Il cammino del mago

Titolo: Solaris (Solaris).
Scrittore: Stanislaw Lem.
Genere: fantascienza, psicologia, filosofia.
Editore: Mondadori.
Anno: 1961.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui


Da poco mi sono procurato le due versioni del film Solaris, entrambe tratte dall’omonimo libro di Stanislaw Lem, scritto nel 1961.
La prima, quella di  Andrej Tarkovskij, era datata 1972, mentre la seconda, diretta da Steven Soderbergh, era assai più recente, del 2002 per la precisione.

Mi sono visto la seconda e ho in programma di vedermi la prima, ma innanzi tutto, giacché la storia mi aveva incuriosito, ho deciso di leggermi il libro originale dell’autore polacco, considerato un classico della fantascienza… perlomeno della fantascienza più riflessiva e di stampo psicologico-filosofico.

Ecco la trama sommaria di Solaris, libro tradotto in più di trenta lingue: Solaris è un pianeta di un altro sistema stellare che l’umanità ha scoperto nel futuro; la sua superficie è quasi interamente coperta da una sorta di oceano liquido-gelatinoso, su cui ricercatori, scienziati e filosofi si sono a lungo interrogati, dando avvio a una vera e propria disciplina a sé stante, la “solaristica”. Sono ormai cento anni che si discute di Solaris e della sua natura (secondo alcuni si tratterebbe addirittura di un enorme essere senziente in grado di modificare anche la rotazione del pianeta), quando  Kris Kelvin viene mandato nella stazione spaziale sospesa sopra Solaris in qualità di ricercatore e psicologo, per affiancare i già presenti Gibarian, Snaut e Sartorius
… ma solo per scoprire che il primo è morto in modo misterioso, che il secondo si comporta in modo strano e che il terzo non si fa vedere. Le cose non migliorano quando, una mattina, Kelvin trova nella sua cabina Harey, la giovane moglie che si è tolta la vita alcuni anni prima.
A quanto pare, il pianeta ha la capacità di manifestare in forma tangibile e cosciente i legami emotivi passati degli esseri umani; tali manifestazioni non sono proprio vive, ma sono coscienti, e tornano con la memoria pulita se le si elimina.

Sarò sincero: il libro, pur non dispiacendomi globalmente, non mi ha entusiasmato. L’idea di fondo è originale e ciò è un fattore meritevole; parimenti, è interessante la relazione umana del protagonista col personaggio dei suoi ricordi, nonché la sua reazione psicologica; interessante anche la premessa storica che ricostruisce le ricerche scientifiche sul pianeta.

Il romanzo in sé però ha poco ritmo in quanto romanzo (di fantascienza o meno che sia); per larghi tratti tende a essere noioso; inoltre è anche poco credibile nel cedimento psicologico dei suoi protagonisti, che si presumevano viceversa essere ricercatori assai solidi, e anzi il meglio che il mondo aveva da offrire per quella ricerca così importante.

Quanto al substrato filosofico di Solaris, o presunto tale, in verità non è gran cosa, e il tutto è più un gioco mentale che non un testo con veri contenuti esistenziali o evolutivi.

Rimangono comunque i meriti dello scrittore nell’idea originale di partenza, nella commistione tra fantascienza, thriller, scienza, psicologia e filosofia, e nello stile di scritture efficace e pulito.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il drago di Deverry (The dragon revenant).
Scrittore: Katharine Kerr.
Genere: fantasy, esistenziale.
Editore: Tea.
Anno: 1990.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


Dopo aver letto La lama dei druidiL’incantesimo dei Druidi e Il destino di Deverry, era scontato che leggessi anche il quarto e ultimo libro del Ciclo di Deverry, ossia Il drago di Deverry.
L’autrice ovviamente è sempre Katharine Kerr, e il romanzo è datato 1990.

Ecco la trama sommaria de Il drago di Deverry: Deverry rischia di vivere una guerra civile dovuta a una successione incerta. Rhys, il regnante di Aberwyn, uno dei regni di Deverry, è molto malato, forse vittima di un avvelenamento da parte di qualche nemico politico, e attualmente non ha alcun erede. L’erede al trono sarebbe così Rhodry, il fratello, che tuttavia Rhys aveva esiliato tempo prima… e che non si sa dove sia, né se sia ancora vivo.
Ecco che tutti si muovono per i loro rispettivi interessi: i nobili tessono trame politiche per approfittare della situazione; il maestro della luce Nevyn si muove per ritrovare Rhodry e portarlo a casa, e così pure il di lui fratello Salamander e l’innamorata Jill; il maestro dell’oscurità, il Vecchio, agisce invece per scopi opposti. In mezzo a tali grandi movimenti, si muovono anche personaggi secondari, o comunque secondari in questo romanzo: il padre di Jill, Cullyn; la madre di Rhodry, Lovyan; il bizzarro e bizzarramente dotato Perryn; il membro della confraternita oscura Gwin; l’altro membro Baruma; la matrona Alaena, e altri ancora… in effetti tanti altri che si fatica a ricordarne i nomi, e in tal senso non sarebbe stata una brutta idea un elenco dei personaggi messo a inizio o a fine volume. Perlomeno, ne Il drago di Deverry, a differenza dei precedenti tre libri della serie, non si torna indietro nel tempo, cosa che risparmia qualche sforzo mnemonico al lettore.

Devo dire la verità: Il drago di Deverry è il libro dei quattro che mi è piaciuto di meno. 
Katharine Kerr scrive sempre bene, naturalmente, ma in questo romanzo si perde qualcosa rispetto ai suoi predecessori, e anzi sembra un po’ forzato in taluni passaggi.

Inoltre, è anche quello meno significativo come contenuti simbolico-esistenziali, e anzi in esso c’è veramente poco, quasi niente, mentre al contrario i primi libri, soprattutto i primi due, si rivelavano piuttosto significativi da questo punto di vista.
Forse l’autrice aveva esaurito i contenuti e stava andando avanti per inerzia.

Questo, nonché qualche commento che ho letto in rete, mi ha convinto a non proseguire la letture con i cicli successivi. Se il Ciclo di Deverry è terminato con Il drago di Deverry, infatti, altre due saghe ne costituiscono il prosieguo: Le terre occidentali (composto da quattro libro), Le terre del drago (composto da tre libri)… e poi ci sarebbe anche The silver wyrm, saga inedita in italiano (e composta da altri quattro libri). 
Almeno per ora, ma magari in futuro rivedrò la decisione. Per il momento, dunque, mi congedo da Katharine Karr e dal suo bel Ciclo di Deverry.

Fosco Del Nero


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Titolo: L’abisso dei morti viventi - Realtà virtuale 2 (Virtual reality adventure - Down among the deadman).
Scrittore: Dave Morris, Marc Smith.
Genere: librogame, avventura, fantastico.
Editore: E.L.
Anno: 1993.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: nel mercato dell’usato.


Di Realtà virtuale, nota serie di librogame, non ho il primo libro, La foresta degli elfi, per cui comincio la lettura dal secondo, intitolato L’abisso dei morti viventi e scritto dal duo Dave Morris-Marc Smith nel 1993.

In realtà avevo L’abisso dei morti viventi da molti anni, ma non lo avevo mai affrontato. Mi ricordo che una volta iniziai a leggerlo, ma mi interruppi subito per motivi che ora non ricordo. Forse, semplicemente, non mi piacque l’incipit. 

Ancor prima dell’incipit, parlando di librogame, c’è da considerare il regolamento: in ciò la serie di Realtà virtuale mi piace molto, giacché non si tirano dadi e la componente della fortuna non è del tutto azzerata, ma quasi. Anche le scelte fatte, in relazione alle conseguenze cui portano, non sono arbitrarie, ma al contrario tutto sa di proporzionato e di meritocratico, diciamo così.

