Il cammino del mago

dic19

Titolo: La pedina del fato (Pawn of prophecy).
Scrittore: David Eddings.
Genere: fantasy.
Editore: Mondadori.
Anno: 1982.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui


La pedina del fato è il primo romanzo della Saga di Belgariad, che, fidandomi della fama largamente positiva dell’opera presso gli appassionati lettori fantasy, ho acquistato in blocco nel volume Mondadori il quale comprende tutti e cinque i romanzi che la compongono.

Parliamo di uno di quei tomi mastodontici, che spaventano sia chi non vuole maneggiare testi molto grandi e pesanti, sia chi vuole leggere su pagine molto comode visivamente… per un totale di circa 1300, con al suo interno mappe e illustrazioni (che forse a suo tempo erano notevoli ma che oggi, con la produzione della AI, risultano vecchio stile e sottodimensionate).

Il primo libro della saga, La pedina del fato per l’appunto, è lungo circa 220 pagine di tale formato ampio. Prima nota: tutti i titoli della saga si riferiscono al gioco degli scacchi: La pedina del fato (in italiano tradotto anche come Il segno della profezia… titolo però non fedele all’originale e che fa perdere il riferimento complessivo), La regina della magia, Il gambetto del mago, La torre incantata, La fine del gioco. Non credo tuttavia che gli scacchi siano citati nell’opera e suppongo si tratti più di un vezzo dell’autore, magari appassionato del suddetto gioco.

Detto questo, passiamo alla trama de La pedina del fato: il prologo del libro ci parla di tempi antichi, quando sette divinità vivevano sulle terre che poi sarebbero diventate umane, salvo poi andarsene per vari motivi, tra cui la creazione del potentissimo “globo di di Aldur”, creato da uno di tali sette dei e rubato da uno degli altri. Tali fatti hanno dato vita a una sorta di scissione dei popoli eredi di tali divinità, dislocati in varie zone di Belgariad.

Dopo tale prologo, ci si sposta nel tempo della narrazione, che riprende il giovane Garion, un adolescente che vive nella fattoria di Faldor insieme a vari personaggi, tra cui sua zia Pol e Durnik il fabbro. Le cose si movimentano quando, dopo un lungo peregrinare, ritorna alla fattoria il sapiente e misterioso Belgarath (che il ragazzo però chiamava Wolf, soprannome da lui stesso postogli), insieme ad altre due figure: il gigante guerriero Barak e l’astuto ladro Silk.

Tutti quanti si metteranno in marcia per una missione di cui Garion ignora l’essenza… come ignora praticamente tutto, compresa la vera identità di sua zia e di Wolf. 

Pure lo spettatore in teoria ignorerebbe tutto quanto, ma molte cose sono evidenti sin dall’avvio e, in effetti, La pedina del fato non brilla di grande originalità né di grande imprevedibilità… il che non è il massimo per un romanzo fantasy, visto che nel settore si è ormai scritto e letto di tutto.

Peraltro, i tributi del libro sono piuttosto visibili: un po’ dalla Bibbia, un po’ dalla mitologia europea, un po’ da Il Signore degli anelli.

Come dico sempre, se un testo non si distingue per originalità (ma il concetto vale anche per i film e per qualunque opera d’intrattenimento) e vuole evitare l’anonimato, o peggio ancora la scarsità totale, deve per forza distinguersi per un’ottima esecuzione del lavoro…

… ed è esattamente quello che fa La pedina del fato, e sospetto anche che il discorso valga in generale per Saga di Belgariad e per David Eddings.

Il testo è scritto bene, semplice ma efficace.
I personaggi sono caratterizzati a sufficienza, anche se non ce n’è nessuno memorabile.
Gli eventi si fanno seguire, pur se non sono trascinanti.

Insomma, è stato fatto un buon compito, probabilmente dopo una lunga ricerca, e La pedina del fato ha un valore discreto-buono.
Confesso che, data la fama della saga, speravo in qualcosa di più, ma è abbastanza per continuare con la lettura del Ciclo di Belgariad… sperando che i testi successivi siano di valore maggiore.

Fosco Del Nero


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dic5

Titolo: I guardiani del crepuscolo (Sumere nij dozor).
Scrittore: Sergej Lukjanenko.
Genere: fantastico.
Editore: Mondadori.
Anno: 2006.
Voto: 7.5
Dove lo trovi: qui.


