma ci mette in mezzo anche un’atmosfera umoristica e l’inevitabile storia d’amore cavalleresca.
Il mix è effettivamente simile a quello che era stato per Stregone suo malgrado (che, probabilmente non a caso, lo precede di cinque anni), ma gli esiti non all’altezza: ok, è passato molto tempo, ma  Stregone suo malgrado me lo ricordo vivace e divertente, mentre Un mondo chiamato Camelot non è divertente per niente e forse vivace lo è anche troppo, nel senso che è piuttosto confuso.

Insomma, il romanzo di Arthur Landis, pur se non un disastro, è comunque bocciato, e a questo punto anche l’autore. 
Estremamente deluso, ho quindi deciso di risolvere il problema alla radice e di cercare direttamente un altro libro di Stasheff, ossia Il mago di sua maestà, che leggerò in un futuro prossimo.

Fosco Del Nero


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Titolo: La foresta dei mitago (Mitago wood).
Scrittore: Robert Holdstock.
Genere: fantasy, avventura, sentimentale.
Editore: Mondadori.
Anno: 1984.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.


Avevo buone aspettative per La foresta dei mitago, sia per la fama del libro in sé, sia per la buona nomea di Robert Holdstock, colui che lo ha scritto nel 1984, il quale peraltro mi era nuovo come autore, dal momento che non avevo mai letto niente di lui.

Tuttavia, ahimé, le speranze sono andate tutte deluse, e anzi il libro mi ha in buona parte annoiato, tanto che senza una discreta dose di perseveranza non sarei arrivato alla fine delle sue 310 pagine.

Andiamo a tratteggiare la trama de La foresta dei mitago, ma non prima di aver detto che si tratta di un fantasy anomalo, oscillante tra avventura, sentimenti, mitologia: Stephen Huxley torna nella casa di famiglia dopo aver svolto il servizio militare, e vi trova suo fratello Christian; il padre invece, un uomo distante e misterioso, era morto nel frattempo, mentre la madre era deceduta tempo prima. I due dunque si ritrovano da soli, alle prese con i misteri di Ryhope Wood, il bosco che circonda la loro casa: un bosco teoricamente non troppo ampio, ma che si rivela molto più grande di quel che sembra, che pare muoversi come un’entità vivente, da cui escono fuori periodicamente degli esseri mitici, risalenti a tempi immemori, o forse a energie umane di tipo collettivo: archetipi, più che creature viventi normali.
Dopo poco tempo dall’inizio della storia, Christian scompare nel bosco, e Stephen non ne sa più nulla, fino a che, tempo dopo, non decide di partire in esplorazione insieme all’amico Harry Keaton; quel che vi troveranno dentro sarà sorprendente, e anche difficile da affrontare.

È luogo comune che Robert Holdstock, nel redarre il suo La foresta dei mitago, si sia rifatto alla teoria di C.G. Jung sull’inconscio collettivo, accanto al quale ha poi adagiato un’atmosfera boschiva e dal sapore celtico.
Il contenuto della foresta, e del libro stesso, opera certamente sul versante dell’inconscio del genere umano, ma altrettanto certamente vi aggiunge la proiezione delle energie della singola persona: la manifestazione che ne deriva è dunque in parte collettiva e in parte individuale, e il tutto come detto è servito in salsa celtica.

Se tale proiezione psichico-energetica è interessante come idea di fondo, e certamente ha attratto consenso a Holdstock, guadagnandogli i favori dei lettori fantasy più letterari e intellettuali, devo dire che a me, semplicemente, La foresta dei mitago ha annoiato. 

Un po’ perché accanto all’originale idea di fondo non c’è nient’altro che il banalissimo cattivo che rapisce la donna col buono che corre a liberare l’amata; un po’ perché lo stile narrativo è pesante e indolente, privo di ritmo; un po’ perché l’autore indugia su personaggi e fatti a mio avviso privi di mordente.
Sembra quasi una trattazione accademia che non un romanzo… e infatti Holdstock era un cattedratico e un ricercatore (zoologia, medicina e altre scienze). Che dire, si vede.

Anzi, se devo essere sincero mi chiedo come possa La foresta dei mitago essere da alcuni inserito tra le fila degli eccellenti romanzi fantasy: forse ad alcuni basta una vocazione intellettuale per gridare al capolavoro, dimenticandosi di bellezza visiva, caratterizzazione dei personaggi, trama, significati interiori ed evoluzioni.
Ma va bene comunque: ad ognuno il suo.

Di mio, credo proprio che non leggerò mai più Robert Holdstock.

Fosco Del Nero


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Titolo: Crossfire - L’ultimo pianeta (Crossfire).
Scrittore: Nancy Kress.
Genere: fantascienza.
Editore: Mondadori.
Anno: 2003.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


Nancy Kress è un’autrice pluripremiata, vincitrice tanto del Premio Hugo quanto del Premio Nebula, e che si è resa famosa soprattutto per il Ciclo dei Mendicanti e per il Ciclo delle porte sull’infinito (o Ciclo delle porte spaziali).
Ecco perché mi ero approcciato a Crossfire - L’ultimo pianeta con buone speranze.

Tuttavia, ahimé, per buonissima parte esse sono andate deluse, e il romanzo, oltre che deluso, mi ha discretamente annoiato, senza mai riuscire a catturarmi.

Ecco la trama sommaria: un gruppo di uomini, colonizzatori umani in fuga da una Terra alla deriva, giunge sul pianeta Greentrees (che a dire il vero non ho capito perché fosse chiamato così essendo lì la vegetazione di colore viola), confidando di trovare un pianeta simile alla Terra nel quale sia possibile iniziare una nuova civiltà. Vien così fondata la città di Mira City... ma poco dopo sorgono i problemi, sotto forma di ben due specie aliene intelligenti: una è soprannominata le “Pellicce”, in quanto composta da mammiferi dal pelo lungo, e l’altra è detta i “Rampicanti”, perché, sorprendentemente, si tratta di una specie vegetale, e non animale.
Ulteriore problema: le due specie si stanno dando battaglia da secoli, ed è una battaglia senza esclusione di colpi, che mira all’annientamento dell’altra civiltà.
Si troveranno in mezzo a tale fuoco incrociato (il “crossfire” del titolo) i vari Jake, Gail, Lucy, Karim, Nan, etc, ossia i più rilevanti membri del gruppo umano giunto su quel pianeta, arrivatovi peraltro in gruppi di influenza: i neoquaccheri, i cheyenne, i cinesi, gli arabi, biologi e scienziati vari, il che fornisce alla storia un ulteriore elemento di conflittualità.