Si può scegliere tra un novero di otto personaggi già precompilati, oppure strutturarne uno selezionando quattro tra le dodici abilità in elenco, che si muovono a 360 gradi tra arte della scherma e la sapienza, la destrezza e gli incantesimi.
Il tutto è flessibile fin dall’inizio, e continua ad esserlo nello scritto, dal momento che, pur essendovi dei passaggi obbligati, sono molte le vie per arrivarvi, e ugualmente le condizioni, alcune migliori e altre peggiori.
In questo, devo dire, forse Realtà virtuale è il sistema di gioco che ho preferito tra tutti nei librogame.

L’ambientazione non è invece troppo nelle mie corde, dal momento che non ho mai stravisto per pirati, arrembaggi e simili, oggetto per l’appunto de L’abisso dei morti viventi, per quanto nella trama del libro, non troppo lungo nel suo percorso date le numerose alternative presenti, vi sia molto di più, compresi vampiri, streghe, navi magiche, e via discorrendo.

Tuttavia, l'ambientazione, la capacità di scrittura, il regolamento snello e convincente, il buon bilanciamento e l'ottima rigiocabilità mi portano ad assegnare a L’abisso dei morti viventi una valutazione decisamente buona, e certamente mi leggerò gli altri due Realtà virtuale che possiedo, ossia Le spire dell’odio e Il collare dei teschi (di cui però ho letto valutazioni non troppo lusinghiere, mentre al contrario si dice che i migliori della serie siano proprio i due che mi mancano, ossia Cuore di ghiaccio e I misteri di Baghdad).
Comunque, Dave Morris e Marc Smith sono nettamente promossi.

Al prossimo librogame.

Fosco Del Nero 


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Titolo: Il destino di Deverry (The bristling wood).
Scrittore: Katharine Kerr.
Genere: fantasy, esistenziale, sent
Editore: Tea.
Anno: 1989.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


Nella recensione de La lama dei druidi, primo romanzo del Ciclo di Deverry di Katharine Kerr avevo evidenziato che per buona parte del testo la storia non mi aveva preso e lo stato portando a termine più per dovere che per piacere. In un battito di ciglia, tuttavia, tutto è cambiato: mi sono divorato il finale del primo libro, mi sono letto il seguito, L’incantesimo dei Druidi e poi mi son letto anche il terzo, Il destino di Deverry, oggetto della recensione odierna.
Va da sé che il quarto è in dirittura d’arrivo.

Il destino di Deverry prosegue lungo il canovaccio già tracciato dalla Kerr: nelle sue pagine si alternano diverse linee temporali, anche molto distanti tra di loro, ma essenzialmente seguiamo le storie dei medesimi personaggi, reincarnatisi in questa o in quella esistenza…
… e alle prese con tematiche e rapporti umani molto simili: odio, amore, desiderio di possesso, vendetta, etc.

La Kerr, tuttavia, per non girare troppe volte la stessa frittata, introduce anche nuovi elementi e nuovi personaggi, e ingarbuglia il tutto parecchio, tesse nuove tele, crea nuovi nodi, col libro che di fatto non si chiude ma rimane in sospeso, in attesa per l’appunto del quarto e conclusivo libro della saga (quantomeno, della prima saga ambientata in questo mondo: sono poi seguite altre tre saghe anch'esse di quattro libri ciascuna, l'ultima delle quali mai tradotta in Italia).

Ne Il destino di Deverry seguiamo soprattutto, come peraltro nel precedente libro, le vicende dei due amanti Rhodry e Jill, ora entrambe daghe d’argento in giro per il mondo, dopo che il fratello di Rhodry lo ha esiliato e bandito dal regno, costringendolo a una vita di combattimenti e di rischi sotto forma di daga d’argento, una sorta di mercenario coperto di vergogna dalla giustizia e dalla società.
Non vi sono però solo le avventure militaresche a occupare la scena del racconto, ma c’è dell’altro: da un lato le esigenze parentali e di corte, che porteranno a un colpo di scena, e dall’altro le forze della magia nera, che hanno preso di mira proprio Rhodry e che porteranno a un altro colpo di scena… in attesa per l’appunto di sciogliere tutti i nodi nel volume conclusivo.

Un commento su quest’opera e in generale sul Ciclo di Deverry: Katharine Kerr non risparmia nulla al suo lettore, e nella sua storia troviamo passioni, tradimenti, vendette, faide, assassini, stupri omosessuali, magia nera, violenza morale e altre cose teoricamente poco edificanti.
Tuttavia, il tutto non è descritto con toni macabri, sporchi o lascivi, tutt’altro: in primis perché a scrivere è una donna e non un uomo (che differenza in questo senso con le Cronache del ghiaccio e del fuoco di Martin, pur validissime anch'esse); in secundis perché la Kerr parla tra le righe, e a volte nemmeno tra le righe, di percorso evolutivo, di ciclo delle rinascite, di energia, di apprendimenti esistenziali, di scontro tra le dualità opposte.
Questo peraltro è proprio ciò che mi ha fatto invertire la rotta riguardo al ciclo e alla sua scrittrice.

Mi sento così di consigliare il Ciclo di Deverry per vari motivi: una storia ampia, ben tratteggiata e intrigante, dei personaggi ben caratterizzati a cui non si faticherà ad affezionarsi (nonostante la scelta dei nomi spesso non agevoli il lettore), uno stile narrativo pulito ed efficace, dei concetti esistenziali da cui si può imparare qualcosa di importante. 

In questo senso, è un peccato che i suddetti libri siano fuori produzione… ma chi è interessato può sempre cercare di procurarseli in qualche modo.

Fosco Del Nero


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Titolo: Meglio non chiedere (Don’t ask).
Scrittore: Donald E. Westlake.
Genere: avventura, commedia.
Editore: Macro Tropea Editore.
Anno: 1993.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.


Avevo da tempo a casa il libro Meglio non chiedere di Donald E. Westlake.
Sapevo solo che si trattava di una commedia umoristica, e nient’altro.

Ecco la trama sommaria di Meglio non chiedere, che parte da un elemento piuttosto originale, per quanto altrettanto inverosimile: due paesi (immaginari) dell’Europa dell’Est, un tempo uniti nel medesimo stato ed ora separati, si contendono l’unico posto disponibile nelle Nazioni Unite
Per qualche motivo, sulla scelta tra i due avrà un peso determinante il parere di un vescovo, il quale si pensa che propenderà, per motivi puramente religiosi, per quel paese che potrà dimostrare di possedere il femore di Santa Ferghana, una giovinetta di umili origini la quale, dopo un’adolescenza dissoluta, trovò una sorta di ispirazione e poco dopo una sorte assai infausta, venendo divorata dai suoi familiari, per poi essere beatificata dalla Chiesa.
Tanto la storia della santa quanto quella del suo femore non hanno molto senso, ma tant’è: servizi segreti e mercenari si adoperano per assicurare al loro paese (o al paese pagante) la sacra reliquia e dunque il seggio alle Nazioni Unite.
Il protagonista della storia, John Dortmunder, è una sorta di artista del crimine che, insieme ai suoi compari, proverà a far pendere l’ago della bilancia internazionale dal lato della Tsergovia piuttosto che da quelli del rivale Votskojek.

Il tutto senza esclusione di colpi, anche se si tratta non di colpi sanguinari ma di colpi umoristici… e in tal senso in Meglio non chiedere di cose bizzarre ne succedono parecchie.

Meglio non chiedere e Donald E. Westlake propongono un umorismo discreto: ironico e leggero, non volgare, anche se a volte si va a parare in circostanze un po’ forzate.

A tratti il romanzo mi ha divertito, anche se per tratti maggiori l’ho portato avanti non dico con difficoltà ma senza un eccessivo interesse, da cui la valutazione mezzana: né eccellente ma neanche scarso.

Diciamo che, se desiderate un romanzo d’evasione con elementi originali e surreali, qualche finta divagazione storica, qualche intrigo internazionale curioso e personaggi parimenti curiosi, potrebbe piacervi. 

