Il cammino del mago

Titolo: La casa dell’alchimista (Das haus des alchimisten).
Scrittore: Gustav Meyrink.
Genere: grottesco.
Editore: Liberamente Editore.
Anno: 1932.
Voto: s.v.
Dove lo trovi: qui.


Inizio subito con due precisazioni riguardo a La casa dell’alchimista, ultimo lavoro di Gustav Meyrink.

La prima è che contavo di recensire il libro per il mio sito dedicato ai testi di genere esistenziale (com’è stato anche per Il golem, Il volto verde e La notte di Valpurga, che son sì romanzi, ma altamente esoterico-simbolici).
La seconda precisazione è anche il motivo per cui alla fine ho inserito il libro in questo blog: il romanzo è largamente incompleto, essendo stati scritti solo 3 capitoli sui 12 previsti.

Dei rimanenti si ha solo un’idea di massima, dal momento che l’autore austriaco aveva lasciato un “exposé” discretamente dettagliato, ossia un programma di come avrebbe voluto far procedere la storia… il quale peraltro si mostra discretamente diverso dall’esecuzione già nei pochi capitoli elaborati.

Per sopperire, almeno parzialmente, a tale brevità e mancanza, l’editore (non l'edizione presente in foto, visto che in rete non ho trovato l'immagine del libro in mio possesso) ha pubblicato anche il racconto L’orologiaio, accompagnato da un commentario intitolato La metafisica dell’orologiaio, di tale Arnold Keyserling.
Chiude il lotto un lungo commento di tale Gianfranco De Turris che porta il nome di Gustav Meyrink tra fantasia ed esoterismo.

A dire il vero, in apertura c’era anche una lunga biografia di Meyrink… tutto ciò volto a dare un certo numero di pagine alla pubblicazione monca, che peraltro non era stata indicata come monca, il che rappresenta una grave scorrettezza dell’editore, che basterebbe già a qualificare l’opera editoriale in senso negativo.

Per quanto mi riguarda, su circa 160 pagine di pubblicazione del volume La casa dell’alchimista, me ne interessava circa la metà, ossia quanto ha scritto Meyrink: il resto è un riempitivo che potrebbe risultare per alcuni interessante (anche se Meyrink andrebbe affrontato con la sapienza dell’iniziato, e certamente non con l’erudizione dell’intellettuale, com’è frequentemente), ma che non può comunque nascondere il fatto che si inganna il lettore… all’interno di un testo che dovrebbe essere evolutivo-spirituale, giacché l'autore in questione scriveva con l'intento di insegnare e ispirare, oltre che di intrattenere.

Parlando de La casa dell’alchimista, è davvero un peccato che Meyrink non abbia fatto in tempo a completare l’opera, poiché davvero essa si presentava come una delle sue più rappresentative. Anche perché egli non ci ha lasciato poi tanti romanzi, per cui uno in più sarebbe stato prezioso.

Stanti così le cose, non possiamo far altro che apprezzare quel che si legge nei capitoli scritti, nonché quel che si intuisce nel programma di scrittura: in quel poco c’era il miglior Meyrink, simbolico, affascinante, surreale, profondo, dallo slancio evolutivo pur in atmosfere decadenti o difficili (indimenticabile la sua Praga). 

Fosco Del Nero


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Titolo: Blog per l’anima.
Scrittore: Ruggero Lecce.
Genere: crescita personale, internet.
Editore: Uno Editori.
Anno: 2016.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui


Mi è capitato tra le mani il libro Blog per l’anima, di Ruggero Lecce, e l’ho letto. 

A essere onesto la parte tecnica di internet, quindi blog, siti, social e questioni tecnologiche, mi annoia alquanto e, probabilmente, non avrei letto il libro in questione se non avesse avuto un taglio più umano, persino tendente alla crescita personale.

Difatti, il testo si concentra più sulla persona, i suoi interessi e i suoi talenti, che non sull’aspetto tecnico, che anzi praticamente tralascia se non nel dare consigli generici che poi la persona dovrà approfondire per conto suo.

Il testo è piuttosto breve: sono circa 120 pagine molto comode e larghe in quanto a stampa, che dunque si leggono assai facilmente. In teoria basterebbe un paio di sessioni per leggerlo tutto, anche se i contenuti, proprio perché esposti in modo sintetico e denso, in verità richiederebbero tempi più lunghi, sia a livello di riflessione personale sia a livello di approfondimento tecnico.

In tale ottica, Blog per l’anima si presenta più come un testo di partenza, per orientare il tutto, che come un testo tecnico destinato agli addetti ai lavori. In effetti, siamo decisamente più sul “personale” che sul “tecnologico”. In tal senso, lo sfondo che c’è è bello e di valore: talenti personali, diffusione di bellezza, utilità per sé e per gli altri.

Si tratta in verità di cose scontate per chi già porta avanti un percorso di crescita interiore (e anzi in vari casi sopravanzante, secondo lo stato coscienziale di chi legge), ma di elementi affatto scontati nell’uomo comune, e magari in chi si approccia a internet con finalità egoiche. 

Non a caso, Blog per l’anima di Ruggero Lecce è stato pubblicato da un editore che si occupa di crescita personale (più in passato che nel presente, a dire il vero, giacché negli ultimi anni si è diretto soprattutto al filone socio-politico).

Fosco Del Nero


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Titolo: Intrigo a Buckingham Palace – Sherlock Holmes 7 (The royal flush – Sherlock Holmes Solo Mysteries).
Scrittore: Milt Creighton.
Genere: librogame, giallo.
Editore: E.L.
Anno: 1988.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: nel mercato dell’usato.


La recensione presente è dedicata a un librogame: Intrigo a Buckingham Palace, scritto da Milt Creighton.

Di Milt Creighton avevo già recensito un librogame facente parte della serie Sherlock Holmes, ossia I Dinamitardi, il quinto libro della collana in questione. 
Mi era sufficientemente piaciuto, anche se ad esser onesto i libri più belli della serie son stati firmati da Gerald Lientz, tra cui per l’appunto l’ultimo recensito: Un duello d’altri tempi

Tuttavia, con Intrigo a Buckingham Palace Milt Creighton fa un bel passo in avanti, forse anche mettendo a frutto l’esperienza fatta col precedente libro, e realizza un librogame davvero ben fatto, che tiene testa ai migliori di Gerald Lientz.

Ecco la trama sommaria: siamo ovviamente a Londra, alla fine del diciannovesimo secolo, e siamo altrettanto ovviamente alle prese con un mistero, questa volta un mistero insanguinato: una mattina, una delle guardie del palazzo reale viene trovata gravemente ferita nella sua garitta. 
Addirittura, essa teneva in mano il sigillo reale, a cui teoricamente solo in pochissimi, tra i familiari della regina e alcuni alti notabili, avrebbero potuto aver accesso. 
Si inizia così a indagare, ma il caso non è affidato a Scotland Yard per evitare uno scandalo alla Corona: viene così affidato a un nobile di provincia, noto per la sua abilità investigativa… e non a caso è un amico di Sherlock Holmes, che come al solito compare nella sua veste di consulente.

Ovviamente tale investigatore della piccola nobiltà inglese siamo noi, e dovremo dipanare la matassa a forza di interrogatori, indizi, deduzioni….
… e si tratta di una matassa ben più aggrovigliata di quanto apparirebbe sulle prime, pur essendo sulle prime già grave di per sé, trattandosi di tentato omicidio.

Intrigo a Buckingham Palace è piuttosto appassionante: è abbastanza lineare nel suo procedere, nonché nella sua divisione in tre parti, ma presenta un sufficiente, e anzi più che sufficiente, numero di variazioni e di possibilità.