In effetti, il motore centrale di Crossfire - L’ultimo pianeta è proprio la gestione della diversità: tra umani in primo luogo e tra varie specie in secondo luogo, con le due cose che vanno inevitabilmente a mescersi.

Ora dico perché  Crossfire - L’ultimo pianeta non mi è piaciuto molto: non ha carisma, non è trascinante e non è intrigante; i personaggi sembrano più macchiette stilizzate (il religioso, il politicante, la ribelle, la scienziata, etc) che personaggi veri e propri; tutto accade spesso senza buone ragioni apparenti; a volte quanto accade non è ben chiaro.

Insomma, al romanzo di Nancy Kress, pur non potendogli negare una certa vivacità e la produzione di numerose idee, mancano i galloni del buon romanzo.
Magari in futuro proverò con il Ciclo dei Mendicanti… o forse no.
In ogni caso, Crossfire - L’ultimo pianeta si prende una bella insufficienza.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il mostro di Loch Ness - Compact 1 (Assignment Loch Ness - Compact 1).
Scrittore: Stephen Thraves.
Genere: librogame, avventura.
Editore: E.L.
Anno: 1993.
Voto: 5.
Dove lo trovi: nel mercato dell’usato.


Il mostro di Loch Ness è il primo librogame che leggo della serie Compact, serie famosa non tanto per la qualità media dei suoi librigame, ma per altri due fattori:
- il fatto che si tratta di librogame tascabili, nel vero senso della parola, e dunque ancora più piccoli dei vari Detectives Club o Avventure stellari o Time machine,
- il fatto che si tratta probabilmente dei libri più costosi nel mercato dell’usato, con punte di vendita che rasentano la follia (a cominciare dal famoso Sfida di coppa).

Ma non occupiamoci dei fattori i contorno, e andiamo direttamente al testo in sé.
L’autore, Stephen Thraves, scrive un librogame che parte simpatico e anche originale, con i tre documenti visivi stampati nei risvolti delle copertine pieghevoli e che si amalgamo nell’avventura, la quale è simpatica anch’essa.

Prende ovviamente le mosse dal famoso mostro di Loch Ness, nome che si riferisce a un lago della Scozia, e dall’incariso dato a un novello reporter di portare al giornale delle foto del suddetto mostro, fatto che peraltro è ben integrato visivamente con le numerose possibili foto scattate dal reporter in questione, e certamente non tutte destinate al mostro; ci passano barche, pescatori, pesci, uccelli, etc.

Visivamente ed editorialmente, Il mostro di Loch Ness è un ottimo prodotto: piccolino ma molto ben curato nel formato, nella stampa e nelle numerose immagini all’interno.
Anche l’avventura, per quanto breve e piuttosto breve, è caruccia…

… peccato che è tutto un po’ infantile e semplicistico, a cominciare dal prologo in cui due cronisti rivali rubano le macchine fotografiche e addirittura arrivano a sequestrare il rivale. E persino a travestirsi a più riprese pur di fargli dispetti!

Insomma, come livello di infantilismo siamo ben al di sotto di Detectives Club, e molto al di sotto pure come umorismo, simpatia ed enigmi. Anzi, qua si va praticamente a caso, e non si è premiati mai se non dal caso, per l’appunto.

Rimane il libriccino di bel formato e poco più.

Fosco Del Nero

Titolo: La spada infranta - Saga della spada delle rune 3 (Broken blade).
Scrittore: Ann Marston.
Genere: fantasy, avventura, drammatico.
Editore: Tea.
Anno: 1998.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.


Avevo cercato La spada delle rune in quanto mi era stato consigliato come testo fantasy scritto molto bene, e giacché mi ero procurato il volume con l’intera trilogia di Ann Marston, ossia La spada delle rune, Il Re d’Occidente e La spada infranta, e giacché il primo romanzo mi era piaciuto discretamente, avevo proseguito la lettura col secondo e col terzo.

Ma, ahimé, il secondo e il terzo mi sono piaciuti meno del primo, che già avevo valutato come non imperdibile.

Effettivamente, i libri sono scritti davvero bene, con un linguaggio pulito, ordinato e molto descrittivo, tuttavia a non avermi impressionato non è stato lo stile, ma proprio il contenuto.

La spada infranta si sposta un paio di decenni dopo Il Re d’Occidente, il quale a sua volta seguiva di un paio di decenni La spada delle rune, col risultato che ogni libro ha descritto le avventure di una generazione, con genitori e nonni divenuti man mano sfondo.

La protagonista centrale di questa storia è Brynda al Keylan, figlia di Keylan, sorella di Brennan e Behancoran di Tiegan, paladini dell’isola di Celi e nemici degli invasori Maedun, che già avevano tentato l’invasione in passato, respinti, e che ci riprovano ora, forti di una Francia potente, di un Hakkar ancora più potente e di un infido Mikal che fungerà da grimaldello. Sul terreno di battaglia due eserciti contrapposti, ma soprattutto due magie contrapposte, una dolce e gentile e l’altra aggressiva e mortifera.

L’elemento migliore de La spada infranta, e dell’intera Saga della spada delle rune, è proprio il linguaggio: elegante, preciso, mai fuori posto, anche se pure, per suo stile, ricco di subordinate e molto descrittivo, cosa che potrebbe non piacere a tutti. Anche la tensione emotiva del narrato è sufficientemente vivida.