Di mio, ne ho apprezzato più l’abbrivio che non lo svolgimento o il finale, col tutto che andava ad essere sempre più improbabile, meno credibile e anche meno divertente, a mio modo di vederlo.
Comunque, in giro c’è assai di peggio.

Fosco Del Nero


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Titolo: Viaggio al centro della Terra (Voyage au centre de la Terre).
Scrittore: Jules Verne.
Genere: avventura, fantastico.
Editore: RBA.
Anno: 1864.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui


Mi sono procurato alcuni libri di Jules Verne, editi in una particolare edizione di pregio, e ogni tanto me ne leggo uno: dopo il classico Il giro del mondo in ottanta giorni, arriva oggi l’altro classico Viaggio al centro della Terra, un classico in generale, un classico per l’infanzia (magari in edizioni ristrette e prive delle lunghe elucubrazioni scientifiche dei protagonisti), nonché oggetto di diverse trasposizioni cinematografiche, attratte dalla forte spettacolarità e vivacità del narrato.

Per quelli che non sapessero di cosa si sta parlando, ecco la trama sommaria di Viaggio al centro della Terra, romanzo scritto da Jules Verne nel 1864: nel maggio del 1863 il Professor Lidenbrock, abitante ad Amburgo, programma un clamoroso viaggio diretto verso il centro della Terra, sulle orme del mitico esploratore Arne Saknussem, che affermava di essere riuscito a compierlo.
Così, insieme a suo nipote Axel, la voce narrante della storia, si reca in Islanda, dove ingaggia l’abile e taciturna guida Hans, e lì, in un vulcano inattivo, inizia la sua discesa verso il centro della Terra.
Le difficoltà saranno ovviamente molte, ma un po’ per le conoscenze scientifiche dei due scienziati, zio e nipote, un po’ per la perizia di Hans, i tre procedono e vedono cose inimmaginabili: un vero e proprio mondo sotterraneo, con tanto di specie vegetali e animali di altri tempi.

Il filone di Viaggio al centro della Terra  è quello dei mondi perduti, o ancor più precisamente dei mondi sotterranei, filone che attraversa trasversalmente la storia della letteratura: dai miti greci e nordici fino ai tempi più recenti, anche se è soprattutto l’Ottocento, non a caso epoca di esplorazione scientista, ad aver visto i maggiori esponenti: Jules Verne, Henry Rider Haggard, Arthur, Conan Doyle. Anche Edgar Allan Poe si era cimentato in qualcosa del genere, per quanto solo accennato, con Le avventure di Gordon Pym… di cui non a caso lo stesso Verne, a riprova della vicinanza di genere, immagina una sorta di continuazione ne La sfinge dei ghiacci.

Poco prima, a fine Settecento, c’era stato forse il più colossale esempio del filone “mondi perduti”, ossia l’Icosameron di Giacomo Casanova, libretto di appena 1800 pagine… che curiosamente non ebbe un grande successo.

Ma la storia più famosa di qualcuno che scende nelle viscere della Terra e poi torna a parlarne è ovviamente la Divina Commedia di Dante Alighieri… per quanto il genere non sia propriamente quello dell’esplorazione avventurosa ma abbia contorni più filosofico-esistenziali.

Il romanzo di Verne si inserisce nella disputa scientifica sulla natura della Terra e su ciò che sta al suo interno, ciò che in realtà è ancora oggetto di disputa: a scuola insegnano il modello della Terra piena di magma incandescente, ma vi sono sempre stati, e vi sono tuttora, sostenitori del modello della Terra cava, ciò che probabilmente ha dato spunto a storie quali quella di Jules Verne.

Torniamo per l’appunto al romanzo, che è ciò che ci interessa qui: Verne sapeva scrivere bene, non c’è dubbio: l’eloquio è preciso e misurato, e l’incedere avventuroso. Forse il tutto è un po’ troppo ricco di lessico tecnico-scientifico, ma d’altronde ciò era abitudine dell’epoca, forse per far guadagnare autorevolezza a scritto e scrittore, forse per impressionare il lettore, o forse per rendere la storia il più possibile credibile… pur all’interno di un narrato così improbabile come quello di Viaggio al centro della Terra.

Devo però dire la verità: pur avendo gradito Viaggio al centro della Terra, gli ho preferito Il giro del mondo in ottanta giorni. Di entrambi, invece, ho molto apprezzato le illustrazioni originali, incluse nell’edizione in  mio possesso. In verità, gli editori dovrebbero sforzarsi di includere sempre delle illustrazioni nei loro romanzi, fossero anche solo illustrazioni in bianco e nero: ne guadagna grandemente la bellezza dell’opera e la sua potenza evocativa.

Fosco Del Nero


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Titolo: La corona dei Re - Sortilegio 1 (The crown of kings - Sorcery 4).
Scrittore: Steve Jackson.
Genere: librogame, fantasy, avventura.
Editore: E.L.
Anno: 1985.
Voto: 8.
Dove lo trovi: nel mercato dell’usato.


Con La corona dei Re termino finalmente la serie Sortilegio, laddove il “finalmente” non assume connotazioni qualitative (“finalmente: non ne potevo più”), ma quantitative (“finalmente: sono passati tanti anni da quando lessi il primo Sortilegio da ragazzino e solo adesso mi sono letto tutta la serie di fila”).

L’avverbio è a maggior ragione caricato considerando che Sortilegio è stata una delle mie serie preferite di librogame, e forse la preferita in assoluto: si giocava il primato probabilmente con Alla corte di re Artù, mentre il libro La città dei misteri, il secondo della serie di Sortilegio, dal canto suo si giocava il primato di miglior librogame mai letto… primato che ora si gioca perlomeno insieme a La corona dei Re, che in passato forse ho intravisto e leggiucchiato, ma mai letto tutto.

Peraltro, ancora prima di leggerlo o di averlo, La corona dei Re era famoso per essere un “Volume triplo”: il più grosso tra tutti i librogame della E.L. Forse l’aggettivo “triplo” era esagerato, dal momento che era solamente “doppio” rispetto agli altri libri della collana… ma effettivamente era triplo o forse anche quadruplo rispetto ai librogame più sottili (Detective Club, Avventure stellari, Time machine, senza citare Compact).

Ma veniamo a La corona dei Re: dopo Le colline infernaliLa città dei misteri e I sette serpenti, che avevano fatto attraversare all’“uomo di Analand” (non una grande definizione, occorre dire) le Colline Shamutanti, la città di Kharé e le Baklands, ecco che si è in prossimità della città-fortezza di Mampang, dove risiede l’Arcimago, il ladro della "corona dei Re", l’artefatto che il nostro eroe ha giurato di recuperare e riportare ad Analand.
Giunti nella tana del leone, ancora più infida e pericolosa di Kharé, che già lo era parecchio di suo, la missione si presenta ancor più difficile se nel precedente volume non si sono eliminati tutti e sette i serpenti messaggeri dell’Arcimago, impresa piuttosto tosta.
Volume lungo, triplo o doppio che sia, e quindi tante insidie e tante prove, e nel dettaglio quattro porte da superare, le famose Porte di Throben, che ovviamente non si passano semplicemente girando la maniglia e spingendo avanti, ma necessitano mezzi particolari.

La corona dei Re è una sorta di esaltazione al quadrato (forse più al cubo, trattandosi di un volume triplo) delle avventure di Sortilegio: oggetti, incantesimi, personaggi, amici, nemici, coraggio, prudenza… tutto mischiato in salsa fantasy-avventurosa, corredata peraltro da tante illustrazioni in bianco e nero dallo stile molto particolare, le quali a mio avviso hanno contribuito molto a comporre lo stile e la fama di Sortilegio.

