Il cammino del mago

Titolo: Viaggio al centro della Terra (Voyage au centre de la Terre).
Scrittore: Jules Verne.
Genere: avventura, fantastico.
Editore: RBA.
Anno: 1864.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui


Mi sono procurato alcuni libri di Jules Verne, editi in una particolare edizione di pregio, e ogni tanto me ne leggo uno: dopo il classico Il giro del mondo in ottanta giorni, arriva oggi l’altro classico Viaggio al centro della Terra, un classico in generale, un classico per l’infanzia (magari in edizioni ristrette e prive delle lunghe elucubrazioni scientifiche dei protagonisti), nonché oggetto di diverse trasposizioni cinematografiche, attratte dalla forte spettacolarità e vivacità del narrato.

Per quelli che non sapessero di cosa si sta parlando, ecco la trama sommaria di Viaggio al centro della Terra, romanzo scritto da Jules Verne nel 1864: nel maggio del 1863 il Professor Lidenbrock, abitante ad Amburgo, programma un clamoroso viaggio diretto verso il centro della Terra, sulle orme del mitico esploratore Arne Saknussem, che affermava di essere riuscito a compierlo.
Così, insieme a suo nipote Axel, la voce narrante della storia, si reca in Islanda, dove ingaggia l’abile e taciturna guida Hans, e lì, in un vulcano inattivo, inizia la sua discesa verso il centro della Terra.
Le difficoltà saranno ovviamente molte, ma un po’ per le conoscenze scientifiche dei due scienziati, zio e nipote, un po’ per la perizia di Hans, i tre procedono e vedono cose inimmaginabili: un vero e proprio mondo sotterraneo, con tanto di specie vegetali e animali di altri tempi.

Il filone di Viaggio al centro della Terra  è quello dei mondi perduti, o ancor più precisamente dei mondi sotterranei, filone che attraversa trasversalmente la storia della letteratura: dai miti greci e nordici fino ai tempi più recenti, anche se è soprattutto l’Ottocento, non a caso epoca di esplorazione scientista, ad aver visto i maggiori esponenti: Jules Verne, Henry Rider Haggard, Arthur, Conan Doyle. Anche Edgar Allan Poe si era cimentato in qualcosa del genere, per quanto solo accennato, con Le avventure di Gordon Pym… di cui non a caso lo stesso Verne, a riprova della vicinanza di genere, immagina una sorta di continuazione ne La sfinge dei ghiacci.

Poco prima, a fine Settecento, c’era stato forse il più colossale esempio del filone “mondi perduti”, ossia l’Icosameron di Giacomo Casanova, libretto di appena 1800 pagine… che curiosamente non ebbe un grande successo.

Ma la storia più famosa di qualcuno che scende nelle viscere della Terra e poi torna a parlarne è ovviamente la Divina Commedia di Dante Alighieri… per quanto il genere non sia propriamente quello dell’esplorazione avventurosa ma abbia contorni più filosofico-esistenziali.

Il romanzo di Verne si inserisce nella disputa scientifica sulla natura della Terra e su ciò che sta al suo interno, ciò che in realtà è ancora oggetto di disputa: a scuola insegnano il modello della Terra piena di magma incandescente, ma vi sono sempre stati, e vi sono tuttora, sostenitori del modello della Terra cava, ciò che probabilmente ha dato spunto a storie quali quella di Jules Verne.

Torniamo per l’appunto al romanzo, che è ciò che ci interessa qui: Verne sapeva scrivere bene, non c’è dubbio: l’eloquio è preciso e misurato, e l’incedere avventuroso. Forse il tutto è un po’ troppo ricco di lessico tecnico-scientifico, ma d’altronde ciò era abitudine dell’epoca, forse per far guadagnare autorevolezza a scritto e scrittore, forse per impressionare il lettore, o forse per rendere la storia il più possibile credibile… pur all’interno di un narrato così improbabile come quello di Viaggio al centro della Terra.

Devo però dire la verità: pur avendo gradito Viaggio al centro della Terra, gli ho preferito Il giro del mondo in ottanta giorni. Di entrambi, invece, ho molto apprezzato le illustrazioni originali, incluse nell’edizione in  mio possesso. In verità, gli editori dovrebbero sforzarsi di includere sempre delle illustrazioni nei loro romanzi, fossero anche solo illustrazioni in bianco e nero: ne guadagna grandemente la bellezza dell’opera e la sua potenza evocativa.

Fosco Del Nero


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