I guardiani del crepuscolo, terzo libro del Ciclo dei Guardiani, porta avanti il medesimo schema dei due precedenti libri, I guardiani della notte e I guardiani del giorno: da un lato il testo è diviso in diversi episodi-racconti (più racconti a sé stanti che capitoli di un unico romanzo, pur se con punti in comune e un filo logico generale), dall’altro lato propone diversi personaggi, pur se i protagonisti principali sono sempre Anton e Svetlana, ora padre e madre.

Anzi, a essere precisi, I guardiani del crepuscolo ricalca maggiormente il primo libro, dal momento che propone un unico punto di vista e tendenzialmente il medesimo protagonista, mentre il secondo romanzo alternava tra i Guardiani della Notte e i Guardiani del giorno (pur essendo la narrazione teoricamente bipartita, di fatto non lo è, dal momento che pende decisamente dal lato delle Forze della Luce, come peraltro è giusto che sia).

Come nei precedenti libri, anche in questo terzo gli Altri di Mosca, e soprattutto gli Altri della Luce, sono alle prese con diversi casi: esseri umani che diventano “altri”, lontani parenti, streghe e lupi mannari.

Ce n’è abbastanza per non annoiarsi e per proseguire rapidamente nella lettura: oramai, giunti al terzo libro, i personaggi principali si conoscono bene e, se pure qualcuno ha lasciato, qualcun altro è arrivato, mentre qualcun altro è cambiato (Svetlana per esempio è uscita dai Guardiani della Notte tra il secondo e il terzo libro, e vorrebbe che pure Anton facesse lo stesso per dedicarsi alla famiglia).

L’ho già evidenziato nelle precedenti recensioni: a me Sergej Lukjanenko e il suo ciclo sono piaciuti decisamente. Peccato che non siano stati inseriti degli elementi esistenziali, che ci sarebbero stati assai bene, date le tematiche, e avrebbero reso il corpus narrativo più profondo e importante… così com’è, si tratta solamente“ di un bel ciclo, passato da romanzo a dittico, poi a trittico e infine a esalogia per via del suo grandissimo successo in Russia, ma anche, in maniera più discreta, nel resto del mondo.

Fosco Del Nero


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nov14

Titolo: I guardiani del giorno (Dnevnoj dozor).
Scrittore: Sergej Lukjanenko.
Genere: fantastico.
Editore: Mondadori.
Anno: 1998.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.


Dopo aver letto, e gradito molto, I guardiani della notte, il primo romanzo e grande successo letterario di Sergej Lukjanenko, mi sono letto anche I guardiani del giorno… ed era più o meno scontato, sia per aver apprezzato il primo libro, sia per aver già comprato, sulla fiducia, tanto il secondo quanto il terzo, ossia I guardiani del crepuscolo, che infatti sarà quello che leggerò di seguito.

Passiamo alla recensione de I guardiani del giorno: essendo I guardiani della notte dedicato totalmente al punto di vista delle Forze della Luce, ossia maghi bianchi e dintorni, mi sarei aspettato che il secondo romanzo fosse dedicato del tutto al punto di vista delle Forze delle Tenebre, ossia maghi oscuri, vampiri e dintorni.
Invece, i punti di vista sono alternati, probabilmente perché l’autore non se l’è sentita di abbandonare del tutto i suoi precedenti e fortunati protagonisti, a cominciare da Anton e Svetlana, innamorati decisamente anomali.

In verità, anche il secondo volume si focalizza molto su un innamoramento, ma trasversale: quello tra il mago bianco Igor e la strega oscura Alisa, pur senza far diventare i suddetti personaggi i protagonisti della storia.

Che in verità sono tre storie: come nel caso del primo libro, anche il secondo non è un romanzo unitario, bensì una raccolta di tre racconti consequenziali… o, se vogliamo dire altrimenti, un romanzo composto da tre parti ben distinte tra di loro, che infatti nell’indice vengono chiamate “Prima storia”, “Seconda storia” e “Terza storia”.

Se la bilancia non si sposta del tutto sul lato delle Tenebre, ne I guardiani del giorno (i guardiani del giorno sono per l’appunto i maghi neri, mentre i guardiani della notte sono i maghi bianchi) il tutto è ben equilibrato, sia come spazio dedicato ai rispettivi antagonisti, sia come motivazioni e argomentazioni… nonostante il lato della luce conservi un certo vantaggio, per dirla in questo modo.