Come sempre, è questione di gusti nel gradire di più un’ambientazione o un’altra, ma certamente di Sortilegio si può dire che si tratta di volumi tutti ben congeniato, e che La corona dei Re è la degna conclusione della saga di librogame: solo quattro, peccato, a fronte di altre serie di librogame ben più lunghe, Lupo Solitario in testa, ma anche altre.
Peccato che Steve Jackson non si sia cimentato più a lungo con Sortilegio… ma in compenso chi vorrà troverò altri suoi librigame nella collana Dimensione avventura.

Fosco Del Nero



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Titolo: L’incantesimo dei druidi (Darkspell).
Scrittore: Katharine Kerr.
Genere: fantasy, esistenziale.
Editore: Tea.
Anno: 1987.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


Come ho scritto nella recensione de La lama dei druidi, il primo romanzo della Saga di Deverry di Katharine Kerr, mi stavo apprestando a terminare il tomo con una valutazione bassa e conseguentemente a mettere da parte il secondo romanzo, L’incantesimo dei druidi, che già avevo… 

… quando all’improvviso la mia valutazione sul testo è mutata, e nettamente, tanto che ora sono qui a recensire L’incantesimo dei druidi, secondo romanzo del ciclo in questione.

Come già aveva abituato il primo, anche il secondo libro effettua salti avanti e indietro nel tempo di Deverry, il quale sarebbe una sorta di mondo parallelo al nostro, con un passato in comune ma con un’evoluzione differente. In tale passato, ad esempio, si citano Greci e Romani, con tanto di nomi di alcuni autori, come Cicerone o Aristotele.
Il mondo in cui è ambientata la storia è però un mondo di stile celtico, e letteralmente fantasy, con tanto di magie, stregoni, incantesimi e altro ancora.

Quel che più interessa me, comunque, è la presenza di alcune tematiche esistenziali come la reincarnazione, il destino, il percorso evolutivo, nonché riti magici (di cui la Kerr dà notizia discretamente precisa, riti di magia nera compresi).

Anche stavolta abbiamo un protagonista principale, il mago Nevyn (che nel linguaggio della storia significa “Nessuno”… e anche questo da solo è un concetto esistenzial-evolutivo), circondato dalle nuove incarnazioni dei suoi amici: Jill e Rhodry, con la prima che è la sua antica innamorata Brangwen, la quale si reincarna di volta in volta in attesa di essere portata sulla "via del dweomer", ossia la via della maestria sulle energie… "wyrd" permettendo, ossia destino permettendo.

Stavolta la narrazione è meno cavalleresca, meno ambientata tra corti, cavalli e combattimenti, e più magica, giacché la battaglia tra il mago buono Nevyn e il mago oscuro Alastyr (e il suo apprendista Sarvyn) ha lo spazio principale sulla scena, e con essa folletti, incantesimi, visioni a distanza, e come detto riti di magia nera.

La scrittura è eccellente, i personaggi ben caratterizzati e la trama accattivante; la valutazione de L’incantesimo dei druidi è dunque tanto positiva quanto quella del suo predecessore, e stavolta senza il rischio di recensioni negative… tanto che mi sono procurato i due successivi e conclusivi romanzi della saga, Il destino di Deverry e Il drago di Deverry, che leggerò e recensirò in avvenire.

Per il momento, sistemo Katharine Kerr tra gli autori di narrativa fantastico-fantasy di ottimo spessore.

Fosco Del Nero


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Titolo: La lama dei druidi (Daggerspell).
Scrittore: Katharine Kerr.
Genere: fantasy, esistenziale.
Editore: Tea.
Anno: 1986.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


La recensione de La lama dei druidi di Katharine Kerr  non si prospettava affatto scontata: il romanzo, lungo circa 500 pagine, sulle prime non mi aveva catturato e neppure in corso d’opera, tanto che in diversi momenti ho pensato di interromperne la lettura, cosa che non ho fatto solo in virtù del mio voto di concludere i libri che inizio a leggere. 

Tuttavia, in dirittura d’arrivo, più o meno nelle ultime 150 pagine, il libro ha cominciato a interessarmi ed è terminato al culmine del mio interesse… tanto che sono passato rapidamente dall’idea di disfarmi tanto de La lama dei druidi quanto del suo seguito, L’incantesimo dei druidi, che già avevo, all’idea di leggermi non solo il secondo romanzo, ma di completare la tetralogia, composta anche da Il destino di Deverry e Il drago di Deverry.

In generale, il cambio di rotta mi ha fatto collocare Katharine Kerr tra i migliori autori fantasy che ho mai letto: personaggi molto ben caratterizzati, trama accattivante, scrittura elegante ed efficace, e in più il valore aggiunto dei contenuti esistenziali, inseriti nel testo in maniera discreta, e ininfluente per chi non fosse loro interessato, ma ben visibili per coloro che invece avessero tale interesse.

A dirla tutta, La lama dei druidi, e presumo in generale tutta la Saga di Deverry, tratta i seguenti temi: reincarnazione, energia, destino, aura, corpi astrali, spiriti elementari, percorso evolutivo... e anche anime gemelle e magia, chiara e scura. Un programma affatto trascurabile, per quanto non sbandierato ai quattro venti.

Un consiglio: quando nel testo leggete “wyrd”, traducete con “destino”, e quando leggete “dweomer” traducete con “energia”, “maestria sull’energia” o “potere”.

Ecco la trama sommaria de La lama dei druidi, storia che si svolge su diversi livelli temporali: partiamo dal 1050 circa con le vicende di Cullyn e Jill, padre e figlia, il primo guerriero mercenario e la seconda aspirante tale; poi andiamo indietro al 640, e seguiamo la vicenda che dà origine al tutto: il quadrilatero tra Galrion e Brangwen, innamorati e promessi sposi, Blaen, anch’egli interessato alla ragazza, e Gerraent, il di lei fratello.
Dopo di ciò, ci spostiamo al 700 circa, seguendo le medesime anime incarnate però in corpi e in vite differenti… ma preda di dinamiche simili, col quadrilatero che è diventato un triangolo, giacché uno dei protagonisti, Galrion, è nel mentre uscito dalla ruota delle reincarnazioni per dedicarsi, sotto il nuovo nome di Nevyn, alle energie e al percorso evolutivo, suo e dell’umanità in generale. Non a caso, il suo nuovo nome significa “Nessuno”: ossia, l'ego è stato sconfitto.
Spiegate tali dinamiche, si torna al 1060 per il gran finale, comprendendo ora meglio il rapporto “storico” tra i vari protagonisti.

La lama dei druidi non è un libro per tutti, e per poco non venivo incluso io stesso nella non-lista, forse per averlo sottovalutato all’inizio o per avergli dedicato una lettura distratta nel suo abbrivio.
Sta di fatto che, pur non disdegnando l’azione, il testo propone soprattutto relazioni tra i personaggi e questioni emotivo-interiori, e in tal senso si vede che è stato scritto da una donna.

Una donna assai brava a scrivere e interessata ad argomenti esistenziali, il che rende La lama dei druidi un romanzo non solo bello, ma anche utile e ispirante.
Peccato che non sia più in stampa da anni, tanto che tutta la Saga di Deverry si trova solo sul mercato dell’usato. È un peccato perché i classici, i libri di valore, dovrebbero essere sempre in circolazione, magari al posto di qualche libro contemporaneo di scarso livello. Ma, per l'appunto, è tutta una questione di livelli, di coscienza e di periodo storico.

Fosco Del Nero


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Titolo: Il giro del mondo in ottanta giorni  (Le tour du monde en quatre-vingts jors).
Scrittore: Jules Verne.
Genere: avventura.
Editore: RBA.
Anno: 1873.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


Ogni tanto mi rileggo qualche classico del passato, e questa volta è toccato a Il giro del mondo in ottanta giorni, il long seller di Jules Verne, romanzo entrato di diritto nella letteratura educativa per l’infanzia/gioventù nonché oggetto di diverse conversioni cinematografiche.