Veniamo ora ai contro, che sono più dei pro.
La trama tutto sommato è trascurabile, con un popolo che lotta contro l’altro da decine di anni, e i figli che ereditano dai genitori una certa missione.
I personaggi sono molti ma non tutti ben caratterizzati, tanto che si tende a fare confusione tra di loro, anche per via di nomi di persona molto simili e non tanto chiari (Tiernyn, Tiegan, Brynda, Brennen, Keylan, Kerri, etc, senza contare quelli un po’ ridicoli come Francia in questo romanzo oppure Mouse nel primo libro).
Alcuni momenti della trama-sceneggiatura sono forzati, e questo vale per l’intera trilogia (ad esempio, prigionieri che fuggono per via della grande ingenuità dei rapitori).
Il mondo descritto è sufficientemente credibile, ma non molto profondo a livello di cultura, racconti, elementi secondari: è come se la telecamera seguisse solo la vicenda del protagonista e il resto non esistesse.
La storia, in definitiva, non è troppo originale: c’è spada, c’è magia, ci sono buoni e ci sono cattivi, tutto qui.

Il che è andato anche abbastanza bene nel primo romanzo, La spada delle rune, dal momento che esso si presentava vivace e gustoso soprattutto per il rapporto conflittuale tra due dei tre protagonisti, ma che è andato meno bene nei due seguiti. Probabilmente l’autrice nel terzo romanzo ha cercato di correre ai ripari, proponendo un rapporto conflittuale tra un uomo e una donna simile a quello del primo libro, e che nel secondo mancava, ma non riuscendo totalmente nel suo intento. 

Insomma, nel complesso la Saga della spada delle rune non è un’opera malvagia, e anzi si distingue per una scrittura di ottimo livello qualitativo, ma non impressiona né si distingue in nessun altro modo, risultando alla fine una trilogia di valore sufficiente o poco meno, certamente non irrinunciabile.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il Re d’Occidente - Saga della spada delle rune 2 (Kingmaker’s sword).
Scrittore: Ann Marston.
Genere: fantasy, avventura, drammatico.
Editore: Tea.
Anno: 1997.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.


Da poco ho recensito il romanzo fantasy La spada delle rune, primo libro della trilogia che porta il medesimo nome scritta da Ann Marston.

Il romanzo mi era piaciuto per certi versi (scrittura pulita ed elegante; personaggi ben caratterizzati; trama vivace; discreto umorismo) e per altri no (stile po’ ampolloso e a tratti pedante; eventi non sempre convincenti; sceneggiatura a momenti noiosa), guadagnandosi una valutazione più che sufficiente ma non di più, fatto che di suo non mi avrebbe portato alla lettura del secondo romanzo…
… se non fosse che secondo e terzo romanzo erano già inclusi nell’unico volume che ho acquistato, intitolato per l’appunto La saga della spada delle rune.

Ecco dunque la recensione de Il Re d’Occidente, secondo libro della saga, la qual effettua la coraggiosa operazione di fare un salto avanti alla generazione successiva, proponendo così i figli come protagonisti, e non più i genitori.

A Kian e Kerri, coppia che vivacizzava il primo romanzo, succedono così i loro figli: Keylan, Tiernyn e Donaugh, ognuno avente un compito importante, tra reggenza e magia.
Il nemico però è rimasto lo stesso: non tanto i razziatori saesnesi, quanto i maghi maedun, comandati da Hakkar e pronti all’invasione.
A tali protagonisti principali si aggiungono degli altri personaggi secondari di discreta importanza: Eliade, Elesan, Francia (Ann Marston ogni tanto mette dei nomi davvero inadeguati: nel primo libro era stata la volta di Mouse e Drakon, nonché di diversi nomi che ricordavano nomi di luoghi de Il signore degli anelli).

Il problema principale de Il Re d’Occidente, tuttavia, non è qualche nome poco efficace, ma una perdita di spessore rispetto a La spada delle rune, che già non era un romanzo fantasy-epico irresistibile.
I personaggi stavolta sono caratterizzati meno bene, e talvolta hanno nomi simili che non aiutano l’identificazione; la storia è più dispersiva e poco convincente; l’umorismo è scomparso mentre è rimasta una serietà di fondo un po’ pesante e pedante nel lessico.
Forse l’autrice intendeva dare un senso più epico al secondo romanzo e alla serie in generale, ma il risultato è stato quello di renderla più pesante e noiosa… o, almeno, io ho percepito in questo modo il secondo libro rispetto al primo.

Il Re d’Occidente di Ann Marston si guadagna dunque una valutazione meno che sufficiente e interlocutoria…
… confidando nel fatto che il terzo e conclusivo romanzo della trilogia, La spada infranta, rialzi le sorti della narrazione.

Fosco Del Nero


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Titolo: La spada delle rune - Saga della spada delle rune 1 (Kingmaker’s sword).
Scrittore: Ann Marston.
Genere: fantasy, avventura, drammatico.
Editore: Tea.
Anno: 1996.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


La recensione odierna è dedicata a un romanzo fantasy, il primo di una trilogia, scritta da un’autrice che finora non conoscevo: il libro è La spada delle rune, la saga porta il medesimo nome, e la scrittrice è Ann Marston.

Andiamo a vedere come è andata, cominciando da un accenno sintetico della trama: siamo in un contesto fantastico e fortemente fantasy, di quel fantasy tendente all’heroic fantasy, con spada e magia. Il mondo è inventato, tuttavia lo stile dei popoli che vi abitano sa molto di Scozia, con tanto di tartan, kilt, capelli rossi, etc.
Il protagonista centrale de La spada delle rune è un ragazzo che da piccolo viveva come schiavo; veniva chiamato Mouse e il suo padrone, tale Drakon, era naturalmente cattivo e perfido, tanto da aver seviziato e ucciso davanti ai suoi occhi la ragazza di cui Mouse, adolescente, era innamorato, perché essa era destinata proprio a Drakon e gli era stata così “rubata”.
Quanto a Mouse, era destinato a diventare un eunuco… cosa che lo spinge a fuggire.
Dopo la sua fuga, incontrerà Cullin, un guerriero nobile, Kerri, una guerriera altrettanto nobile, e, sorpresa, scoprirà presto che è nobile di nascita pure lui, di nome Kian… e non solo, visto che di mezzo ci sono spade magiche, profezie, e altro ancora.