Inoltre è ben scritto, cosa che chiaramente contribuisce alla sua scorrevolezza. 

Insomma, al suo secondo tentativo Milt Creighton fa centro… e meno male, dal momento che era anche l’ultimo tentativo: la serie di librogame difatti si conclude (almeno nell’edizione italiana, ma confesso di non sapere se la serie in inglese aveva un maggior numero di volumi) con l’ottavo volume scritto dal boss Gerald Lientz, L'erede scomparso.

Fosco Del Nero


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Titolo: La sedia d’argento - Le cronache di Narnia 6 (The silver chair).
Scrittore: Clive Staples Lewis.
Genere: fantasy, avventura.
Editore: Mondadori.
Anno: 1953.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.


La sedia d’argento ha pagato, forse anche oltre i sue demeriti specifici, il calo progressivo di qualità del Ciclo di Narnia, ch’è partito bene, con alcuni spunti interessantissimi, nonché un simbolismo di valore, per poi scemare man mano su ambo i fronti, finendo per proporre romanzi brevi, o racconti lunghi, non malvagi ma tutto sommato trascurabili… e sempre più noiosi, a dirla tutta, per quanto anche stavolta non manchino alcuni elementi interessanti.

Ad ogni modo, veniamo a noi: La sedia d’argento è il quarto libro, in ordine di scrittura cronologica, de Le cronache di Narnia, ma è il sesto nell’ordine di lettura consigliato.
Dei sei libri in questione, questo è il primo in cui non compaiono i fratelli Pevensie (Peter, Susan, Edmund e Lucy), “sostituiti” da Eustachio Scrubb, cugino dei quattro fratelli e già visto ne Il viaggio del veliero, da Jill Pole, che esordisce nel mondo di Narnia, e da Pozzanghera, uno dei tanti animali parlanti della saga.

Ecco la trama sommaria de La sedia d’argento: Eustachio e Jill frequentano la scuola Sperimentale, un luogo non troppo felice sia per l’organizzazione educativa sia per la presenza di alcuni bulli. 
In qualche modo i due riescono a “evadere” da quella realtà finendo nel regno di Narnia; qui incontreranno il paludrone Pozzanghera e porteranno avanti la missione affidata dal leone Aslan a Jill: trovare e salvare Rilian, il Principe di Narnia, sparito in circostanze misteriose. A tal scopo, il Leone le indica quattro segni-segnali che la ragazza dovrà riconoscere per portare il suo compito a compimento.

Di mezzo, vi sarà una popolazione di giganti cannibali, nonché una strega malvagia (un’altra), la quale ha ridotto Rilian in schiavitù con le sua capacità ipnotiche, che peraltro userà anche sulla compagnia. 
I segni-compiti-percorso evolutivo e la tentazione ipnotica-addormentamento sono in effetti gli unici due elementi interessanti de La sedia d’argento, racconto altrimenti un po’ scialbo…

… tanto che, a essere onesto, sto completando la lettura de Le cronache di Narnia più per dovere che per piacere.
Dopo aver letto Il nipote del magoIl leone, la strega e l’armadioIl cavallo e il ragazzoIl principe Caspian, Il viaggio del veliero e ora La sedia d’argento, rimane L’ultima battaglia e dopo avrò finito.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il viaggio del veliero - Le cronache di Narnia 5 (The voyage of the Dawn Treader).
Scrittore: Clive Staples Lewis.
Genere: fantasy, avventura.
Editore: Mondadori.
Anno: 1952.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.


Il viaggio del veliero è il quinto romanzo dell’eptalogia che Clive Staples Lewis ha dedicato a Le cronache di Narnia, dopo Il nipote del magoIl leone, la strega e l’armadioIl cavallo e il ragazzo e Il principe Caspian.
L’anno di scrittura è l’ormai lontano 1952.

Lewis, e lo stesso Ciclo di Narnia, sono ufficialmente riferiti all’infanzia, o se non all’infanzia all’adolescenza. Ciò è evidente in una certa linearità di fondo, in alcuni simboli piuttosto semplici, dai toni morbidi del narrato, negli stessi dialoghi molto “puliti”.

Nonostante quel che affermava Lewis riguardo alla duplice bontà della letteratura per ragazzi e per adulti, concetto che condivido in pieno, di fatto i romanzi di Narnia pendono decisamente più sul primo versante che sul secondo, riguardo al quale risultano piuttosto semplicistici e non adatti a un pubblico abituato ai grandi capolavori della letteratura o ai grandi romanzi fantasy.

Ciononostante, i vari libri componenti le Le cronache di Narnia si difendono sufficientemente bene, per quanto la qualità e l’interesse, almeno dal mio punto di vista, calino di testo in testo.

Ne Il viaggio del veliero del ciclo narrativo, in quanto storia pregressa, non c’è quasi niente, se non il duo Edmond e Lucy e la comparsata del leone Aslan alla fine, e il tutto si riassume in un viaggio per mare verso oriente, alla ricerca della Fine del Mondo.
In effetti, è più interessante il simbolo che non la narrazione in sé.

Ecco la trama sommaria de Il viaggio del veliero: Edmond e Lucy, i più piccoli dei quattro fratelli e sorelle Pevensie, vengono mandati in vacanza presso il cugino Eustachio, noto per essere lamentoso e fastidioso. Come al solito, si finirà a Narnia (stavolta tramite un dipinto), là dove i tre incontrano Caspian, attuale Re di Narnia, il quale s’impegna nella missione di ritrovare, vivi o morti, i sette nobili che il malvagio zio Miraz, precedente usurpatore del trono, aveva mandato in esilio.
Così, Caspian lascia la reggenza del regno al nano Briscola, e si imbarca con i suoi amici nel Veliero dell'Alba diretti verso oriente e verso l’ignoto.

A parte alcuni eventi didattici, come quando Eustachio si trasforma in un orribile drago (per la sua cupidigia), o quando il gruppo s’imbatte in una sorgente che trasforma tutto in oro, compresi gli esseri umani in statue (altro monito contro l’avidità), o quando si trovano alcuni nobili addormentati (simbolo di addormentamento della coscienza), l’unica cosa rilevante della storia è il finale, allorquando ri-compare il leone Aslan, ch’è a sua volta un simbolo di Cristo (infatti giunge sotto forma di agnello), nel luogo oltre il mondo che rappresenta il Regno dei Cieli. Giacché c’è, rivela che in ogni mondo egli è conosciuto in una forma diversa: più che badare alla singola forma, quindi, occorre badare a quello che sta dietro alla forma.

A livello di simbolo, interessante anche il fatto che i protagonisti vengono fatti schiavi per essere oggetto di mercimonio, per poi essere liberati: anche in tale circostanza siamo sul versante inconsapevolezza-addormentamento-schiavitù.

Che Lewis ponesse nei suoi testi dei simboli religioso-spirituali, e di chiaramente d’impronta cristiana, è cosa ben nota, e personalmente apprezzata… il punto, molto semplicemente, è che i suoi romanzi sono rivolti soprattutto a un pubblico giovanissimo e che, a livello narrativo, valgono probabilmente meno dei loro contenuti. Questo è anche il caso de Il viaggio del veliero.

Fosco Del Nero


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Titolo: La notte di Valpurga (Walpurgisnacht).
Scrittore: Gustav Meyrink.
Genere: grottesco, drammatico.
Editore: Edizioni Studio Tesi.
Anno: 1917.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


La notte di Valpurga è il quarto testo di Gustav Meyrink che recensisco, dopo Il golem, Il volto verde e Racconti agghiaccianti.
L’ultimo titolo consisteva in una raccolta di racconti, genere che non amo molto e nel quale peraltro emerge più la vena grottesco-surreale di Meyrink che non quella esoterico-esistenziale, viceversa assai netta nei due romanzi Il golem e Il volto verde.