Peraltro, a essere onesto non son del tutto sicuro di averlo letto quando ero bambino, per cui questa potrebbe essere in verità la prima lettura… anche se la storia de Il giro del mondo in ottanta giorni è talmente famosa che gli eventi grossomodo son conosciuti.

Ecco la trama assai sintetica de Il giro del mondo in ottanta giorni: un bel giorno il ricco e abitudinario Phileas Fogg fa una scommessa con i suoi colleghi soci del Reform Club, un club di Londra per persone benestanti. La scommessa verte sul riuscire a fare il giro del mondo in ottanta giorni precisi, usufruendo ovviamente della migliore tecnologia dell’epoca, ossia del 1982. 
In ciò coinvolgerà il suo domestico francese Passepartout… che è appena entrato al suo servizio proprio per la fama di abitudinario del signore inglese.
Sta di fatto che il viaggio prende il via, che il giovane francese accompagnerà il suo padrone, che i due vedranno tanti posti e usanze particolari e che durante il viaggio conosceranno diverse persone, tra cui la giovane donna indiana Auda e l’ispettore britannico Fix.

Va da sé che la tematica del viaggio compiuto in ottanta giorni è divenuta obsoleta, dal momento che tale viaggio oggi si compie, volendo, in poche ore. Non è tuttavia divenuto obsoleto, in quanto sempiterno, il valore di questo libro, ch’è un valore sia letterario sia educativo.
Dal primo punto di vista, abbiamo avventura e cultura, e scritte bene; dal secondo punto di vista abbiamo coerenza e onore, valori che nel corso dei decenni son gradualmente scemati… e difatti è in buona parte venuto meno anche il ruolo didattico, oltre che di intrattenimento, dei classici per l’infanzia, i quali peraltro son buoni anche per gli adulti. In realtà, qualunque libro che va bene per un bambino deve andar bene anche per un adulto, altrimenti non è un buon libro.
Penso ad esempio a Il mago di Oz, Alice nel paese delle meraviglie, I viaggi di Gulliver, L’isola del tesoro e tanti altri ancora, che in effetti non sarebbe una brutta idea recuperare, sia come letture per i propri figli sia come letture per se stessi (e in versione integrale, elemento che sottolineo dal momento che spesso gli editori avevano/hanno il bruttissimo vizio di accorciare i romanzi destinati all’infanzia, ovviamente peggiorandoli e facendo loro perdere integrità).

Tornando a Il giro del mondo in ottanta giorni di Jules Verne, si tratta di un bel romanzo, con protagonisti che rimangono nell’immaginario, con avventure che hanno un piacevole sapore lette anche nel 2018 e con dei bei valori umani da trasmettere.

Una precisazione: io ho letto un’edizione di pregio, ben rifinita e con le illustrazioni originali, fatto che aumenta ulteriormente il fascino dell’opera (ho sempre pensato che in un romanzo dovrebbero esservi sempre delle illustrazioni, fossero anche solo in bianco e nero e d’aspetto semplice); la traduzione, invece, lascia un po’ a desiderare, con molti termini riportati in inglese per qualche misterioso motivo e parallelamente parecchi refusi.
Consiglio nel consiglio: cercate edizioni con illustrazioni.

Fosco Del Nero


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Titolo: Sfida di coppa - Compact 6 (Cup heroes - Compact 6).
Scrittore: Stephen Thraves.
Genere: librogame, sport.
Editore: E.L.
Anno: 1993.
Voto: 6.
Dove lo trovi:  nel mercato dell’usato.


Dopo Il mostro di Loch NessMissione in montagnaIl vulcano maledetto e Passi nella nebbia, sono infine giunto a recensire Sfida di coppa, laddove l’“infine” non è relativo al fatto che ho completato i librogame della serie Compact, giacché ne mancano ancora due (L’isola degli spiriti e Il treno dei fantasmi), ma che ho letto e recensito tutti quelli che avevo.

Finora, dei quattro letti, quelli che ho gradito di più sono stati Il vulcano maledetto e Passi nella nebbia; non tanto perché possedessero un impianto superiore agli altri due (è il medesimo in tutti i libri), quanto perché mi sono piaciute di più le atmosfere dei due libri: fantasy e avventurosa nel primo caso e investigativo-inglese nel secondo.

Quanto ad ambientazione, Sfida di coppa parla da sé, nel titolo e nella copertina, che propone dei giocatori di calcio impegnati in una partita.
La “coppa” in questione sarebbe la coppa nazionale inglese (o scozzese, a scelta, ma nel testo non cambia nulla), e la sfida sarebbe quella di una piccola squadra di dilettanti che si trova sotto le luci dei riflettori proprio per essere andata avanti in coppa…

… momento in cui la prendiamo in gestione noi, per così dire, in qualità di giocatore-allenatore della suddetta piccola squadra di provincia.
Piccola, ma con qualche freccia al suo arco, tanto che le sarà possibile vincere qualche partita, e finanche la coppa nazionale, impresa eroica.

Sfida di coppa, scritto come tutti gli altri Compact da Stephen Thraves, cambia un poco il sistema di lettura-gioco: non ci sono più i tre documenti da trovare (su un campo di calcio sarebbe stato ancora più strano, immagino) o sei obiettivi da conseguire-oggetti da trovare, sostituiti da sei partite da vincere.

La nostra gestione, per chiamarla così, consiste in qualche scelta tattica, in piccoli spostamenti di uomini in campo… e nella scelta di numeri e lettere che porteranno al gol o meno tanto la nostra squadra quant0 la squadra avversaria.

Il librogame, piccolo come tutti gli altri Compact, è caruccio e simpatico, però è essenzialmente completamente aleatorio: la scelta dell’avversario, gol-non gol, e persino le situazioni tattiche sovente lasciano il tempo che trovano, e anzi a volte si rivelano insensate, come quando, durante una partita sotto un acquazzone e col campo allagato, ci viene chiesto se vogliano giocare a passaggi a centrocampo o a lanci alti verso le punte: il gioco rasoterra nel campo allagato pieno di pozzanghere viene premiato, mentre le palle alte punite.

Comunque, il discorso dei Compact è il seguente: non sono libri gioco veri e propri, ma divertissement… e peraltro anche i librigame sono divertissement, per cui ci sta.
Da tutti i libri della suddetta collana, dunque, Sfida di coppa compreso, non aspettatevi grandi cose, ma solo qualcosa di simpatico e veloce.

Fosco Del  Nero


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Titolo: Il figlio dell’uomo (Son of man).
Scrittore: Robert Silverberg.
Genere: fantascienza, esistenziale.
Editore: Mondadori.
Anno: 1971.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


Il figlio dell’uomo è il sesto libro di Robert Silverberg che recensisco nel blog... e questo nonostante a dire il vero lo scrittore statunitense non mi abbia mai fatto impazzire.
Nel senso che lo trovo, generalmente parlando, un discreto scrittore di fantascienza, che però per quanto mi riguarda non ha mai fatto il salto verso produzioni significative e importanti, rimanendo soprattutto uno scrittore di intrattenimento.

Ad ogni modo, tra i suoi libri recensiti mi son piaciuti discretamente Pianeta senza scampo,  Shadrach nella fornace e L’uomo stocastico (probabilmente il suo romanzo più famoso); sufficienza stretta per Base Hawksbill; insufficienza per Gli anni alieni… e per il Il figlio dell’uomo.

Questo peraltro è lo scritto più sperimentale di Silverberg, tanto che si stenta a riconoscerlo: tecnicamente è fantascienza, e anche piuttosto estrema, ma in realtà il testo ha una natura più psicologica ed esistenziale, e non mancano in esso riferimenti a questioni spirituali.

In tal senso, non mi ha sorpreso, alla fine del testo, trovarvi una citazione di Gesù, e precisamente un passo del Vangelo di Marco in cui si invita alla veglia… citazione che è essa stessa un invito al percorso esistenziale.