Il livello qualitativo rimane buono: le storie sono interessanti, i personaggi sono ben disegnati, i dialoghi funzionano e l’atmosfera generale, ciò che forse è la cosa più importante nell’architettura di un romanzo, appare solida e convincente.

Rimane il neo dell’invenzione molto fantasy per cui le due parti si equivarrebbero come forza e come motivazioni, dal momento che le cose non stanno in questi termini, ma non fa niente: come romanziere Sergej Lukjanenko è davvero valido, e ci consegna una Russia (in verità, più un ex Unione Sovietica) affascinate, in cui si ha voglia di ritornare, tanto che il libro, pur lungo più di 400 pagine, si finisce rapidamente, com’era stato per il suo predecessore.

Appuntamento dunque con I guardiani del crepuscolo.

Fosco Del Nero


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ott24

Titolo: I guardiani della notte (Noanoj dozor).
Scrittore: Sergej Lukjanenko.
Genere: fantastico.
Editore: Mondadori.
Anno: 1998.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui


Sinora avevo visto i due film tratti dalla saga letteraria di Sergej Lukjanenko, ossia I guardiani della notte e I guardiani del giorno… ma non avevo ancora letto i romanzi in questione, che hanno dato vita a una saga più lunga: dapprima trilogia con I guardiani del crepuscolo, si è espansa ulteriormente con Gli ultimi guardiani, I nuovi guardiani e Il sesto guardiano.

Di mio, dopo aver letto numerosi commenti online, ho deciso di imbarcarmi nella prima trilogia, ritenuta la parte più significativa della saga, per poi demandare a un eventuale sede successiva il prosieguo. 
La recensione odierna è dedicata dunque al romanzo che ha iniziato il tutto: I guardiani della notte.

Il romanzo in questione, datato 1998, in Russia è divenuto un vero e proprio libro di culto, paragonabile per fama e successo alle saghe fantasy occidentali, tipo Il signore degli anelli o Harry Potter. Lukjanenko ha in verità venduto in tutto il mondo, ma non come nella madrepatria.

Genere del libro: siamo in pieno fantastico, visto che abbiamo a che fare con magie e creature come vampiri e altre ancora, ma non sfociamo nell’orrorifico.

Peraltro, tecnicamente I guardiani della notte non è un romanzo, per quanto viene presentato come tale, ma una raccolta di tre racconti lunghi: in media, siamo sulle 160 pagine per racconto, nel formato economico e quasi tascabile che ho acquistato io.

Ecco la storia/ambientazione de I guardiani della notte: mentre il popolo russo (e tutta l’umanità per esteso) vive la sua vita tranquilla, agiscono, non visti, le creature della Luce e le creature delle Tenebre, le quali in passato si sono scontrate in battaglie sanguinose, dopo cui si è addivenuti al cosiddetto Patto, basato su regole e comportamenti codificati, con tanto di eventuali giudizi in un Tribunale super partes. 

Abbiamo così i Guardiani della Notte, composti dalle forze della Luce, che vigilano che di notte i presunti malvagi non compiano misfatti. E abbiamo i Guardiani del Giorno, composti dalle forze delle Tenebre, che vigilano di giorno affinché i presunti buoni non abusino dei loro poteri per spingere indebitamente l’umanità verso il bene e verso il risveglio spirituale.

Stiamo parlando quindi di una sorta di scontro tra angeli e demoni, seppur la divisione non è così chiara, come rende evidente il protagonista della storia, Anton, arruolatosi nelle forze della Luce ma dubbioso su più versanti… a maggior ragione quando i piani della Luce coinvolgono la sua amata Svetlana, che conosce nel primo racconto.

Tra gli altri personaggi, rimangono impressi i due boss Geser Zavulon (Luce e Tenebre rispettivamente), nonché Olga… pur in un platea discretamente vasta, su ambo i fronti.

Inquadrata la questione, non sorprende il successo dell’opera: è scritta bene, è ambientata ugualmente bene, propone idee originali e soprattutto propone la tradizionale battaglia tra le forze della Luce e quelle dell’oscurità, battaglia in cui è impegnato anche il genere umano, pur senza saperlo.

Anche gli altri grandissimi successi letterari e cinematografici degli ultimi decenni hanno questo canovaccio di fondo: Star wars, Il signore degli anelli, Harry Potter stanno certamente in cima alla lista.