Quanto a La notte di Valpurga?

Purtroppo anche in questo caso prevale il primo elemento, per me poco interessante, mentre il secondo, così vivido negli altri due libri, tanto da caratterizzarne l’essenza persino oltre la trama, in questo caso risulta un po’ in ombra.

Cominciamo con la trama sommaria dell’opera: siamo nel 1887 a Praga, in un periodo di notevoli sommovimenti. Tra il popolo si stanno diffondendo ideologie sovversive, tra il socialismo e l’anarchia, ma sulle prime la cosa non pare turbare la classe dominante nobiliare. La storia inizia nel palazzo del Barone Konstantin Elsenwanger, in un convivio dove son presenti anche la Contessa Zahradka, il Consigliere Kaspar von Schirnding  e il medico di corte Thaddaus Flugbeil, oltre alla domestica Bozena… la quale riconosce lo strano uomo che viene visto prima camminare sul muro di cinta e poi svenire: è Zrcadlo, un attore che vive presso Lisa la Boema, ex prostituta e antica amante di Flugbeil.
Di seguito entreranno in scena anche il giovane violinista Ottokar Vandrejc, sospettato d’essere il suo figlio segreto, Polyxena, nipote della Contessa e figlia del Barone, il tartaro Molla Osman, che rivela a Polyxena l’esistenza della possessione spirituale. Zrcadlo è presto sospettato di una tale possessione.

Tutto ciò, e anche altro, accade sullo sfondo di una Praga decadente, in cui si ha la sensazione che, tra possessioni e umori popolari, possa accadere veramente di tutto.
La parte più importante de La notte di Valpurga è probabilmente proprio il tratteggio della città ceca, ambigua, melliflua e dall’aria magica… una magia però più oscura che luminosa.

Quel che a me premeva maggiormente, tuttavia, erano i contenuti di tipo esoterico, largamente presenti ne Il golem e ne Il volto verde, tanto presenti da costituirne l’asse portante, e viceversa meno importanti La notte di Valpurga.
Qualcosa c’è, invero, giacché  a scrivere è pur sempre Meyrink, ma vi è meno di quanto avrei desiderato, ciò che rende La notte di Valpurga un buon romanzo in senso generico, ma deludente in quanto ad elementi esistenziali… anche se ho il dubbio che in tal senso abbia influito anche una traduzione non all’altezza da parte di un “profano”: in tale ipotesi, i contenuti ci sarebbero ma sarebbero nascosti da una traduzione poco efficace dal punto di vista dei principi esistenziali.

Leggerò comunque qualcos’altro di Meyrink, anche perché in fin dei conti non ha prodotto molti romanzi: La casa dell’alchimista, per esempio, o Il domenicano bianco… 

Fosco Del Nero


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Titolo: Ubik (Ubik).
Scrittore: Philip K. Dick.
Genere: fantascienza, psicologico, surreale.
Editore: Fanucci Editore.
Anno: 1969.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


Philip K. Dick è un autore che ho sempre avuto in animo di approfondire, conoscendo la sua ampia fama di scrittore geniale e visionario, i cui libri non a caso sono già stati convertiti in prodotti cinematografici in notevole numero (Blade runnerAtto di forzaMinority report, PaycheckImpostorA scanner darkly - Un oscuro scrutareI guardiani del destino, la serie tv L’uomo nell’alto castello).

Se i film conversioni dei suoi libri li ho visti tutti, di romanzi ne avevo letto giusto un paio, e dei minori: nel dettaglio Noi marziani e La penultima verità, entrambi piaciutimi discretamente.

Per il terzo appuntamento, ho optato per un nome grosso, forse il più famoso dei suoi testi: Ubik, un testo non particolarmente lungo con le sue 180 pagine.

Credo che l’impatto delle storie di Dick sul lettore dipenda molto dallo stato di coscienza del lettore, e non tanto dall’intelligenza o dalla cultura. Una persona poco avvezza alle riflessioni sul dualismo tra realtà e finzione, o mai interessatasi ai temi evolutivo-spirituali, certamente sarà colpita dall’ambiguità esistenziale del narrato, che non risparmia il lettore fino all’ultima pagina del libro, nella quale, al posto degli inserti pubblicitari che avevano caratterizzato tutta l’opera fino a quel momento, compare un assunto di tipo metafisico che ricorda molto il Tao. In effetti, a opera conclusa, vien da pensare che Ubik, Tao ed essenza divina siano la medesima cosa… per quanto il suddetto argomento non venga affrontato direttamente.

L’argomento che invece viene affrontato di petto nel suddetto romanzo è l’ambivalenza tra lo stato di veglia, la cosiddetta realtà, e lo stato di sonno, la cosiddetta finzione. In questo caso, non un sonno vero e proprio, composto da sonno e sogni, ma quella che è definita semi-vita, una condizione tecnologica futuristica in cui, a fronte del decesso del corpo, ossia dell’impossibilità di salvarlo, viene quantomeno salvata la coscienza di determinate persone (almeno, per un certo lasso di tempo), in modo che, saltuariamente, i loro cari potessero andarle a trovare, nei cosiddetti “moratorium”, per parlarci.

È questa la situazione di Glenn Runciter, titolare della Runciter Associates, il quale ogni tanto va a trovare la moglie Ella, scomparsa tempo prima, ma ancora semi-viva.
Non è la cosa più bizzarra della storia: la Runciter Associates è un’"agenzia di neutralizzazione", ossia un’organizzazione che assume persone che hanno la capacità di neutralizzare i poteri esp di taluni individui, ampiamente utilizzati nel mercato dello spionaggio industriale. Dunque per farla breve: qualcuno assume gli individui con un talento psichico, e qualcun altro assume individui con un anti-talento al fine di neutralizzare il suo avversario.
Nemmeno questa è la cosa più bizzarra della storia: dopo un’esplosione, probabilmente di natura dolosa organizzata dai principali rivali della Runciter Associates, il suo fondatore muore, mentre i suoi dipendenti, a cominciare dal protagonista Joe Chip, il miglior selezionatore di anti-talenti, si salvano miracolosamente… ma il loro mondo comincia a essere strano, parecchio strano: gli oggetti regrediscono, la società torna gradualmente indietro nel tempo fino agli anni “30, qualche membro del gruppo muore in modo inquietante. Tanto che un dubbio atroce si affaccia alla mente di Joe…

L’ho già detto: sullo sfondo delle tante trovate originali di Ubik, il suo tema di fondo è la questione della realtà-finzione, tanto che in molti per commentarlo hanno tirato in ballo il mito della caverna di Platone o altri concetti filosofici. Tuttavia, si va anche oltre: non a caso, Philip Dick era studioso di argomenti esistenziali-spirituali, e aveva anche avuto visioni mistiche (non indotte dalle droghe come si pensava al tempo in cui era vivo).
La questione di fondo, dunque, non è la fantascienza o la tecnologia, ma la coscienza, come provano le seguenti frasi tratte dal libro:

“Io sono vivo, voi siete morti.”

“Ciò che crediamo sia un incidente è un’ulteriore dimostrazione dell’operato di Dio.
In un certo senso, tutta la vita può definirsi “un incidente”.”