Ecco la trama sommaria de Il figlio dell’uomo: Clay si sveglia in un futuro remoto a dir poco, portatovi dal “flusso del tempo”. In tale futuro, l’umanità si è evoluta in tante forme, tante e non tutte esclusivamente umane. Anche quelle umane o umanoidi, comunque, hanno caratteristiche talmente strane che l’uomo fa fatica a riconoscere la parentela con l’umanità da lui conosciuta: abbiamo così gli Sfioratori, i Mangiatori, gli Intercessori, ossia umanoidi capaci di mutare forma e sessualità a piacimento, esseri dalle forme di rettili, e poi ancora uomini-capri e tanto altro ancora, in una sorta di fiera della bizzarria.
E anche della paura e dell’orrore, per il protagonista, il quale tuttavia può dedicarsi anche a qualche piacere, come le numerose unioni sessuali con i vari esseri mutasesso, che lo prendono in simpatia.

Queste in effetti sono le tre anime de Il figlio dell’uomo: una è fantascientifica, una è erotica, l’altra è psicologico-esistenziale.

Il tutto però è mal amalgamato, non eccelle in niente e, anzi, personalmente ci ho messo davvero tanto a terminare quello che in realtà è un romanzo di dimensioni medio-piccole, segno che evidentemente non mi ha catturato.

In effetti, questo tra i romanzi di Robert Silverberg che ho letto è quello che mi è piaciuto di meno, nonostante come tematiche proposte è quello che avrebbe potuto interessarmi di più.
Ma è tutto davvero troppo fumoso e sconclusionato per risultare efficace.
Peccato. 

Fosco Del Nero


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Titolo: Il mago di sua maestà (Her majesty’s wizard).
Scrittore: Christopher Stasheff.
Genere: fantascienza, fantasy.
Editore: Editrice Nord.
Anno: 1986.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.


Da ragazzino lessi un romanzo fantasy intitolato Stregone suo malgrado e scritto da tale Christopher Stasheff, che mi piacque molto. Si trattava in realtà di un sottogenere del fantasy, a volte chiamato fantasy eroicomico, il che rende bene l’idea: l’ambientazione è fantasy (anche se per il libro di Stasheff non lo era del tutto, essendoci contaminazioni fantascientifiche) ma il tono è umoristico, binomio che al tempo gradii molto.

Quanto a Christopher Stasheff, è uno scrittore che ha scritto quasi cinquanta romanzi, di cui però solo due tradotti in italiano: l’altro è Il mago di sua maestà, il libro recensito quest’oggi.

Il genere, manco a dirlo, è lo stesso… almeno apparentemente, giacché alla componente fantasy (anche qua un po’ meticciata) e a quella umoristica se ne aggiunge un’altra, che non avrei mai detto: quella religioso-spirituale-esistenziale, con la storia che propone molto del cristianesimo, soprattutto nella sua versione meno popolare e più energetico-esoterica.
A quanto pare Stasheff tiene fede al suo nome personale (Christopher, per l’appunto).
Peraltro, ho appena scoperto online che l’autore è morto pochi mesi fa (giugno 2018).

Ma andiamo alla trama sintetica de Il mago di sua maestà: Matthew Mantrell (il nome di un evangelista e poi mantrell-mantra: già da qui si poteva intuire qualcosa) sta studiando un testo antico, quando in qualche modo viene indirizzato in un mondo sconosciuto: il livello tecnologico sa di Medio Evo, e così le credenze delle persone, tra cui magia e superstizione…
… se non fosse che in quel mondo non sono credenze, ma cose ben reali e tangibili, e che lui stesso è un mago! Quindi abbiamo un altro “stregone suo malgrado”, a conti fatti.
Il giovane conoscerà vari personaggi, malvagi come Astaulf e Malingo e buoni come la Principessa Alisandre e il cavaliere Guy… nonché vie di mezzo come Padre Brunel e la strega Sayeesa… nonché non uomini come il drago Stegoman e lo spirito Max. Questi sono solo alcuni dei protagonisti della storia, che coinvolge tanti personaggi secondari e tanti sottoplot oltre a quello principale: abbiamo così storie di eroismo, di redenzione, di crescita interiore, etc.

Il tutto, come detto, in un mix davvero curioso: la cultura contemporanea del protagonista, l’ambientazione medievale, il genere fantasy, magia, religione, e persino poesia, giusto per non farsi mancare niente.

In effetti è un po’ troppo, e amalgamato non perfettamente, tanto che, dopo un discreto abbrivio, ho messo il libro da parte e ho impiegato abbastanza tempo a terminarlo.
La conclusione peraltro è piuttosto prevedibile, e anzi proprio banale, per quanto non cancella l’originalità e la vivacità  proposte in precedenza, nonché i numerosi spunti “esistenziali”, che dal mio punto di vista impreziosiscono il testo e che mostrano un certo grado di conoscenza e comprensione di chi scrive, tra i quali accenni a preghiera, confessione, messa, esorcismo, principio del contrappasso, iniziazione cavalleresca, dualità yin-yang, illusione del mondo fenomenico, mantra indù, meditazione.

Vado a chiudere la recensione con alcune frasi estratti dal testo, riportate a futura memoria.

“Quando una persona è libera dal peccato, i seguaci del Male non hanno nessun potere su di lei.”

“Se fossi in te, trascorrerei molto tempo in preghiera.”

“L’Inferno è la totale assenza della Fonte.”

“L’Inferno è piuttosto spazioso, e ciascun peccatore è solo nel suo inferno personale… perché qui non esiste la compagnia. Non abbiamo problemi ad adattare l’Inferno al singolo peccatore perché ogni anima fornisce il suo: voi arrivate qui con l’Inferno che avete costruito durante tutta la vostra vita.”

“Questo è un materialista: crede che le uniche cose reali sono quelle che può vedere e percepire. 
Tutto ciò che vede è illusione. Se anche dovesse toccare il proprio corpo, non vi troverebbe alcuna sostanza.

“Ognuno si crea la propria dannazione. Ciascuno si condanna da solo.
Tutti sono qui perché lo hanno scelto e nessuno viene inviato quaggiù contro la sua volontà.”

“L’Inferno è l’ignoranza.”

“Come poteva un uomo dotato di ragione affrontare la consapevolezza che tutto era illusione… ed anche il corollario che la ragione gli poneva dinnanzi con la forza, e cioè che lui stesso non esisteva?”

“Il Cielo mantiene sempre l’equilibrio… sempre e comunque.”

“Il popolo fa tutto quello che vede fare al Re.”

“Un talento ha bisogno di essere educato.”

“Se piaceva a Dio mio Signore di espormi a tentazioni più grandi di quelle che avessi mai sperimentato, lui doveva averlo deciso per il mio perfezionamento.”

“Siamo uniti dalla terra, da cui traiamo il sostentamento e a cui i nostri corpi torneranno per nutrirla, quando la nostra vita sarà finita.
Tutti sanno ciò che uno sa.”

“L’uomo che governa la nazione è malvagio e corrotto, ed il popolo imita il suo Re.
Tutta la terra è contaminata dalla presenza di un falso sovrano sul trono.”

“Tenete sotto controllo la rabbia. Controllatela, altrimenti il Male acquisterà un certo potere su di voi e le vostre armi perderanno forza.”

“Essendoti svegliato da poco, le palpebre tenderanno ad appesantirsi. 
Impazienza, noia, timori nascosti… tutto questo ti assalirà, ma non lasciare che disturbi la tua veglia.”

“Non combattere mai fino a quando il tuo diritto non venga messo in discussione, ed anche allora aspetta a colpire. Non temere mai di aspirare ad una posizione più elevata, perché quando avrai raggiunto la posizione che ti spetta lo capirai. Non allontanarti mai dalle tue armi, perché in tutti gli uomini scorre il sangue di Caino. Non cercare mai un potere maggiore di quello che Dio ti concede, perché lui lo adeguerà ai compiti che ti spettano. Conosci te stesso e metti sempre in discussione il tipo di uomo che sei diventato.”

