Titolo: Il ritorno di Ayesha (The return of Ayesha).
Scrittore: Henry Rider Haggard.
Genere: fantasy, avventura, sentimentale.
Editore: Newton Compton.
Anno: 1905.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.
Il ritorno di Ayesha è il seguito di Lei, altrimenti intitolato La donna eterna: quest’ultimo era stato scritto nel 1887, mentre il suo seguito è datato 1905: ben diciotto anni di distanza, dunque.
Il ciclo si completa infine con altri due romanzi, che però non sono mai stati tradotti in italiano.
Henry Rider Haggard è stato uno scrittore molto prolifico e al tempo molto famoso, soprattutto per il lungo Ciclo di Allan Quatermain (tra cui spicca il noto Le miniere di Re Salomone), così come per il Ciclo di Olaf Spadarossa.
Di mio, Ayesha è il suo quinto libro che recensisco, dopo La donna eterna, La collana del vagabondo, Bisanzio e La valle dei re; le valutazioni hanno oscillato tra il 6.5 e l’8, segno che Haggard mi è sempre piaciuto… soprattutto per la sua verve avventurosa, ma anche per un certo sottofondo psicologico.
Ma torniamo a Il ritorno di Ayesha: Orazio e Leo, invecchiati di circa vent’anni, stanno ancora viaggiando per il mondo alla ricerca di Ayesha, il cui precedente corpo hanno visto morire davanti ai loro occhi ma che danno per scontato sia ancora viva da qualche parte, data la sua natura immortale. Finiscono così in Asia, tra monasteri e antiche popolazioni.
In un luogo, in particolare, si parla di una Montagna Fiammeggiante abitata da un’invincibile Regina… e i due torneranno a rivisitare l’antica storia di Callicrate, di Amenartas, della sacerdotessa di Iside e del saggio consigliere.
In effetti, Il ritorno di Ayesha sa molto di già visto: in parte è un seguito e in parte è una riproposizione del romanzo che ebbe tanto successo in precedenza, pur con la modifica di nomi e situazioni.
Il testo è anche nettamente più lungo e, data la scrittura piuttosto verbosa di Haggard (ma più che sua era una tendenza di quel periodo), rischia di annoiare in certi frangenti, pur mantenendosi sempre sufficientemente interessante.
Nel passaggio tra l’avventura africana e quella asiatica si perde parecchia della forza del romanzo originale, anche se non mancano alcune scene di alto impatto, nonché alcune riflessioni valide sull’animo umano o su mitologie, culti e spiritualità.
Credo che, finora, avessi letto Il ritorno di Ayesha solo una volta, da adolescente, tanto che non ne ricordavo i contenuti, mentre La donna eterna l’avrò letto quattro o cinque volte, il che da solo dà un’idea del rispettivo valore dei due romanzi.
Fosco Del Nero
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