“Prima che l'universo fosse, io ero. 
Ho creato i soli. Ho creato i mondi. Ho creato le forme di vita e i luoghi che esse abitano; io le muovo nel luogo che più mi aggrada. Vanno dove dico io, fanno ciò che io comando. Io sono il verbo e il mio nome non è mai pronunciato, il nome che nessuno conosce. 
Mi chiamo Ubik, ma non è il mio nome. Io sono e sarò in eterno.”

Se dovessi associare Ubik a due film, utilizzerei Existenz per il dualismo tra realtà e finzione e Dark City per la questione esistenziale più ampia (gnosticismo e dintorni).

Detto questo, mi leggerò altre opere di Dick, a cominciare dalla Trilogia di Valis, che ha fama di essere la sua opera più simbolico-esistenziale.

Fosco Del Nero


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Titolo: L’orrore sotto il tumulo (The mound, The horror in the museum).
Scrittore: Howard Phillips Lovecraft.
Genere: orrore.
Editore: Newton Compton.
Anno: 1930-1939.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui


Non mi sono letto il libro L’orrore sotto il tumulo per una sorta di revival delle mie vecchie letture da adolescente, le quali avevano compreso tutti i volumetti pubblicati dalla Newton Compton nella collana “Il fantastico economico classico”, che conteneva generi tra la fantascienza e il fantasy, tra l’horror e l’avventura.

Nel dettaglio, il volumetto in questione, breve come tutti quelli della suddetta collana, includeva due racconti scritti da Howard Phillips Lovecraft: il primo è L’orrore sotto il tumulo, il secondo è L’orrore nel museo… il genere degli scritti è dunque facile da identificare.

Il racconto principale non fa parte del corpus classico lovecraftiano, anzi fu scritto su commissione come “scrittore fantasma” intorno al 1930 e pubblicato col nome di Lovecraft solo dopo la morte di quest’ultimo.
Pur trattandosi di un lavoro su commissione, ed evidentemente spurio dal momento che di mezzo vi sono indios americani, la penna del Maestro di Providence è facilmente riconoscibile, con tutti i suoi orrori visti e non visti.

Il secondo racconto, assai più breve, cita apertamente alcuni dei mostri del pantheon lovecraftiano, Cthulhu e Yog-Sothoth, e si dimostra assai più diretto nell’orrore, mentre il primo racconto era più mediato, avvalendosi tra l’altro dell’espediente letterario, ai tempi piuttosto in voga, del manoscritto ritrovato che racconta cose incredibili.

Nel complesso, siamo sotto la media della produzione di Lovecraft… che tuttavia non ho voglia di riprendere: questa lettura era dovuta al fatto di aver trovato in rete un articolo che suggeriva la lettura de L’orrore sotto il tumulo come parallelismo alla situazione mondiale attuale.
Ma  magari in futuro riprenderò qualche altro testo di H. P. Lovecraft, e magari qualcuno dei più quotati.

Fosco Del Nero


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Un duello d’altri tempi – Sherlock Holmes 6 – Gerald Lientz
Titolo: Un duello d’altri tempi – Sherlock Holmes 6 (The honour of the Yorkshire Light Artillery – Sherlock Holmes Solo Mysteries).
Scrittore: Gerald Lientz.
Genere: librogame, giallo.
Editore: E.L.
Anno: 1988.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: nel mercato dell’usato.


Dopo l’appena sufficiente i Dinamitardi, quinto libro della serie di librogame Sherlock Holmes, ritorna in pista Gerald Lientz, autore dei migliori volumi della serie in questione (ricordo in particolare Omicidio al Diogenes Club Il caso Milverton): stavolta è la volta di Un duello d’altri tempi.

Ecco la trama sommariadi Un duello d’altri tempi, che ci porta dritti dritti nell’Inghilterra del 1890, tra investigatori, militari, gioielli, duelli, furti, patrimoni e promesse di matrimonio: noi siamo James Hurley, investigatore di riserva che il famoso Sherlock Holmes manda a occuparsi dei casi di cui egli stesso non può occuparsi per via di precedenti impegni. 
Il caso in questione in realtà non è un caso, o quantomeno non ancora: non è stato perpetrato alcun omicidio e non è stato commesso nessun furto… ma di recente, durante due convivi, sono stati compiute due ricche rapine presso residenze private, e si profila all’orizzonte un altro convivio, durante il quale saranno effettuate attività, verrà inscenato un antico duello riproposto di anno in anno tramite simulazione e soprattutto verrà esposta un’aquila d’oro tempestata di pietre preziose, antico artefatto di valore inestimabile.
Così, noi e il fidato Dottor Watson veniamo mandati a vigilare, mentre Sherlock Holmes fa da consulente a distanza.

Il sistema di gioco è quello tipico dei precedenti libri di Gerald Lientz: vi sono scelte da fare, che possono maturare indizi, decisioni e deduzione, col nodo che verrà dipanato solamente se si collezionerà un certo numero di indizi.

Il caso è interessante e vivace, anche per via della sottotrama che accompagna la trama principale e che serve e mischiare un po’ le acque; parecchio, in realtà, per via dei numerosi personaggi, delle numerose possibilità, e delle numerose scelte disponibili, cosa che genera diversi possibili esiti nonché una buona rigiocabilità del librogioco.

Lo stile di scrittura è invece pulito, essenziale ed efficace.

Globalmente, Un duello d’altri tempi di Gerald Lientz, sesto volume della collana Sherlock Holmes e nel dettaglio quarto curato dallo stesso Lientz, conferma la buona qualità media dell’autore in questione (il solo Watson sotto accusa non mi aveva colpito in positivo) e si dimostra librogame giallo-investigativo di buon valore.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il ritorno di Ayesha (The return of Ayesha).
Scrittore: Henry Rider Haggard.
Genere: fantasy, avventura, sentimentale.
Editore: Newton Compton.
Anno: 1905.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui


Il ritorno di Ayesha è il seguito di Lei, altrimenti intitolato La donna eterna: quest’ultimo era stato scritto nel 1887, mentre il suo seguito è datato 1905: ben diciotto anni di distanza, dunque.
Il ciclo si completa infine con altri due romanzi, che però non sono mai stati tradotti in italiano.

Henry Rider Haggard è stato uno scrittore molto prolifico e al tempo molto famoso, soprattutto per il lungo Ciclo di Allan Quatermain (tra cui spicca il noto Le miniere di Re Salomone), così come per il Ciclo di Olaf Spadarossa.

Di mio, Ayesha è il suo quinto libro che recensisco, dopo La donna eterna, La collana del vagabondo, Bisanzio e La valle dei re; le valutazioni hanno oscillato tra il 6.5 e l’8, segno che Haggard mi è sempre piaciuto… soprattutto per la sua verve avventurosa, ma anche per un certo sottofondo psicologico.

Ma torniamo a Il ritorno di Ayesha: Orazio e Leo, invecchiati di circa vent’anni, stanno ancora viaggiando per il mondo alla ricerca di Ayesha, il cui precedente corpo hanno visto morire davanti ai loro occhi ma che danno per scontato sia ancora viva da qualche parte, data la sua natura immortale. Finiscono così in Asia, tra monasteri e antiche popolazioni.
In un luogo, in particolare, si parla di una Montagna Fiammeggiante abitata da un’invincibile Regina… e i due torneranno a rivisitare l’antica storia di Callicrate, di Amenartas, della sacerdotessa di Iside e del saggio consigliere.

In effetti, Il ritorno di Ayesha sa molto di già visto: in parte è un seguito e in parte è una riproposizione del romanzo che ebbe tanto successo in precedenza, pur con la modifica di nomi e situazioni.
Il testo è anche nettamente più lungo e, data la scrittura piuttosto verbosa di Haggard (ma più che sua era una tendenza di quel periodo), rischia di annoiare in certi frangenti, pur mantenendosi sempre sufficientemente interessante.