Letto velocemente, e piaciutomi, I guardiani della notte, mi leggerò volentieri anche I guardiani del giorno.

Fosco Del Nero


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ott10

Titolo: Invasione: atto finale - Ciclo dell'Invasione 4 (Worldwar: striking the balance).
Scrittore: Harry Turtledove.
Genere: fantascienza, ucronico.
Editore: Editrice Nord.
Anno: 1996.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.


Con Invasione: atto finale si conclude il Ciclo dell'Invasione, saga fantascientifica di grande successo di Harry Turtledove.

Come avevo evidenziato nelle precedenti recensioni, ero partito dal ciclo successivo a Invasione, ossia il Ciclo della Colonizzazione, cronologicamente seguente, per quanto leggibile anche in modo separato, per poi andare a recuperarmi la saga di partenza.

Devo essere sincero: tornando indietro, non lo farei. Non perché il Ciclo dell'Invasione sia un cattivo prodotto, tutt’altro, quanto perché, alla lunga, la struttura e lo stile narrativo di Harry Turtledove stanca: molti punti di vista, forse troppi, molte ripetizioni, tempi molto lunghi.

Il risultato dei due cicli sono otto libroni di 500-600 pagine, ciascuno molto simile agli altri, i quali, una volta che si è preso confidenza con l’autore, risultano prevedibili quanto a eventi e piuttosto ripetitivi.

Con ciò non intendo parlare male di Turtledove: è un autore che sa scrivere e sa scrivere bene. probabilmente, va preso a piccole dosi, ossia non un romanzo dopo l’altro, ma a distanza di tempo, e con una lettura di poche pagine al giorno…

… almeno, per quanto mi riguarda la situazione è stata questa, tanto che ho fatto fatica a completare la lettura degli ultimi libri del Ciclo dell'Invasione (anche il precedente Invasione: atto terzo, per esempio), che infatti è durata molte settimane, in luogo di pochi giorni come solitamente è per un libro che cattura e che fa bene il suo lavoro.

Ad ogni modo, non importa: in generale la storia alternativa (ucronia) di Colonizzazione e Invasione mi è piaciuta e, lunghezza e lentezza a parte, essa è ricca di spunti storici, culturali e politici, oltre che di personaggi ed eventi.

Fosco Del Nero


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set18

Titolo: Invasione: atto terzo - Ciclo dell’Invasione 3 (Worldwar: upsetting the balance).
Scrittore: Harry Turtledove.
Genere: fantascienza, ucronico.
Editore: Editrice Nord.
Anno: 1996.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui


Dopo Invasione anno zero e Invasione: fase seconda, ecco il terzo romanzo del Ciclo dell’Invasione di Harry Turtledove: Invasione: atto terzo.

La valutazione del libro è leggermente inferiore a quella dei suoi due predecessori non tanto perché il testo sia oggettivamente inferiore, quanto perché si nota una certa ripetitività di fondo. Il fatto che ogni romanzo sia un mattone di 500-600 pagine non aiuta certamente tale “fattore noia”.

Ecco la trama sommaria di Invasione: atto terzo: la Seconda Guerra Mondiale si è da tempo convertita in un diverso tipo di guerra mondiale, non più tra esseri umani (Asse contro Alleati) ma tra esseri umani e alieni (la Razza, la quale intende fare della Terra il suo quarto pianeta imperiale, dopo aver sottomesso e colonizzato le razze de Rabotevi e degli Hallessi).

Gli esseri umani, tuttavia, dopo un impatto devastante contro la superiore tecnologia dei Rettili, si sono rimessi in carreggiata, accelerando lo sviluppo militare e sviluppando persino la bomba atomica, che iniziano a far detonare in diversi luoghi del pianeta, seguiti dalle rappresaglie della Razza. 
In definitiva, la situazione va facendosi via via più devastante, in praticamente tutto il pianeta, pur secondo “stili” differenti: l’esercito americano, la diplomazia sovietica, la resistenza cinese, i nazisti (ovviamente i più cattivi e scorretti di tutti), etc.

Come per gli altri romanzi del ciclo, anche Invasione: atto terzo propone una notevole coralità di voci, punti di vista e personaggi… forse persino in modo eccessivo, dal momento che il tutto risulta molto spezzettato, pur se vario.