Detto della trama, diciamo ora qualcosa dei contenuti de La spada delle rune.
L’incipit, le primissime pagine, non è particolarmente accattivante, anche per via di un linguaggio il quale, seppur pulito e preciso, e anzi globalmente evocativo, risulta spesso ampolloso e pesante, e a tratti noioso. Fortemente descrittivo, sovente si perde nelle sue descrizioni… può piacere o meno, e a me non piace troppo, visto che io tendo più all'essenza che alla forma.
I nomi scelti dapprincipio fanno sorridere: Mouse e Drakon sono tra il banale e il ridicolo, mentre Isgard e Mendor ricordano troppo i tolkeniani Isengard e Mordor. In seguito tutto va ad assumere contorni più caratteristici e a mio avviso assai più efficaci.
Anche se l’esclamazione “Hellas”, ossia il nome antico della Grecia, lascia parecchio perplessi per dei guerrieri di stile scozzese.

Mi sono piaciuti di più invece i dialoghi, credibili e, da quanto entra in campo il personaggio femminile di Kerri, anche dotati di un certo humor, cosa che allenta un po’ la tensione della narrazione. Piuttosto intensa, cosa positiva, e anche piuttosto drammatica, fatto questo abbondante e sospettosamente forzato: molte morti, e spesso cruente, e violenze varie più o meno gratuite.

Passiamo alla trama: la storia fila via bene, e la trama è interessante, anche se tutto sommato leggera, nel senso che non succede moltissimo, e buona parte delle 270 pagine del testo di formato medio sono impiegate dalla descrizione sensoriale e visiva delle cose, che come detto a tratti mi è risultata pedante e noiosa.

Globalmente, comunque, ho sufficientemente gradito La spada delle rune.
Non so se, avendo avuto tra le mani solamente questo primo romanzo, mi sarei procurato anche i due successivi, ossia Il Re d’Occidente e La spada infranta, giacché non reputo tale lettura irrinunciabile per un fan del fantasy… ma avendoli già inclusi nel volume-trittico che ho acquistato, li leggerò senz’altro.

Fosco Del Nero


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Titolo: La spada del samurai - Time machine 10 (Flame of the inquisition - Time machine).
Scrittore: Marc Kornblatt.
Genere: librogame, fantascienza, avventura, storia.
Editore: E.L.
Anno: 1986.
Voto: 7.
Dove lo trovi: nel mercato dell’usato.


Avevo già incontrato Marc Kornblatt nei precedenti libri della serie di librogame Time machine, e precisamente in Missione a Varsavia, che si era rivelato uno dei libri più interessanti della serie, almeno tra quelli che ho letto, insieme a Le sorgenti del Nilo e La spada del samurai.

Nel gruppone di testa si aggiunge ora Le fiamme dell’inquisizione, scritto per l’appunto dallo stesso Marc Kornblatt, evidentemente specializzato in tale tipo di libri, a caratterizzazione fortemente storica e discretamente drammatico (ghetto ebreo a Varsavia, roghi eretici in Spagna), e in ambo i casi smaccatamente pro-ebrei.

Veniamo al contenuto de Le fiamme dell’inquisizione, che è il decimo libro della serie… e che è l’ultimo che ho, mancandomi i rimanenti non recensiti: siamo nella Spagna del quindicesimo secolo, al tempo in cui Isabella di Castiglia si unì in matrimonio con Ferdinando d’Aragona nel 1469.

Fu quello un periodo molto intenso e storicamente importante non solo perché nacque con quel matrimonio la Spagna moderna, ma anche perché da lì a breve sarebbe stata ripresa dalle mani dei “mori” la parte meridionale dell’attuale nazione, con la cosiddetta “reconquista”, sarebbero stati espulsi gli ebrei e i musulmani e sarebbero poi state mandate alla volta dell’ovest le tre caravelle di Cristoforo Colombo.
E non solo: sarebbe stata istituita nella nazione spagnola l’Inquisizione, che si sfogò come sappiamo su eretici e praticanti di fedi diverse.

Lo scopo della missione di noi viaggiatori nel tempo è quello di capire come mai la Regina Isabella, che aveva fama di sovrana compassionevole e caritatevole, avesse autorizzato nel suo territorio un’istituzione così violenta: certo, la cosa partiva dal Papato di Roma, ma lei vi ha messo la firma.

Come ho detto altre volte, se pure la serie di librogame Time machine si presenta snella e semplice, breve come lunghezza e praticamente priva di regole, ciò che sembra assai adatto alle fasce d’età più giovani, ha comunque un suo valore, nell’essere scorrevole e nell’essere didattica: leggendo i suoi libri, dunque, si impara molto… o lo si ripassa nel caso di informazioni storiche probabilmente scomparse dalla memoria.

È stato così anche per Le fiamme dell’inquisizione, librogame che ho gradito: bella ambientazione e trama interessante.
Con esso, inoltre, a questo punto è promosso anche Marc Kornblatt.

Fosco Del Nero


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Titolo: Le trombe di Gerico - Trilogia templare 2 (The templare trilogy - 1 - The trompex of Jerico).
Scrittore: Nicholas Wilcox.
Genere: drammatico, avventura.
Editore: Edizioni Il Punto d’Incontro.
Anno: 2000.
Voto: 3.5.
Dove lo trovi: qui.


Tempo fa avevo letto e recensito I falsi pellegrini, romanzo d’avventura con sfondo storico scritto da Nicholas Wilcox e facente parte di una trilogia, la Trilogia templare, di cui mi erano stati dati in regalo i primi due libri: I falsi pellegrini, per l’appunto, e Le trombe di Gerico, oggetto della recensione odierna.

Il romanzo, pur se probabilmente immerso in una sorta di revisionismo, col fattore storico che era solo sfondo e rivisitato a piacimento, tanto più che si parlava dell’ordine dei Templari, tutt’ora avvolto nel mistero e sul quale dunque è quasi impossibile redigere documenti storici in quanto a obiettivi, credo interno, scioglimento, eventuale sopravvivenza, etc, si presentava gradevole dal punto di vista meramente narrativo, tanto che si era guadagnato una sufficienza, pur se stretta.