Nel passaggio tra l’avventura africana e quella asiatica si perde parecchia della forza del romanzo originale, anche se non mancano alcune scene di alto impatto, nonché alcune riflessioni valide sull’animo umano o su mitologie, culti e spiritualità.

Credo che, finora, avessi letto Il ritorno di Ayesha solo una volta, da adolescente, tanto che non ne ricordavo i contenuti, mentre La donna eterna l’avrò letto quattro o cinque volte, il che da solo dà un’idea del rispettivo valore dei due romanzi.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il principe Caspian - Le cronache di Narnia 4 (Prince Caspian).
Scrittore: Clive Staples Lewis.
Genere: fantasy, avventura.
Editore: Mondadori.
Anno: 1951.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


Il principe Caspian è il quarto romanzo de Le cronache di Narnia, dopo Il nipote del magoIl leone, la strega e l’armadio, e Il cavallo e il ragazzo. Anche se, a dire il vero, è stato il secondo in ordine cronologico di scrittura, dopo il solo Il leone, la strega e l’armadio. Gli altri due, difatti, hanno datazioni differenti, ma ne viene consigliata prima la lettura per questioni di struttura interna della saga.

Ad ogni modo, veniamo a noi: Il principe Caspian conferma tutto quanto già evidenziato in relazione a Le cronache di Narnia di Clive Staples Lewis: si tratta di letteratura per l’infanzia, ossia piuttosto semplice, a cui sono stati abbinati dei simboli piuttosto chiari, di modo che il fantasy si unisce a taluni elementi della tradizione giudaico-cristiana: l’albero della conoscenza del bene e del male, il sacrificio, la resurrezione e via discorrendo.

Il principe Caspian, in verità, è forse il meno “dotato” da questo punto di vista, limitandosi a un solo elemento: quello per cui, nonostante la malvagità dell’essere umano possa a tratti prevalere e combinare disastri (la Strega bianca, l’usurpatore Miraz), alla fine la Divinità e il bene trionfano e ripristinano l’equilibrio.
Anche la questione della magia che si affievolisce e si rinforza secondo cicli potrebbe essere rapportato alla coscienza collettiva, al livello medio di spiritualità e alle varie ere energetiche (non a caso si parla di Età dell’Oro).

Ecco la trama sommaria de Il principe Caspian: siamo circa un anno dopo gli eventi del primo romanzo, Il leone, la strega e l'armadio. Nel computo temporale terrestre non è passato dunque molto tempo, ma a Narnia son trascorsi interi secoli, addirittura tredici. Nel mentre, la magia è quasi del tutto sparita, gli animali coscienti e parlanti sono stati da molto tempo sterminati quasi del tutto, il popolo dei Telmarini si è impossessato del potere e il ricordo dei quattro figli di Adamo e di Eva è ormai sbiadito, tanto che il pensiero generale è che sia i quattro ragazzi che Aslan fossero dei miti, mai esistiti realmente (un po' come per Gesù a distanza di tempo, volendo effettuare un altro paragone cristiano).

Un dì, mentre stanno per prendere un treno, Peter, Susan, Edmund e Lucy vengono richiamati a Narnia: salvano un nano di nome Briscola, il quale illustra loro la situazione generale: il piano è quello di deporre Miraz e ripristinare il legittimo erede al trono, Caspian.

Il principe Caspian è piuttosto lineare: gradevole, ma non imperdibile, come i suoi tre predecessori.
Diciamo che Le cronache di Narnia sono impreziosite dal loro valore simbolico ed educativo, poiché altrimenti, rimanendo sul fattore meramente narrativo, sarebbero di minor significato.

Il prossimo della lista è Il viaggio del veliero, il quinto sui sette romanzi totali.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il cavallo e il ragazzo - Le cronache di Narnia 3 (The horse and his boy).
Scrittore: Clive Staples Lewis.
Genere: fantasy, avventura.
Editore: Mondadori.
Anno: 1954.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


Il cavallo e il ragazzo è il terzo romanzo de Le cronache di Narnia, almeno secondo l’ordine di lettura stabilito dallo stesso Clive Staples Lewis; come noto, l’ordine cronologico di scrittura è stato ben diverso.

Rispetto ai primi due libri, ossia Il nipote del mago e Il leone, la strega e l’armadio, si assiste qui a un discreto cambio di ritmo: in effetti, dei tre testi Il cavallo e il ragazzo è quello che ha più le sembianze di romanzo, mentre gli altri due parevano più che altro delle lunghe fiabe: piuttosto lineari, piene di simboli, dallo scopo più educativo che narrativo.

Peraltro, leggo online che Il cavallo e il ragazzo è l’unico libro dei romanzi del Ciclo di Narnia in cui non compaiono i protagonisti centrali della saga, ossia i fratelli Peter, Susan, Edmund e Lucy. Così, esso è stato forse pensato da Lewis come divertissement, come “storia parallela” alla storia centrale di Narnia, che essenzialmente è un simbolo della lotta tra la luce e il male.

Vediamo la trama sommaria de Il cavallo e il ragazzo: il personaggio principale è Shasta, un ragazzino che vive nel regno di Calormen, il quale sta assai più a meridione rispetto a Narnia: tra i due vi sono delle montagne, un altro regno e un grande deserto. Shasta è stato allevato da un uomo che non era il suo padre naturale e che lo aveva trovato in un’imbarcazione arenata su una spiaggia: la sua pelle infatti è molto più chiara delle genti del sud, e ricorda quella dei popoli di Narnia o di Archen, il regno confinante. 
Un giorno un aristocratico propone al padre adottivo di acquistare il ragazzo, ma il cavallo del visitatore, Bri, un cavallo parlante originario di Narnia, rivela a Shasta che l’uomo è molto malvagio, tanto che gli propone di fuggire insieme. I due, già in cammino, si imbattono in altri due fuggitivi: la ragazza Aravis e la sua cavalla parlante Uinni. I quattro si accordano per portare avanti i loro tentativi di fuga.
Ma presto Shasta viene scambiato per il Principe Corin e portato via, per cui i piani di fuga dei quattro si complicano alquanto.

Il cavallo e il ragazzo è forse più povero, a livello di simboli, rispetto ai precedenti due libri, ma qualcosa c’è: intanto, il giovane trovato in riva al mare che poi si rivela essere persona di lignaggio dall’importante avvenire ricorda parecchio la figura di Mosè. Ancora, l’abbinamento tra gli esseri umani e i loro animali parlanti, col forte legame che si instaura tra di loro, a tratti ricorda l’unione tra il corpo fisico e l’anima… poi esplorata da un successivo romanzo fantasy, La bussola d'oro. Infine, vi è l’attraversamento di un deserto, fatto che riporta alla mente sia l’evento biblico sia il concetto esoterico di prova iniziatica. Se vogliamo dirla tutta, alla fine della storia c’è anche la trasformazione punitiva di un uomo arrogante in un animale, fatto che ricorda molto da vicino la metempsicosi e il declassamento dell’uomo a livello di apprendimento animico.