Se avevo già completato il Ciclo della Colonizzazione, ossia quello successivo al Ciclo dell’Invasione, sto terminando la prima saga più per dovere che per piacere: Harry Turtledove sa certamente scrivere bene, e i dialoghi sono ugualmente interessanti, ma tende a tirarla troppo per le lunghe, nonché a spezzettare eccessivamente la narrazione, almeno secondo i miei gusti.

Ad ogni modo, anche Invasione: atto terzo si conferma anch'esso essere un buon romanzo, impossibile tuttavia da leggere da solo, come anche gli altri della serie: è semplicemente un capitolo (molto lungo) di una storia (ancor) più grande.

Fosco Del Nero


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ago29

Titolo: Il destino dell’assassino - Trilogia dell’uomo ambrato 3 (Fool’s fate).
Scrittore: Robin Hobb.
Genere: fantasy, drammatico.
Editore: Fanucci.
Anno: 2004.
Voto: 8.5.
Dove lo trovi: https://amzn.to/3EwwtaJ 


Con Il destino dell’assassino, romanzo scritto da Robin Hobb nel 2004, termine la Trilogia dell’uomo ambrato, la quale era cominciata con Il risveglio dell’assassino e La furia dell’assassino, i primi due libri della suddetta trilogia…

… i quali a loro volta seguivano i tre romanzi della precedente Trilogia dei Lungavista. Così, Il destino dell’assassino è il terzo romanzo della seconda trilogia, ma il sesto in tutto dedicato alla figura di Fitz Chevalier Lungavista, figlio illegittimo dell’erede al trono dei Lungavista, il quale tuttavia dapprima aveva abdicato, poi si era ritirato a vita privata per poi morire per via di un incidente di caccia.

Fitz, figlio illegittimo concepito prima del matrimonio regale, è stato la causa della rinuncia al trono, passato poi al fratello minore Veritas e infine al terzo in linea di successione, Regal, acerrimo nemico di Fitz, poiché minaccia al trono… lui e la figlia (anch’essa illegittima) Urtica, crescita dalla madre Molly e dal padre adottivo di Fitz, Burrich, all’epoca stalliere a Castelcervo, la capitale del regno.

In questo sesto romanzo, Fitz, ora giovane uomo di circa trentacinque-trentasei anni, dapprima lavora a Castelcervo, in incognito, sotto le spoglie di Tom lo Striato, guardia della regina, in particolare curando l’Arte e la formazione di quei pochi ad averla (il suo mentore Umbra, il Principe Devoto, il servo Ciocco) e poi accompagna il Principe nella missione lanciatagli da Ellania, sua promessa sposa: nientemeno che portarle la testa di un drago sepolto sotto strati di ghiaccio nel lontano nord.

Il fatto, misterioso in quanto a moventi, genera due schieramenti. Da un lato coloro che vorrebbero preservare la vita del drago Ardighiaccio (ammesso che fosse ancora vivo): gli Spirituali, quasi tutti gli Isolani, la delegazione di Borgomago (che sostiene di servire un altro drago vivente, Tintaglia). Dall’altro lato coloro che intendono completare la missione: Umbra e la delegazione dei Sei Ducati (con fini di alleanza politica), una casata delle Isole (quella del Narvalo, che ha proposto la missione).

Fitz, e tutti i suoi amici, si troveranno infine davanti alla spiegazione di tutto quanto accaduto negli anni precedenti, compresa la forgiatura, gli intenti della Donna Pallida, la visione del Matto, i racconti sui draghi… nonché la ragione della strana richiesta di Ellania.

Da qualche parte ho letto che i romanzi di Robin Hobb causano dipendenza, come fossero una droga. È vero. Era da molto tempo che una lettura (sei letture, in questo caso!) non mi prendeva tanto, invogliandomi a proseguire di giorno, di notte, in qualunque momento.
Le qualità narrative della Hobb sono innegabili, come la capacità di tratteggiare i personaggi e di costruire degli arazzi sia credibili che interessanti.

Pecca un po’ nella sua tensione melodrammatica, a volte eccessiva, e nel continuo “senso di colpa” in cui vive il sio protagonista: un uomo dal raro senso del dovere, a cui si deve per metà il benessere del regno, che ha sacrificato molto  della sua vita… ma a cui tutti danno contro, compresi i suoi cari, come se non facesse altro che sbagliare. Se la prendono con lui persino quelli che lo avevano abbandonato e in qualche modo tradito: l’autrice gira sempre la frittata in modo che la colpa sia di Fitz e che sia lui a sentirsi in colpa e a chiedere perdono. Una cosa a lungo un po’ snervante.