“Chi sta scrivendo il copione di questa storia? non trovate che sia una strana coincidenza esserci incontrati tutti qui, proprio nel momento giusto?”
“No, accade sempre così. Quando giunge l’ora in cui la situazione deve essere risolta senza ombra di dubbio, allora tutti coloro che devono combattere si riuniscono, anche se il loro luogo di provenienza si trova dall’altra parte della terra.”

Fosco Del Nero


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Titolo: Terzo dal Sole (Third from the sun).
Scrittore: Richard Matheson.
Genere: fantascienza, horror.
Editore: Mondadori.
Anno: 1987.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


Da acquisti di tempo fa mi era rimasto un paio di vecchi Urania da leggere, e la scelta è ricaduta su Terzo dal Sole, raccolta di racconti di Richard Matheson. Il quale non era del tutto sconosciuto in quanto ho letto un suo libro anni fa: l’horror La casa d’inferno… che in effetti mi ricordo effettivamente abbastanza orrorifico, per quanto ormai siano passati molti anni e non mi rammento niente se non una vaga sensazione.

Ma veniamo a Terzo dal Sole: il genere oscilla tra fantascienza (ed ecco perché è stampato su un Urania) e horror (la tendenza naturale di Matheson) e il volumetto si compone  di tredici racconti, non particolarmente lunghi contando che sommati fanno 150 pagine.

Alcuni tra i suddetti racconti tendono più alla fantascienza, altri più all’elemento psicologico, altri invece sono smaccatamente orrorifici, o perlomeno lo sono nell’atmosfera di fondo, al di là poi degli eventi raccontati: parliamo dunque di un orrore più interiore e percepito che non esteriore e visto.

Va da sé che su tredici racconti alcuni sono riusciti meglio di altri, o almeno son stati più graditi da me rispetto ad altri; personalmente, segnalo La piovra immonda, C…, Pezzo per pezzo e L’impossibile fuga.
Tra l’altro, nel mucchio c’è anche qualche idea assai simile a film realizzati in seguito, non so se per ispirazione dai racconti in questione o per mera casualità.

Di mio, sottolineo un paio di cose.
La prima è che leggevo libri horror da adolescente, ma poi ho smesso, evidentemente perché non ne sentivo più il bisogno (stessa cosa per i film horror).
La seconda è che, come ho scritto anche in passato, prediligo i testi lunghi rispetti ai racconti brevi: per questi ultimi è più difficile colpire e coinvolgere il lettore… ma se ci riescono allora è un peccato che non durino di più.

Pur tuttavia, nel complesso ho gradito discretamente Terzo dal Sole: Matheson evidentemente è uno che sa il fatto suo… bisogna solo vedere se il fatto suo vi interessa o meno. 
Personalmente, non tanto, e difficilmente leggerò qualcos’altro che porta la sua firma (beh, a meno di non trovarlo in casa sotto mano).

Fosco Del Nero


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Titolo: Passi nella nebbia - Compact 3 (Footsteps in the fog - Compact 2).
Scrittore: Stephen Thraves.
Genere: librogame, avventura.
Editore: E.L.
Anno: 1993.
Voto: 6.
Dove lo trovi: nel mercato dell’usato.


Dopo aver recensito Il mostro di Loch NessMissione in montagna e Il vulcano maledetto, ossia i primi tre libri della serie di librogame Compact, procedo a recensire Passi nella nebbia, che in realtà è il volume numero 5: il 4, L’isola degli spiriti, non lo ho, e quindi niente.

L’autore è sempre Stephen Thraves, e dunque lo schema di gioco-lettura è sempre il medesimo: niente schede dei personaggi, niente dadi, essenzialmente niente scelte nella trama, che è solo una, e pure breve, ma solamente sei cose da conquistare, tre oggetti da trovare, e alcune facilitazioni derivanti dai suddetti oggetti.

Se lo schema è il medesimo, dei tre libri di Thraves ho gradito di più Il vulcano maledetto, l’unico con un’ambientazione fantasy, per uno sforzo leggermente maggiore dell’autore nel dare originalità e vivacità al suo piccolo librogame, mentre i primi due rimanevano più naif… e in certe cose davvero naif.

Ho gradito un poco di più, fino diciamo alla sufficienza risicata, anche Passi nella nebbia, per due motivi: è un poco più credibile rispetto ai primi due libri e ha un’ambientazione più affascinante…

… ossia la Londra ottocentesca di Sherlock Holmes, che infatti è in qualche modo chiamato in causa nell’opera, pur non comparendo mai.
Passi nella nebbia è dunque un librogame investigativo, pur se assai più semplice rispetto a quelli ben più corposi della serie Sherlock Holmes… e pure rispetto a quelli più umoristici della serie Detectives Club.

Ad ogni modo, ecco la trama di Passi nella nebbia: c’è un omicida in giro, che assassina solamente ministri e uomini politici, e sempre il 27 di un mese.
Si dà il caso che il gioco inizi proprio un giorno 27, e che vi sia da seguire il suddetto potenziale assassino, stando ben attenti a non farsi uccidere a propria volta.

Come detto, Passi nella nebbia è carino, pur in tutti i limiti di spazio e di formato della serie Compact; son limiti importanti, è vero, ma perlomeno Stephen Thraves ci prova.
Recensito questo, mi rimane da recensire solo il famoso Sfida di coppa (L’isola degli spiriti e Il treno dei fantasmi, quarto e settimo libro della collana, non li possiedo e quindi saranno bellamente ignorati). 

Fosco Del Nero


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Titolo: Assassin’s creed - Undeerworld (Assassin’s creed - Undeerworld).
Scrittore: Oliver Bowen.
Genere: fantasy, avventura, azione.
Editore: Sperling & Kupfer.
Anno: 2015.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


Assassin’s creed - Underworld è l’ottavo libro della collana di romanzi di Assassin’s creed, sorta di “conversione” dal videogioco omonimo di grande successo, di cui ho giocato solo il primo episodio… trovandolo affascinante nelle atmosfere e interessantissimo nei contenuti, ma un po’ ripetitivo nel sistema di gioco.

Il che in parte è anche il difetto di fondo di Assassin’s creed - Underworld, scritto da Oliver Bowen, pseudonimo di un ricercatore storico non meglio precisato: il testo ha una bella caratterizzazione geografica e storica, e dunque un’ambientazione generale credibile e interessante, come interessante in generale è lo scontro tra Assassini e Templari
… peccato però che i suoi contenuti non siano sufficienti per motivare le 430 pagine del testo. Pagine con testo piuttosto largo nella prima edizione elegante con copertina rigida, ma pur sempre 430 pagine.

Ma andiamo alla trama sommaria di Assassin’s creed - Underworld, storia che abbraccia un periodo di tempo discretamente lungo e che coinvolge ben tre generazioni di Assassini: si parte da Ethan Frye e dal suo amico Arbaaz Mir, ad Amritsar, in India; si prosegue con Jayadeep Mir, allievo del primo e figlio del secondo, che parte dall’India e poi si reca nel Regno Unito, a Londra, sotto il falso nome di Bharat Singh, divenendo poi il “Fantasma” e dopo ancora Henry Green; si finisce infine con Evie e Jacob Frye, i gemelli figli di Ethan, tutti quanti valenti assassini.
Di contro, abbiamo svariati templari, e in mezzo svariati poliziotti che o non ci capiscono molto o si prendono molte botte dall’una o dall’altra fazione (ma più dai Templari, i cattivi della situazione).
Obiettivo di entrambi i gruppi: trovare antichi manufatti di una mitica Prima Civiltà, capaci di donare ai loro possessori poteri sovrumani.