Insomma, qualche simbolo c’è anche ne Il cavallo e il ragazzo, pur se in modo meno eclatante rispetto ai primi due libri de Le cronache di Narnia.
Il successivo appuntamento è con Il principe Caspian.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il leone, la strega e l’armadio - Le cronache di Narnia 2 (The lion, the witch and the wardrobe).
Scrittore: Clive Staples Lewis.
Genere: fantasy, avventura.
Editore: Mondadori.
Anno: 1950.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui


Avendo deciso di leggermi tutto il ciclo letterario de Le cronache di Narnia, ed avendo letto di recente Il nipote del mago, era questione di poco tempo prima che mi leggessi anche Il leone, la strega e l’armadio, il quale peraltro, cronologicamente parlando, è il libro che ha dato avvio al ciclo in questione, essendo stato scritto per primo, nell’ormai lontano 1950.

Passo subito alla trama sommaria del romanzo di Clive Staples Lewis, che è ambientato svariati decenni dopo gli eventi del primo libro, tanto che il bambino protagonista di quella storia, Digory, è ora un anziano professore: siamo nel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, allorquando quattro bambini, Peter, Susan, Edmund e Lucy, vengono trasferiti da Londra sino a una casa di campagna, per proteggerli dai bombardamenti, di proprietà dell’eccentrico professor Digory Kirke.

L’abitazione è grande e, agli occhi dei bambini, misteriosa: il posto ideale in cui giocare a nascondino… se non fosse per il fatto che uno dei suoi armadi conduce nel regno di Narnia, e vi conduce per prima la piccola Lucy: essa incontra il fauno Tumnus, dal quale viene a sapere che nel regno vi è una sorta di inverno perenne (“ma senza Natale”, viene detto a più riprese) causato dalla cattiva Strega Bianca. Quanto al buon Aslan, il reggente originario di quel regno, è assente da molto tempo, cosa che ha reso possibile l’avanzata della strega.

Lucy torna indietro e racconta gli eventi ai suoi fratelli, i quali però non le credono. 
Edmond fa un’esperienza simile, ma di verso opposto: incontra la Strega, la quale gli dà una versione diversa dei fatti e gli promette di nominarlo Re di Narnia, nonché di dargli dolci a volontà, se l’avesse aiutata nel suo intento e le avesse portato i suoi fratelli.

Questo è l’abbrivio della storia, la quale, similmente al romanzo precedente, contiene, oltre che vari elementi del folklore tradizionale, come fauni e centauri, anche vari simboli cristiani: Aslan è chiaramente un’iconografia di Gesù Cristo, si riferisce a un Imperatore d’Oltremare ancora più potente di lui (Dio), e come Gesù prima si offre in sacrificio per redimere i peccati di qualcuno e poi resuscita. Lo scontro tra Aslan e la Strega rappresenta l’eterno scontro tra la luce e le tenebre: da un lato abbiamo carisma e candore; dall’altro abbiamo menzogna ed ego.
Abbiamo poi l’Antica Legge, che rappresenta le leggi dello spirito, e abbiamo la Tavola di Pietra, su cui erano incise delle scritte, su cui viene sacrificato Aslan-Gesù e che poi si spezza: essa rappresenta le tavole della legge mosaica, spezzata e superata dall’avvento del cristianesimo (ossia, il Vecchio Testamento è superato e messo da parte dal Nuovo Testamento).
C’è poi il simbolo dell’inverno perenne: il male è freddo e algido, mentre il bene è calore e piacevolezza. Non a caso, nel freddo perenne della Strega Bianca non c’è il Natale, ossia la festa cristiana per eccellenza.
A proposito di cristianesimo, il re-eroe designato è Peter, il primo dei quattro fratelli: Peter è Pietro, come il primo papa. Chiaramente la scelta del nome non è stata casuale.

Ho gradito discretamente Il leone, la strega e l’armadio, a cui, come al suo predecessore, assegno un mezzo punto in più del suo reale valore narrativo per la presenza di simboli spirituali, cosa che lo rende particolarmente adatto al pubblico infantile, com’era infatti nelle intenzioni di Lewis.

Un ultimo commento, questo personale: quando ero bambino, con i miei fratelli facevamo un gioco ch’era molto simile al meccanismo della storia di Lewis. Nella nostra immaginazione, i vari armadi di casa portavano in vari luoghi a noi noti: uno portava al mare, l’altro a casa di nostra nonna, un altro ancora portava in un'altra città da uno zio… altro elemento che mi rende simpatiche le Cronache di Narnia.
Di seguito mi leggerò Il cavallo e il ragazzo.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il nipote del mago - Le cronache di Narnia 1 (The magician’s nephew).
Scrittore: Clive Staples Lewis.
Genere: fantasy, avventura.
Editore: Mondadori.
Anno: 1955.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


Avevo una qualche esperienza negativa relativamente a Le cronache di Narnia di Lewis, ma non mi ricordo di preciso quale: di sicuro il film relativo al primo libro pubblicato dall’autore irlandese, e probabilmente lo stesso libro, ossia Il leone, la strega e l’armadio.

Tuttavia, nel mentre mi ero deciso a dare una seconda chance alla saga di Narnia, tanto che mi ero comprato il volumone pubblicato dalla Mondadori contenente tutti e sette i romanzi facenti parte del ciclo, ossia: Il nipote del mago, Il leone, la strega e l’armadio, Il cavallo e il ragazzoIl principe Caspian, Il viaggio del veliero, La sedia d’argento L’ultima battaglia.

Li ho elencati nell’ordine di lettura consigliato dallo scrittore, ma l’ordine di scrittura è un altro: Il nipote del mago, per esempio, è uno degli ultimi scritti, il penultimo per la precisione, ma è una sorta di prequel e quindi va a costituire gli esordi della storia.
L’intero ciclo è stato scritto in una forbice di anni piuttosto ristretta: dal 1950 al 1956, col ritmo perfetto di un libro all’anno.

Ecco la sintesi del libro, o quantomeno le premesse della trama: Digory e Polly sono due bambini vicini di casa nella Londra di fine 1800. Un dì essi cadono vittima di un raggiro dello zio del bambino, tale Andrew, uno strano personaggio esperto di cose magiche: l’uomo regala alla bambina un anello che la trasporta in un altro mondo, di fatto costringendo il nipote a seguire l’amica utilizzando un altro anello; se i due fossero tornati sani e salvi, l’esperimento magico dell’uomo sarebbe riuscito.

L’esperimento riesce anche troppo, e i due bambini si trovano nella cosiddetta Foresta di Mezzo (nomenclatura che in parte l’amico di Lewis, Tolkien, avrebbe ripreso per la sua Terra di Mezzo: ambo i nomi richiamano il Luogo di Mezzo dello gnosticismo), una sorta di luogo mediano che connette svariati mondi/universi.
Lì i due fanno qualche esperimento, che non si conclude troppo bene: da un mondo morto si portano appresso Jadis, una potente maga che pretende di essere portata sulla Terra dove intende divenire la regina di tutto e di tutti.
In seguito si finisce in un altro mondo, che diverrà il mondo di Narnia, creato in tempo reale dal leone Aslan, il quale darà un incarico a Digory: prendere una mela dal Giardino Segreto… una mela che secondo la strega se morsa regalerà l’immortalità.
Digory e Polly fanno del loro meglio pur nella difficile situazione in cui si trovano.