Molto probabilmente, se non avessi già avuto a casa il suo seguito, non avrei considerato la trilogia degna d’esser continuata… ma lo avevo, per cui ecco qui la recensione de Le trombe di Gerico, che si sposta dal quattordicesimo secolo al ventesimo secolo, nel bel mezzo della seconda Guerra Mondiale, che è lo sfondo storico di questo secondo romanzo della trilogia.

Passo subito alle due motivazioni che stanno alla base della debacle rispetto al primo libro.
La prima delle due è squisitamente narrativa: i protagonisti di questo secondo romanzo, semplicemente, sono meno carismatici e meno interessanti di quelli del primo romanzo, e già questo fa tutta la differenza del mondo.

La seconda delle due è forse persino più grave della prima, e consiste in ciò che avevo già intravisto nel primo libro, e che qua è portato all’ennesima potenza.
D’accordo, dai romanzi a sfondo storico non ci si aspetta “storicità” saggistica e storiografica, ma Le trombe di Gerico rasenta il ridicolo… e non nella questione dell’arca dell’alleanza, che diviene ciò che si accenna che fosse nella Bibbia, ossia un’arma vera e propria (questa, anzi, è forse la cosa più storica del libro), quanto nel modo spudorato in cui Wilcox presenta rispettivamente vincitori e perdenti della guerra.
D’accordo, la storia la scrivono i vincitori, lo si sa, ma c’è un limite a tutto: qua Churchill è buono, Eisenhower è buono, i tedeschi ovviamente sono cattivi, spregevoli, volgari, brutti e sporchi, mentre gli ebrei sono povere vittime... ma neanche tanto visto che dalla loro hanno la cabala e l’arca dell’alleanza. 

Peggio: i tedeschi sono invischiati fino al collo nell’esoterismo nero… mentre la cabala bianca degli ebrei fa vincere la guerra agli Alleati.

Romanzo ridicolo, letteralmente inchinato, prono, al revisionismo storico operato dall’Occidente in questi decenni, che tuttavia prima o poi sarà smascherato dalla storia perché, come diceva Buddha, “Tre cose non possono essere nascoste a lungo: il sole, la luna e la verità”.

E con questo libro Nicholas Wilcox entra nella lista dei “cattivi”. 

Fosco Del Nero


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Titolo: I fabbricanti d’armi - Le armi di Isher 2 (The weapon makers).
Scrittore: Alfred Elton van Vogt.
Genere: fantascienza.
Editore: Editrice Nord.
Anno: 1952.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.


Con I fabbricanti d’armi mi son letto anche il secondo romanzo di Alfred Elton van Vogt interno al piccolo ciclo de Le armi di Isher, nato sulla base del grande successo del racconto originario Il negozio d’armi, che a sua volta avevo letto ormai tanti anni fa quando ero adolescente.

Devo purtroppo dire che da Il negozio d’armi (racconto) a I negozi d’armi (romanzo), fino a I fabbricanti d’armi, il tutto ha perso di qualità ed è divenuto invece piuttosto confusionario.
Anche I fabbricanti d’armi rimane su un livello accettabile, e scorre via abbastanza bene, ma lo spunto brillante del racconto originario si è perso per strada, e anzi per certi versi è stato infiacchito dalla figura dell’uomo immortale che ha creato entrambi gli schieramenti opposti, Casa di Isher e Negozi d’armi.
L’inserimento dei ragni ha reso il tutto ancora meno credibile e grottesco.

Lo so, con Van Vogt le cose raramente sono credibili, e peraltro lui nemmeno si preoccupa di fornire una spiegazione non dico scientifica ma perlomeno di facciata, tuttavia in taluni casi lo scrittore canadese si fa prendere un po’ troppo la mano.

Ecco in sintesi la trama de I fabbricanti d’armi: messe da parte le dis-avventure della famiglia Clark e di Mc Allister, l’uomo che pare aver originato il Big Bang, ci troviamo stavolta alle prese con la figura di Hedrock, uomo talentuoso che si scopre essere nientemeno che immortale… e non solo: è proprio lui che ha dato origine alla civiltà isheriana come la si conosce, fondata da un lato sulla casa Isher e sulle imperatrici, e dall’altro sui negozi d’armi come contrappeso di forze, come in una sorta di perfetta bilancia in cui nessun piatto pesa più dell’altro.
Non essendo ciò sufficiente ed essendo la sua vita un po’ vuota, egli finisce pure per incontrare una super-razza spaziale di ragni ultra-intelligenti e ultra-tecnologici.

Alfred Elton van Vogt non è mai stato famoso per la rigorosità delle sue trame, né per un’esposizione ordinata e linda, quanto piuttosto per la grande vivacità e il buon ritmo. C’è un po’ di confusione, dunque, ma ci si diverte.

Anzi, forse Le armi di Isher, contando i due romanzi nel complesso, si distingue meno in questa direzione di “dinamismo”, che esce fuori soprattutto ne I fabbricanti d’armi, risultando meno vanvogtiano della media dei suoi libri.
Questione di gusti: probabilmente Van Vogt mi piaceva più quando ero ragazzino, anche se l’ho apprezzato anche adesso, specie ne I negozi d’armi.

Fosco Del Nero


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Titolo: I negozi d’armi - Le armi di Isher 1 (The weapon shops of Isher).
Scrittore: Alfred Elton van Vogt.
Genere: fantascienza.
Editore: Editrice Nord.
Anno: 1951.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


Oramai tanti anni fa, quando ero adolescente, in un qualche volume (credo curato da Isaac Asimov) trovai e lessi un racconto firmato da Alfred Elton van Vogt, ossia Il negozio d’armi.
Rimasi folgorato per la sua bellezza e la sua visionarietà, tanto che in seguito non mi lasciai sfuggire l’occasione di comprare il libro che conteneva i due romanzi nati da tale racconto originario: al racconto iniziale, non a caso vincitore del prestigioso Premio Hugo, seguirono infatti degli altri racconti, poi uniti da Van Vogt in due romanzi, I negozi d’armi e I fabbricanti d’armi, formanti il miniciclo de Le armi di Isher.