Per il resto, Il destino dell’assassino è un ottimo romanzo e la Trilogia dell’uomo ambrato è un ottima trilogia.
Di seguito mi leggerò il primo romanzo della trilogia successiva, rispettivamente Il ritorno dell’assassino e la Trilogia di Fitz e il Matto.

Fosco Del Nero


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ago15

Titolo: La furia dell’assassino - Trilogia dell’uomo ambrato 2 (Fool’s gold).
Scrittore: Robin Hobb.
Genere: fantasy, drammatico.
Editore: Fanucci.
Anno: 2001.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui


Eccoci giunti al secondo romanzo della Trilogia dell’Uomo Ambrato, di Robin Hobb: La furia dell’assassino, che segue il precedente Il risveglio dell’assassino

… che a sua volta seguiva la Trilogia dei Lungavista, ossia L’apprendista assassinoL’assassino di corte e Il viaggio dell’assassino.

I luoghi e i personaggi delle due storie sono gli stessi, pur se a distanza di una quindicina d’anni, e nonostante in tale spazio temporale Robin Hobb ci abbia messo un’altra trilogia (leggibile a parte o insieme, secondo preferenze), ossia I mercanti di Borgomago.

Veniamo a noi e alla trama sintetica de La furia dell’assassino: Fitz Chevalier, oramai tramutatosi nel personaggio sotto copertura di Tom lo Striato, vive nuovamente a Castelcervo, dopo oramai molti anni, e collabora con Umbra negli affari del Regno. Sul trono siede Kettricken, vedova di Veritas, amato zio del ragazzo ora divenuto uomo, e dietro al trono sta Umbra, passato dal ruolo di assassino invisibile a quello di consigliere reale.

Salvato il giovane Devoto dal rapimento dei Pezzati, Fitz è comunque subissato di impegni e problemi: il ruolo fittizio di servitore di Messer Dorato (ossia il Matto), la collaborazione con l’ex mentore Umbra, le lezioni d’Arte prima a Devoto e poi a Ciocco, i contatti a distanza con la figlia di sangue Urtica, le intemperanze col figlio adottivo Ciocco, la relazione con Jinna, le minacce continue dei Pezzati, nonché risse da taverna, missioni diplomatiche e altro ancora (compresi antichi miti e rimembranze delle Navi Rosse).

In tutto ciò, non mancano gli screzi col Matto, con Umbra stesso, con Jinna e con Ciocco, per non parlare dei tentativi di assassinio.

Sarò sincero: dei cinque romanzi di Robin Hobb letti finora, questo è quello che mi ha coinvolto di meno, nel quale, anzi, ho visto in misura maggiore i difetti della scrittrice: una notevole lungaggine (anche se non succede niente, se ne vanno comunque centinaia di pagine), una certa predisposizione al melodramma (che differenza con gli scrittori fantasy maschi, sia nel bene che nel male), il medesimo schema di fondo (che ora è visibile e prevedibile, il che non aiuta la suspence).

Inoltre, ancor più che nei precedenti romanzi, l’autrice sembra si diverta a far capitare qualsiasi cosa spiacevole al suo protagonista: sembra quasi che abbia un conto in sospeso con lui (il quale, dal canto suo, mostra dei sensi di colpa per praticamente qualunque cosa, quasi tutti insensati). Peraltro, il protagonista stesso, quando potrebbe cavarsi d’impiccio semplicemente dicendo qualcosa (la verità, senza andare a cercare molto lontano), non lo fa, procurandosi problemi ancora maggiori (relazionali e non solo); la cosa è poco logica e anche leggermente snervante.
Va bene mettere fieno nella cascina dei problemi da affrontare, sia per la tensione scenica sia per macinare un certo numero di pagine, ma non bisogna abusare del meccanismo.

Per questi motivi, la valutazione de La furia dell’assassino è “solamente” discreta-buona e non ottima come nei quattro casi precedenti.

La Trilogia dell’Uomo Ambrato andrà a concludersi con Il destino dell’assassino.