Che Lewis utilizzi simboli cristiani è piuttosto chiaro: c’è il regno del bene governato dal Leone-Dio-Creatore, c’è il nemico che incarna il male e che tenta i protagonisti della storia (un uomo e una donna, per quanto un uomo e una donna ancora piccoli d’età: innocenza originaria, tentazione del peccato, etc)… in un giardino che non è il Giardino dell’Eden ma il Giardino Segreto, nel quale c'è una mela che non si dovrebbe mangiare.
Ancora, abbiamo gli esseri umani che tendono verso l’egoismo e il servizio al male, come lo zio Andrew, e gli esseri umani che tendono verso il servizio al bene, come il cocchiere Frank che diverrà regnante di Narnia per conto del Leone-Dio.
E poi abbiamo la il Luogo di Mezzo… dove le creature vengono testate e sono momentaneamente imprigionate.
E poi abbiamo la guarigione della madre di Digory, a indicare che chi si affida alle forze della luce verrà guarito.
Da menzionare anche una citazione piuttosto chiara sulla reincarnazione e sulla regressione dell’anima nel mondo animale (se la reincarnazione era storicamente un elemento del cristianesimo originario, di cui parla chiaramente anche Gesù, in dottrina c’è divergenza di vedute sulla retrocessione o meno nel mondo animale).

I simboli molto chiari, e l’intento educativo di Lewis altrettanto chiaro. Ciò depone a favore suo e de Il nipote del mago… il quale, tuttavia, non è un romanzo imperdibile, questo va detto per onestà.
Tuttavia, giacché ormai ho già in mano tutti e sette i testi facenti parte de Le cronache di Narnia, credo che li leggerò tutti, anche perché mi interessa toccare con mano l’opera con fini chiaramente didattici dello scrittore britannico.
Dunque, appuntamento con Il leone, la strega e l’armadio.

Fosco Del Nero


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Titolo: Le avventure di Jim Bottone (Jim Knopf und Lukas der lokomotivfuhrer).
Scrittore: Michael Ende.
Genere: fiaba, infanzia, avventura, fantasy.
Editore: Einaudi.
Anno: 1960.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui


Era da molto che non leggevo qualcosa di Michael Ende: dopo l’indimenticabile La storia infinita, che ho letto varie volte, MomoLo specchio nello specchio e A scuola di magia (i primi due romanzi e gli ultimi due raccolta di racconti), arriva sul blog il suo quinto titolo recensito, ossia Le avventure di Jim Bottone (un romanzo).

Il mio timore era che il testo, un po’ per la tendenza naturale di Ende un po’ per come si presentava, fosse una favola per bambini o poco più… e difatti è stato così.
In tal senso, la lettura del libro non mi ha entusiasmato, e a dire il vero nemmeno incoraggiato.

Non che Le avventure di Jim Bottone sia di spiacevole lettura, ma semplicemente è più orientato all’infanzia che all’età adulta, e infatti è spesso inserito come lettura scolastica (l’edizione che ho comprato, non a caso, è orientata alla scuola, con tanto di appendice finale con domande e spunti di lettura).

Naturalmente, tale “orientamento scolastico” non tiene minimamente in conto il sottofondo esistenziale che serpeggia in tutte le opere di Ende, notevoli o meno che siano: tale testo non ha fatto eccezione possiede ha delle chiavi di lettura simbolica piuttosto chiare, che probabilmente sfuggiranno ai bambini e ai comitati scolastici di lettura, ma non ai lettori avvezzi ai testi si genere esistenziale.

Si parte così da Dormolandia, che rappresenta la materia e addormentamento, e si finisce a Mandala, che rappresenta il traguardo spirituale; difatti, nel primo paese, che pur non è malaccio, vi sono dei problemi e i due protagonisti se ne devono andare per forza, mentre il secondo paese è una specie di eden in cui tutto è ben organizzato e gli abitanti si vogliono bene.
Ancora, alla fine dell’avventura uno dei protagonisti di Dormolandia si fidanza con la principessa di Mandala, e i due paesi vengono uniti da un cavo telefonico per agevolare le comunicazioni: questo simboleggia il fatto che, quando si arriva alla fine del percorso coscienziale, materia e spirito sono riuniti e in armonia… mentre prima c’erano problemi, per l'appunto.
Ancora, i protagonisti devono affrontare un cattivissimo drago che imprigiona e schiavizza i bambini, tra cui la principessa suddetta: il drago rappresenta l’energia sessuale, e in generale l’energia dell’essere umano. Quando l’energia è domata, l’essere umano passa da schiavo-servo a padrone-signore e l’energia, da stimolo incatenante e obnubilante che era, diviene una fonte da cui ci si può abbeverare; difatti, il drago, una volta sottomesso, si tramuta in drago buono e sapiente.
Ancora: a fine storia la locomotiva Emma, simbolo di tutta quanta l’avventura e il percorso, partorisce un figlio, una piccola locomotiva. Questo rappresenta il fatto che tutti i percorsi generano dei “figli”, ossia hanno delle conseguenze su chi li porta a termine: determinano-creano qualcosa.

Conoscendo la passione di Michael Ende per i simboli di genere esistenziale (il Nulla, la principessa sapiente, l’eroe, il nemico da affrontare, etc), va da sé che tutti questi elementi non sono casuali.

Per la cronaca, ecco in breve la trama di Le avventure di Jim Bottone: il piccolo Jim e il macchinista Luca abbandonano l’amata Dormolandia perché il sovrano ha loro riferito che, essendo il posto molto piccolo, non ci sarà più spazio per la locomotiva Emma, la quale in verità è un vero e proprio essere vivente. I due allora, a malincuore, se ne vanno, e dopo alcune peripezie finiscono alla ricerca di Li Si, la principessa del paese di Mandala che è stata rapita da un drago malvagio: durante il percorso affronteranno di tutto e di più… ma sempre col sorriso sulle labbra.

Genericamente parlando, apprezzo Michael Ende, anche se per i miei gusti sovente scivola troppo nel racconto infantile, dimenticandosi della lezione di Lewis secondo la quale gli ottimi libri per i bambini sono anche ottimi libri per gli adulti.
Il risultato finale di Le avventure di Jim Bottone, per quanto mi riguarda, è questo: romanzo breve appena sufficiente per gli adulti, eccellente lettura-favola per i bambini. 
Ma La storia infinita è molto lontana come valore complessivo.

Fosco Del Nero


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Titolo: Maledette piramidi (Pyramids).
Scrittore: Terry Pratchett.
Genere: fantasy, umoristico.
Editore: Sonzogno.
Anno: 1989.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui


Era da molto che non leggevo un romanzo di Terry Pratchett, autore che ho sempre guardato con simpatia per il suo gradevole connubio tra fantasy e umorismo, ma di cui in verità non ho letto moltissimo.
Maledette piramidi è il quinto libro della lista dopo Il colore della magiaLa luce fantasticaA me le guardie! e Tartarughe divine.

Il genere è sempre il solito, anche se siamo solo marginalmente all’interno del Ciclo del Mondo del Disco di Pratchett, il quale scriveva un po’ secondo saghe e un po’ secondo romanzi singoli, i quali comunque son sempre rimasti piuttosto individuali, come questo stesso Maledette piramidi, al di là che fossero inseriti o meno in un ciclo letterario.

Ecco la trama sommaria di Maledette piramidi: Teppic è un apprendista assassino che sta per completare i suoi studi presso la Gilda degli Assassini della città di Ankh-Morpork… ma che in breve si trova proiettato in un’altra dimensione, dapprima metaforicamente e poi anche letteralmente. Si dà il caso infatti che egli sia l’erede al trono dell’Impero di Djelibeybi, una sottile linea di terra posta tra i regni di Tsort e Efebe, eterni rivali rispetto ai quali Djelibeybi funge da cuscinetto.
Insediatosi come nuovo faraone, naturalmente dotato di poteri divini, almeno nell’immaginario collettivo, Teppic conosce svariati personaggi, tra cui l’ancella Ptraci e il sommo sacerdote Dios; naturalmente, dopo l’insediamento cominciano immediatamente i guai.