Giusto per la cronaca, parliamo dei primi anni “40 per il racconto originario e dei primi anni “50 per i suddetti successivi romanzi.

Ecco la trama sommaria del primo romanzo di tale miniciclo, I negozi d’armi: in un futuro molto lontano, approssimativamente 7000 anni da ora, sulla Terra domina l’Impero di Isher, formalmente retto dall’Imperatrice, ma sostanzialmente portato avanti da una nutrita schiera di burocrati, tanto che il potere effettivo dell’Imperatrice si perde nei meandri della società e della politica.
Tale potere è limitato anche da un altro fattore: i Negozi d’Armi, sorta di struttura organizzativa parallela al potere dell’Impero e dotata di una tecnologia talmente superiore da potersi fare beffe sia delle milizie imperiali, sia della sua giustizia… spesso affatto giusta, motivo di fondo dell’esistenza dei negozi d’armi, che assicurano a chiunque dotato di buone intenzioni, ossia chiunque essenzialmente desidera solo rimediare a un torto, delle armi formidabili, nonché un qualche sostegno nel riequilibrio del torto subito.

Questo è il caso di Fara Clark, uomo gran lavoratore, per quanto un po’ limitato nella sua prospettiva del mondo, che passa in breve tempo dalla condizione di fedele suddito dell’Imperatrice, e altrettanto fervente nemico dei negozi d’armi, a loro utilizzatore e sostenitore… una volta verificato che la giustizia imperiale non era poi tanto giusta.

Vi è un altro filone narrativo nella storia: quello di Mc Allister, un uomo proiettato nel futuro e al centro di una formidabile arma e di un’ancor più formidabile energia, che lo porterà niente meno che al…

Si conosceranno poi altri personaggi, come il figlio di Fara, Cayle Clark, la dipendente dei negozi d’armi Lucy Rall, la stessa Imperatrice e altri ancora.

Dico la verità: nel passaggio dal racconto originario al romanzo, I negozi d’armi perde qualcosa: ciò che era stata un’ambientazione assai fascinosa e misteriosa, sintetica in modo pressoché perfetto, diviene un poco più macchinosa nella descrizione e nella narrazione, pur rimanendo un  ottimo romanzo di fantascienza, avente peraltro anche qualche carisma ulteriore.

Memorabili, in tal senso, alcune sue espressioni, come le seguenti:

“Il diritto di acquistare armi è il diritto di essere liberi.”
Tale frase che fece discutere decenni fa… e farebbe discutere ancora oggi, anche se in periodo di Nuovo Ordine Mondiale che cerca di instaurarsi probabilmente sarebbe accettata da più persone.

“Siate discreto, coraggioso e deciso, e non potrete essere vinto.”

“La gente ha sempre il tipo di governo che vuole avere.”

In chiusura, ne approfitto per elencare gli altri romanzi di van Vogt che avevo già recensito nel blog: Il segreto degli SlanNon A-3L’occhio dell’infinito, Il libro di Ptath, aventi tutti discrete-buone valutazioni, e non a caso.

Fosco Del Nero


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Titolo: La spada del samurai - Time machine 6 (Sword of the samurai - Time machine).
Scrittore: Reaves-Perry.
Genere: librogame, avventura, storia.
Editore: E.L.
Anno: 1984.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: nel mercato dell’usato.


La spada del samurai, il sesto librogame della serie Time machine, si è rivelato uno dei migliori del gruppo finora letto, andando a raggiungere in cima alla classifica, ovviamente per il mio gusto personale, Le sorgenti del Nilo e Missione a Varsavia, e anzi sopravanzandoli.
Ho gradito meno, invece, L’età dei dinosauri, Sulle navi pirata e Selvaggio west, pur avendoli comunque considerati di valore almeno sufficiente.

Difatti, per quanto l’ambientazione, diversa in ogni libro, possa piacere più o meno al singolo lettore, e per quanto i libri di questa serie si presentino molto semplici come struttura e piuttosto brevi, tanto che si leggono in un paio d’ore, hanno tutti quanti qualcosa di valido, non fosse altro a livello didattico, nel senso che da ognuno si impara qualcosa…
… e infatti molto probabilmente sono stati pensati come librigame adatti alle fasce d’età più giovani.

Con La spada del samurai ci caliamo naturalmente nel Giappone dei samurai, e nel dettaglio seguiamo le vicende di Miyamoto Musashi, un samurai realmente esistito e dalla grande fama (al tempo come oggi, ho scoperto proprio grazie a questo librogame), vincitore di tantissimi duelli e guerriero dalla tecnica sopraffina, colui che introdusse in Giappone l’arte del combattimento con due spade, una lunga e una breve.
La nostra missione nel corso della storia è quella di riuscire a portare nel futuro una delle sue spade.

Seguono alcuni fatti veri, riportati anche nel librogame La spada del samurai: Miyamoto Musashi crebbe con un addestramento marziale e un’educazione zen; divenne un grande guerriero; scrisse diversi libri, tra cui il famoso Il libro dei cinque anelli (ossia: la terra, il fuoco, l’acqua, il vento e il nulla, in rispondenza alla cultura taoista), fondò una scuola e al momento della sua morte aveva ben 3000 studenti presso di lui.

La spada del samurai ha buon gioco nel proiettare il lettore in quel tempo e in quell’atmosfera, tra l’onore dei samurai, i duelli, i signori e le spade, considerate l’anima del samurai.
In più, come ciliegina sulla torta, nel libro son presenti sprazzi di saggezza zen, assolutamente ben graditi.

La spada del samurai, in definitiva, è promosso con ottima valutazione.

Fosco Del Nero


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Titolo: Dopo il lungo silenzio (Sagas of the demonspawn - Demondoom).
Scrittore: Sheri S. Tepper.
Genere: fantascienza.
Editore: Fanucci.
Anno: 1987.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.


Avevo da molti anni a casa il libro Dopo il lungo silenzio, un romanzo di fantascienza scritto da Sheri S. Tepper nell’ormai abbastanza lontano 1987.