Oltre all’atmosfera, a qualche personaggio ben caratterizzato e a un bel po’ d’azione violenta, in Assassin’s creed - Underworld non c’è altro; da ciò deriva la mia valutazione mediocre.
Il libro si fa leggere in modo scorrevole, occorre ammetterlo: è ben scritto nella forma e chi scrive sa scrivere, tuttavia gli manca parecchio, e anzi a dirla tutta dal mio punto di vista questo è uno di quei libri scritti per cavalcare l’onda di un determinato fenomeno, ma che non era proprio indispensabile che fossero scritti, per dirla così.
Non a caso, in rete ho letto di fedelissimi della saga che hanno acquistato questo ottavo volume soprattutto per motivi collezionistici, ma non per la qualità della saga stessa.

Non credo peraltro che leggersi direttamente questo ottavo episodio senza i precedenti sette sia un fattore scusante per la storia in questione, visto che ogni singolo capitolo della saga, dei videogiochi o dei libri, è sé stante da ogni punto di vista.

Per conto mio, ho ricevuto in regalo questo e questo mi sono letto... ma non mi leggerò gli altri, con tutta probabilità.

Fosco Del Nero


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Titolo: La fine di New York (New York verskinkt!).
Scrittore: Erik Jan Hanussen.
Genere: fantascienza.
Editore: Mediterranee.
Anno: 1931.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui


Mi ero procurato La fine di New York per via della fama di Erik Jan Hanussen, famoso veggente del ventesimo secolo, famoso tanto per i suoi poteri medianici quanto per essere stato stretto consigliere di Hitler… e successivamente ucciso dalle SS, forse proprio per la sua amicizia con Hitler, o forse perché sapeva troppo ed era un personaggio scomodo.

A parte le sue tristi vicende personali, l’aspetto interessante di questo suo libro è uno, anzi due: il primo è che è stato scritto interamente in trance, a memoria umana il primo del suo genere, registrato tramite fonografi e poi messo su carta; il secondo è che va a descrivere la distruzione di New York… e sarebbe peraltro nato proprio da una domanda rivolta ad Hanussen sulla New York del 2500, alla quale lui avrebbe prima risposto che in quell’epoca New York non sarebbe più esistita, e dopo registrato il testo in questione.

Testo che, New York a parte, pare essere anticipatorio di svariate cose, realizzatesi già totalmente o parzialmente. Ad esempio, l’apertura dell’atomo e la bomba atomica, l’uso dell’energia solare, gli Stati Uniti d’Europa (per i quali le élite nascoste stanno lavorando da molto tempo) e la presidenza a turno, il trapianto d’organi, robot e sensori di sicurezza, la diffusione della televisione… ma anche elementi meno tecnologici come l’inaridimento dei sentimenti a favore di una scienza più fredda, un’alimentazione più ragionata… e anche cose ancora di là da venire, ma successe in passato, come la costruzione di città sotterranee e la comunicazione con una civiltà esistente su Marte.

Al di fuori del suddetto libro, in altri contesti Hanussen (ch'era lo pseudonimo di Herschmann Chaim Steinschneider) predisse tanto altro: l’ascesa al potere di Hitler, la guerra mondiale, la sconfitta del nazismo e la rovina di buona parte del mondo, la riunificazione della Germania (persino prima che fosse divisa, cosa accaduta dopo la Seconda Guerra Mondiale), senza contare l’enorme mole di fatti più trascurabili e legati alle vite di singole o poche persone, cosa che gli aveva assicurato una fama enorme in tutto il mondo dell’epoca.
Pare che egli avesse previsto anche la sua morte, ma che ritenesse impossibile sfuggirle avendo ormai messo in moto certi meccanismi.

Ma veniamo ora a La fine di New York: il libro in sé non è che mi sia piaciuto molto.
Al di là dell’interesse legato all’aspetto previsionale-anticipatorio, il romanzo in sé è mediocre: ci sono 120 pagine circa riempite con personaggi bislacchi, situazioni abbastanza assurde (compreso un elisir per resuscitare i morti… in attesa che avvenga anche questo, di mio considero tale elemento narrativa fantastica) e dialoghi forzati. 
Insomma, come romanzo La fine di New York non vale granché.

Rimane la curiosità per gli argomenti anticipati, quando di poco e quando di molto, e forse ciò da solo può essere un motivo sufficiente per leggersi questo libro del 1931 di Erik Jan Hanussen.

Fosco Del Nero


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Titolo: Narciso e Boccadoro (Narziss und Goldmund).
Scrittore: Hermann Hesse.
Genere: avventura, esistenziale.
Editore: Mondadori.
Anno: 1930.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.


Dopo le recensioni de Il vagabondoPeter Camenzind e Siddharta, giunge quella del quarto libro di Hermann Hesse che mi son comprato: Narciso e Boccadoro, uno dei romanzi più famosi dello scrittore tedesco, probabilmente insieme allo stesso Siddharta, a Il lupo nella steppa e a Il giuoco delle perle di vetro (di questo ho ascoltato un lungo audiolibro, e prima o poi leggerò anche il libro).

Narciso e Boccadoro segue di otto anni Siddharta, e un lettore interessato agli argomenti esistenziali, come era lo stesso Hesse, si attenderebbe in un così lungo lasso di tempo un aumento di consapevolezza da parte di chi scrive… e invece non è stato così.
Anzi, in Narciso e Boccadoro i limiti di consapevolezza di Hesse si notano ancor più che in Siddharta, che forse è il libro meno hessiano tra i suoi (o almeno tra quelli che ho conosco io), e che anzi non pare nemmeno un romanzo quanto una composizione da tesi di laurea.

Viceversa, Narciso e Boccadoro è romanzo duro e puro, e narrativamente dà qualche lunghezza a Siddharta, che però, nel suo essere più lindo e sintetico, gli è avanti in quanto a messaggio… anche perché molto probabilmente per “comporlo” Hesse si è rifatto alla tradizione spirituale indiana, senza metterci troppo del suo.

Ma veniamo alla trama di Narciso e Boccadoro, ambientato in un Medioevo non meglio precisato temporalmente e geograficamente, ma molto ben precisato culturalmente: i due protagonisti si conoscono in un monastero cattolico e fanno presto amicizia, riconoscendo l’uno la grandezza dell’altro. Quella di Narciso, intellettuale ed erudito per vocazione, è un po’ più avanti essendo egli più anziano, mentre quella di Boccadoro, viaggiatore ed epicureo, è un po’ più indietro essendo egli più giovane.
Due qualità molto diverse, dunque, accomunate dal fatto di essere ognuna un’eccellenza nel suo campo, cosa di cui si avvede presto il savio Narciso, il quale è presente nella narrazione all’inizio e alla fine, mentre nel centro c’è il solo Boccadoro con le sue esperienza di vita… vivaci, variegate e dedicate al viaggio, alla sopravvivenza, alla carnalità e ai sentimenti.

Era da molto che un libro non mi teneva incollato alle sue pagine, anche in ore notturne, mentre Narciso e Boccadoro lo ha fatto: ciò, da solo, è un punto d’onore a suo vantaggio… ma che Hesse fosse un ottimo autore non era oggetto di discussione.
Non vi ho trovato la profondità che, otto anni dopo Siddharta, auspicavo che vi fosse, ma pazienza; il romanzo rimane comunque un grande romanzo, ed ha una dote non comune: quella di suggerire al lettore la sua natura, e quindi anche il suo destino inteso come percorso esistenziale preferibile, in base al fatto che egli si “sintonizzi” maggiormente con lo studioso Narciso o con l’artista Boccadoro.
Peccato che nessuno dei due personaggi arrivi al punto massimo di quella strada, ma come detto pazienza.

Nel cammino c’è comunque spazio per insegnamenti e riflessioni: sulla propria natura di fondo, come detto, ma anche sull’impermanenza delle cose materiali e sulla ricerca interiore.
Non tanto da farne un testo “esistenzial-spirituale”, ma abbastanza affiancato a un romanzo di gran qualità.

Fosco Del Nero


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