Maledette piramidi è carino: la rivisitazione dell’Egitto, in parte in salsa umoristica e in parte in salsa metafisica, funziona e risulta credibile, nella misura in cui il termine “credibile” può essere utilizzato per tale testo; i personaggi son discretamente caratterizzati e funzionano; c’è un discreto e garbato umorismo, come negli altri libri di Pratchett…
… ma, proprio come negli altri libri di Pratchett, manca qualcosa affinché il romanzo abbia una marcia in più, per così dire.

Anzi, forse Maledette piramidi si trova un gradino sotto quelli già recensiti; o forse col tempo io son diventato più esigente e dunque più severo. La sensazione è sempre quella per cui oltre un discreto e garbato umorismo non ci sia nient’altro, o comunque davvero poco altro.

Anzi, forse con tale quinto tentativo si è conclusa la mia avventura nell’universo letterario di Terry Pratchett.

Fosco Del Nero


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Titolo: I Dinamitardi – Sherlock Holmes 5 (The Dynamiters – Sherlock Holmes Solo Mysteries).
Scrittore: Milt Creighton.
Genere: librogame, giallo.
Editore: E.L.
Anno: 1988.
Voto: 6.
Dove lo trovi: nel mercato dell’usato.


I Dinamitardi è il quinto volume della serie di librogame Sherlock Holmes, una delle mie preferite fin dall’adolescenza, che ho completato in età adulta.
A precederlo, i vari Omicidio al Diogenes ClubLo smeraldo del fiume neroIl caso Milverton e Watson sotto accusa, tre dei quali (i migliori), scritti da Gerald Lientz

I Dinamitardi propone un nome nuovo, quello di Milt Creighton… e fatalmente la qualità anche in questo caso si abbassa, seppur in modo meno drammatico rispetto allo scarso Lo smeraldo del fiume nero.
I Dinamitardi, infatti, è solo sufficiente, ma non buono.

Ecco la trama sintetica del libro, che di base riprende il regolamento dei precedenti Sherlock Holmes, come da abitudine per le varie serie (fanno eccezione le serie contenenti libri singoli, liberi di proporre ciascuno un proprio regolamento, anche se sovente conformato a una linea generale): nel maggio del 1886 un’esplosione nella metropolitana di Londra provoca due morti, uno dei quali è Jonathan Wheeler, ufficiale e amico del tenente Charles Watson, il quale è al contempo il cugino del Dottor Watson e il protagonista della storia, ossia noi.

Va da sé che l’essere parente di Watson gli consente un accesso privilegiato al celebre investigatore Sherlock Holmes, che si sta occupando di un altro caso ma che presta aiuto sotto forma di consiglio e considerazioni, e a cui potremo sottoporgli i vari indizi una volta ritrovati sul campo.
Il dubbio di fondo è il seguente: la bomba è opera dei Dinamitardi, un’organizzazione terroristica irlandese che punta al riconoscimento dell’indipendenza dell’Irlanda, o c’è dietro qualcos’altro, qualcosa di ancor più losco?
Toccherà a noi indagare sulla morte del nostro amico.

I Dinamitardi non è malaccio; tuttavia, il canovaccio è molto standard, vi sono poche possibili diramazioni, e in taluni casi si è troppo dipendenti dalla fortuna concessa o non concessa dai dadi, tanto che terminare correttamente l’avventura non è affatto scontato, e anzi improbabile, giacché occorre il concorso di numerosi tiri favorevoli.

Nel complesso non è un brutto librogame, ma sta diverse spanne sotto i tre libri della serie Sherlock Holmes scritti da Gerald Lientz.

Fosco Del Nero


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Titolo: La soglia (Beginning place).
Scrittore: Ursula Le Guin.
Genere: fantasy.
Editore: Editrice Nord.
Anno: 1980.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui


Di Ursula Le Guin ho finora recensito due opere: una secca, ossia il romanzo Il mondo della foresta e l’altra composita, ossia il Ciclo di Terramare, a sua volta composto da sei episodi, cinque romanzi (Il magoLe tombe di AtuanIl signore dei draghiL’isola del dragoI venti di Terramare) e una serie di racconti (Le leggende di Terramare).

Se ho apprezzato il primo romanzo, facente parte del Ciclo dell’Ecumene, ho letteralmente adorato la Saga di Terramare… più nel complesso che per la somma dei singoli libri.

Mi sono dunque accostato a La soglia con aspettative positive, che però in buona parte sono andate deluse.

Di interessante c’è la contrapposizione tra il mondo normale della materia, che definiamo realtà, e una realtà parallela a cui i protagonisti hanno accesso, una sorta di mondo crepuscolare per entrare nel quale si passa per una sorta di portale invisibile ai più… e a volte agli stessi protagonisti.

L’altro elemento interessante è quello della dualità, che ricorre spesso nelle opere della Le Guin, non a caso studiosa di discipline spirituali: l’elemento maschile e l’elemento femminile si uniscono, e in quell’unione risolvono i rispettivi problemi. Da questo punto di vista, La soglia sa molto di Tao te ching… con l’aggiunta di qualche altro elemento esistenziale, come la presenza.

A un certo punto, per esempio, si legge la seguente frase.
“Lì era inutile chiedere ‘Che ora è?’, perché non c’era nulla che ti rispondesse, non c’era il sole che dicesse ‘Mezzogiorno’, non c’erano orologi che dicessero ‘Le sette e trentotto e quarantadue secondi’. Dovevi rispondere tu stesso alla domanda, e la risposta era: ‘Adesso’.”

Ma andiamo alla descrizione sommaria della trama de  La soglia: Hugh e Irene sono due giovani con grossi problemi vitali. Lui è grosso e impacciato, timido e asservito a una madre dispotica e anche leggermente squilibrata. Lei ha a che fare con una famiglia numerosa, nella quale un patrigno violento ha preso il posto del padre morto tempo prima. Entrambi hanno accesso al mondo parallelo, e un dì vi si incontrano… per poi scoprire che, in quel mondo, li attende una missione pericolosa.

La cosa curiosa de La soglia, ch’è un romanzo breve, forse poco più di un racconto lungo, è che mette sul tavolo svariati elementi e fa presupporre diverse direzioni narrative, per poi abbandonare tutto, seguire un’unica pista (letteralmente e simbolicamente) e portare a un finale che sembra clamorosamente incompleto se si guarda all’opera dal punto di vista meramente narrativo. Tuttavia, l’esperienza passata mi ha insegnato a non leggere gli scritti della Le Guin in senso esclusivamente narrativo… e d’altronde li leggo proprio per tale motivo, perché so che c’è qualcosa in più.

In questo caso, però, l’autrice ha un po’esagerato, e molto probabilmente il grosso dei lettori si sentirà smarrito o proprio preso in giro per la piega del racconto, il quale dal punto di vista narrativo appare piuttosto incompleto: cosa era quel mostro? Perché proprio i due protagonisti dovevano occuparsi della faccenda? Vi sono altri paesi nel mondo crepuscolare? Perché alcune persone vi possono accedere e altre no? Cosa ne è stato dei personaggi del mondo alternativo introdotti? Cosa ne è stato degli stessi due protagonisti?
Tutte domande rimaste senza risposta.

La soglia va però visto esclusivamente secondo l’intento meta-narrativo dell’autrice, che credo fosse proprio quello di illustrare l’unione e la reciproca compensazione delle due energie-forze contrapposte. Non a caso, risolta la questione nella realtà alternativa, pare che si risolvano le cose anche nella realtà ordinaria.

Non si tratta comunque del meglio di ciò che ho letto della Le Guin, perciò la valutazione rimane un po’ tiepida.

Fosco Del Nero


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