Non mi ero mai deciso a leggerlo, invogliato poco da alcuni fattori:
- una copertina davvero brutta (a volte mi chiedano che lavoro facciano nelle redazioni delle case editrici),
- una lunghezza piuttosto consistente (410 pagine di libro in formato tascabile ma stampato in modo discretamente fitto)
- l’autrice sconosciuta, almeno per me.

Ahimè, la mia sensazione di fondo era corretta, tanto che ho faticato molto a portare a termine il volume, e in un arco di tempo piuttosto lungo.

Ecco la trama sommaria di Dopo il lungo silenzio: in un futuro remoto il pianeta Jubal è una delle tante colonie terrestri nello spazio. In esso l’uomo non ha incontrato alieni o condizioni di vita difficili da affrontare, ma solo le cosiddette Presenze, grandissimi blocchi di cristallo, sparsi in tutto il pianeta, che reagiscono in modo incomprensibile alla presenza umana, e che paiono reagire solo al suono musicale, e a volte in modo enormemente distruttivo, fatto che ha portato alla costruzione di un gruppo di persone, i Cantori, specializzate proprio nel “rapporto” con tali Presenze e capaci di produrre i suoni musicali “giusti” che permettono il passaggio senza alcuna reazione distruttiva.
Oltre a esse, vi sono poi pure i Viggy, un’altra curiosa forma di vita… che però viene ritenuta non senziente, proprio come le Presenze, tanto che tra gli uomini è aperto il dibattito sul fatto che si tratti di forme di vita o meno, cosa che coinvolge regolamenti, interessi economici, e che crea quindi differenti schieramenti.

I protagonisti del libro sono vari, ma soprattutto sono il cantore Tasmin e i suoi assistenti Jamieson e Clarin, Donatella, anche lei cantore, e poi una sfilza di cattivi, da Justin a Spider Geroan.

Dopo il lungo silenzio vorrebbe essere un mix tra fantascienza e avventura, con un occhio particolare ai rapporti interpersonali (matrimoni, innamoramenti, passioni fisiche, con tanto di qualche scena sexy) e votato infine al mistero del pianeta e delle sue Presenze.

Tuttavia, il mix risulta mal calibrato, o forse semplicemente la storia è poco interessante. Peraltro, si sviluppa anche in modo poco chiaro fin dal principio, cosa che rende difficile il coinvolgimento del lettore.
E, dopo 410 pagine di lettura, dire che un libro non ha lasciato niente, se non un certo senso di noia, è decisamente poco elogiativo.

Insomma, Dopo il lungo silenzio e Sheri S. Tepper sono bocciati senza appello.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il potere della luce - Fairy Oak 3.
Scrittore: Elisabetta Gnone.
Genere: fantasy.
Editore: De Agostini.
Anno: 2007.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.


Dopo aver letto Il segreto delle gemelle e L’incanto del buio, era scontato che leggessi il terzo romanzo della trilogia di Fairy Oak, Il potere della luce.

Che essa sia stata concepita come trilogia lo rivelano i titoli stessi dei tre libri, i quali in pratica svelano anche la trama… che peraltro è semplice, lineare e chiara fin dall’inizio, e dunque non aveva nemmeno bisogno di essere svelata.

La trilogia originale ha poi avuto un seguito sotto forma di quadrilogia successiva, intitolata I quattro misteri, che tra l’altro è il primo libro che ho comprato… essenzialmente perché mi piaceva la copertina.
Saputo in seguito che il libro in questione era una quadrilogia che seguiva una trilogia, ho provveduto a comprarmi anche quest’ultima, ma rimanendo sempre un po’ tiepido nella lettura.

Difatti, Fairy Oak è di fondo un fantasy per un pubblico infantile, e “infantile” vuol dire proprio infantile, e anzi tendenzialmente femminile.
Dunque, gli appassionati di Tolkien, Ende, Card, Eddison, etc, difficilmente troveranno pane per i loro denti, per dirla così.

Tuttavia, non avrebbe avuto senso valutare questi libri di Elisabetta Gnone con uno sguardo totalmente adulto, giacché sarebbe stato uno sguardo fuori target, e non certo per colpa di chi li ha scritti, ma al massimo di chi li ha comprati.

Se la lettura non ha molto senso per un adulto appassionato di fantasy, e magari di quel fantasy anche crudo in stile George Martin, i libri della Gnone hanno comunque un loro valore: semplici e lineari, sono anche freschi, simpatici, discretamente avventurosi, e certamente avranno funto e fungeranno da apripista per la letteratura fantastica, o per il semplice leggere, per tanti bambini… ciò che è un merito di non poco conto.

Due parole nel dettaglio su Il potere della luce, terzo episodio della saga di Fairy Oak: il villaggio di Fairy Oak è sempre a rischio attacco da parte del Terribile 21… e i sospetti su Pervinca, una delle due gemelle Periwinkle, sono sempre più pressanti, tanto che l’intera sua famiglia è ora mal vista da molte persone del villaggio.
Il fatto che Pervinca sia una strega del buio, mentre la gemella Vaniglia una strega della luce, non depone a suo favore… e infatti a un certo punto la ragazzina scompare definitivamente, e ormai si dà per scontato che sia al fianco degli esponenti del buio, i quali vogliono estendere il loro dominio su Fairy Oak.
Oltre alle due gemelle Periwinkle, abbiamo il solito circondario di maghi della luce e del buio, di fate, di alberi parlanti, e ancora di amicizie e inimicizie, di racconti, di amori.

Il programma va avanti sulla stessa falsariga dei primi due libri della saga: se vi sono piaciuti quelli, o se sono piaciuti più probabilmente ai vostri figli, anche questo Il potere della luce sarà dunque adatto.

Adesso devo decidere se leggermi anche la quadrilogia successiva, giacché non mi piace né sprecare il cibo né sprecare i libri, o se passare, e magari passare il libro a qualcun altro che potrebbe apprezzarlo di più.

Fosco Del Nero


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Titolo: L’incanto del buio - Fairy Oak 2.
Scrittore: Elisabetta Gnone.
Genere: fantasy.
Editore: De Agostini.
Anno: 2006.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.


La recensione di oggi è dedicata a L’incanto del buio, il secondo libro della trilogia di Fairy Oak, scritta da Elisabetta Gnone.

Dico trilogia perché inizialmente era tale, con i tre romanzi che difatti sono stati raccolti in un unico volume, per l’appunto intitolato La trilogia completa.
Tuttavia, sulla scia del successo riscosso, la scrittrice italiana ne ha scritti poi altri quattro, che a loro volta sono stati poi raccolti nel volume intitolato I quattro misteri.

Ad ogni modo, L’incanto del buio segue Il segreto delle gemelle… che non mi aveva fatto impazzire, per semplice motivo che era un romanzo fantasy di livello basico e destinato a un pubblico altrettanto basico, ossia molto giovane e preferibilmente femminile.

Tuttavia, ormai mi sono comprato entrambi i volumoni da rispettivamente tre e quattro romanzi (mi piacevano molto le copertine), e quindi me li leggo.

L’incanto del buio si sforza di modificare la struttura piuttosto lenta e lineare del primo libro e lo fa alternando le scene del presente e la lettura di un vecchio libro che porta il lettore nel passato di Fairy Oak, facendogli così conoscere gli antenati degli attuali protagonisti.
Lo sforzo è apprezzabile, e peraltro si assiste anche a una diminuzione di tutti quei diminutivi di tendenza dolce e simpatica che imperversavano nel primo volume… tuttavia rimane il fatto che anche questo secondo libro, essenzialmente, è un romanzo fantasy-fiabesco per bambine e adolescenti.

Ecco in sintesi la trama, che poi è poca roba davvero: Tomelilla e Duff Burdock intuiscono che il Signore del Buio, definito anche il "Terribile 21", vuole le gemelle Pervinca e Vaniglia (soprannominate rispettivamente e Babù, fatto che proprio non mi entra in testa e mi confonde le idee ogni volta che si passa dai nomi ai soprannomi), e dunque consegnano alla prime delle due, la quale è un “magico del buio”, il Libro Antico, perché essa capisca come salvare il villaggio nel momento fatidico.
Tuttavia proprio la lettura del libro spingerà la ragazzina ad avventurarsi in zone poco sicure allo scopo di cercare un bastone citato nel testo consegnatole… e proprio tale fatto genererà conseguenze importanti per l’intero villaggio di Fairy Oak.

Come detto, L’incanto del buio, e immagino tutta la saga di Fairy Oak, è rivolto a un pubblico molto giovanile, e offre in tal senso magia, amicizia, buoni sentimenti, qualche principio educativo. In tale direzione, evidentemente, Elisabetta Gnone è brava, e i risultati di vendita parlano da soli.
Spero però che nel corso della saga vi sia una crescita di personaggi, sceneggiatura e atmosfera… come spesso accade in saghe di questo tipo, lunghe e infantili-adolescenziali.
Per ora mi attende il terzo e ultimo romanzo della trilogia iniziale, Il potere della luce.

Nota di demerito per il finale, praticamente assente, e che rimanda in modo sfacciato al volume successivo: una pratica purtroppo sempre più abituale ma che non per questo diviene corretta nei confronti del lettore e valida nei confronti dell’opera realizzata, che rimane così letteralmente monca.

Fosco Del Nero


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Titolo: Missione a Varsavia - Time machine 5 (Mission to World War II - Time machine).
Scrittore: Nanus-Kornblatt.
Genere: librogame, avventura, storia.
Editore: E.L.
Anno: 1986.
Voto: 7.
Dove lo trovi: nel mercato dell’usato.


Come anticipato nella recensione di Selvaggio west, eccomi qui con l’articolo su Missione a Varsavia, il quinto libro della serie Time machine.

Serie di librogame e non di libri normali, per quanto la serie Time machine non proponga molte scelte e quindi possibilità d’azione.
Anzi, non ne propone proprio, nel senso che c’è un solo percorso percorribile, e prima o poi si passa da quello.

La serie peraltro si distingue per la brevità dei suoi volumi, e dunque per lo scarso numero di paragrafi, ma anche per la semplicità della struttura di gioco: niente dadi, niente profili da creare, ma solo la scelta al bivio…
… e come detto è una scelta fittizia, nel senso che se si prende un strada “sbagliata” semplicemente si vien riportati indietro alla medesima scelta fino a che non si imbocca la via giusta.

Ma veniamo a Missione a Varsavia: l’ambientazione è quella della seconda guerra mondiale, e nel dettaglio sono descritte le dure condizioni del ghetto ebreo di Varsavia, subissato dalle angherie dei tedeschi.
Il protagonista ha una missione ben precisa: trovare dove è finito un bidone del latte in cui un polacco ebreo, tale Emanuel Ringelblum, aveva nascosto le sue testimonianze scritte di quegli eventi.
Nel mentre si fa in tempo a conoscere vari altri personaggi, tra cui Mordechai Anielewicz, che ha guidato la ribellione del ghetto nel 1943.

Dico due cose.
La prima è che il libro si presenta a mio avviso più interessante come ambientazione e più avvincente come trama rispetto a quelli che lo avevano preceduto, tanto che, a mio modo di vedere raggiunge Le sorgenti del Nilo in cima alla classifica dei libri migliori di Time machine.

La seconda è che il testo è fortemente politicizzato, e probabilmente non corrispondente alla verità storica.
Ma d’altronde, ancora si continua a dibattere su come andarono veramente le cose nella Seconda Guerra Mondiale e, si sa, la storia la scrivono i vincitori e i potenti, e scrivono quel che vogliono e spesso cose strane, se non proprio impossibili (Pearl Harbour, Torri Gemelle, camere a gas, attacco della-alla Polonia, attacco-difesa contro gli ebrei, etc).

Al di fuori di questo contesto dubitativo, comunque, Missione a Varsavia è un bel librogame, che non si limita alla sola Varsavia, ma ne approfitta per far fare al lettore un salto in Inghilterra, in Olanda, in Italia, in Francia, in Russia e in Germania.
Un salto molto volante, ma sufficiente a dare una panoramica… quanto giusta e corrispondente alla realtà storica, lo veda il singolo lettore.

Fosco Del Nero


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