Fosco Del Nero


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lug25

Titolo: L’assassino di corte - Trilogia dell’uomo ambrato 1 (Fool’s errand).
Scrittore: Robin Hobb.
Genere: fantasy, drammatico.
Editore: Fanucci.
Anno: 2001.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui


Letta la Trilogia dei Lungavista, composta da L’apprendista assassinoL’assassino di corte e Il viaggio dell’assassino, comincio ora la Trilogia dell’uomo ambrato, la quale segue a distanza temporale il trittico precedente (avendo di mezzo, cronologicamente parlando, la Trilogia di Borgomago, che però non ho e che magari leggerò in futuro).

L’essere passato alla trilogia successiva è di per sé una valutazione molto positiva sull’autrice in questione, Robin Hobb, la quale sa scrivere, e molto bene… nonostante una discreta tendenza alla lungaggine.

Veniamo a Il risveglio dell’assassino: Fitz Chevalier, ribattezzatosi Tom lo Striato, si è ritirato in una sorta di eremo volontario, di cui fa parte il suo lupo Occhi di Notte, nonché il giovane Ticcio, ragazzino “consegnatogli” da Stornella, la cantastorie con cui Fitz aveva condiviso l’avventura del terzo romanzo, quella alla ricerca di Re Veritas (insieme al Matto, alla Regina Kettricken e alla vecchia Ciottola).

Fitz/Tom è invecchiato, come è invecchiato anche il lupo, oramai vicino alla morte. Tuttavia, una nuova avventura si affaccia alla porta di casa sua: il suo vecchio mentore Umbra gli chiede prima di educare nell’Arte l’erede al trono Devoto (che sarebbe anche suo figlio, per quanto in modo particolare), proposta a cui Fitz dice di no, e poi gli domanda di trovare lo stesso Devoto, nel mentre sparito. Forse è stato rapito, probabilmente dagli Spiritualisti, dal momento che si ipotizza che il ragazzo possieda lo Spirito… proprio come Fitz.

Il risveglio dell’assassino è un altro volumone targato Robin Hobb: in circa 600 pagine non è che succeda moltissimo, a dire il vero, dal momento che una buona metà se ne va nella descrizione della vita quotidiana di Fitz, nel suo dialogo interno, in qualche visita occasione, nei ricordi che condivide con i suoi pochi amici.
La seconda metà, invece, riguarda l’avventura alla ricerca di Devoto, comprendente recite, diplomazia, inseguimenti, azione, combattimenti… oltre che il solito dialogo interno di Fitz/Tom, nonché i dialoghi mentali col suo vecchio lupo.

Una volta abituatisi ai “tempi lunghi” di Robin Hobb (o ritmi lenti, che dir si voglia), i suoi romanzi scorrono che è un piacere: Il risveglio dell’assassino non fa eccezione, ma sapevo già in anticipo che la Trilogia dell’uomo ambrato avrebbe tenuto onore alla precedente Trilogia dei Lungavista.

Curiosamente, di fantasy non c’è moltissimo: se dal romanzo in questione eliminassimo la questione dello Spirito, ossia della connessione tra un essere umano  un animale, non vi sarebbe praticamente nulla di fantastico (giusto una scena con strane creature, ma dura poco ed è inessenziale al resto del libro).

In effetti, Robin Hobb, più che magia o combattimenti, descrive il mondo interiore del protagonista, nonché gli intrighi in cui egli si trova immerso. In ciò, si nota la mano femminile: anche le relazioni sentimentali sono assai più emotive che fisico-sessuali… un ulteriore medaglia per l’autrice, capace di mantenere ben viva l’attenzione del lettore pur senza il facile ricorso all’adrenalina o all’eccitazione (che distanza col grosso dei film contemporanei, per esempio).

In negativo, si nota il tocco femminile in un certo eccesso di melodramma umorale: la sfortuna, la tristezza, i bei tempi andati, il dovere, il sacrificio, la rassegnazione, etc. Forse un quarto del libro se ne va in ricordi e rimembranze, solitarie o con vecchi amici.

Nota positiva: il Principe Devoto è spiritualmente connesso con un animale chiamato foscogatto: mezzo punto in più solo per questo (un po’ per il “gatto”, un po’ per “fosco”)!

Terminato con Il risveglio dell’assassino, appuntamento con La furia dell’assassino.

Fosco Del Nero


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lug11

Titolo: Il viaggio dell’assassino (Assassin’s quest).
Scrittore: Robin Hobb.
Genere: fantasy, drammatico.
Editore: Fanucci.
Anno: 1997.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui


Dopo L’apprendista assassino e L’assassino di corte, ecco il terzo e ultimo romanzo della Trilogia dei Lungavista scritta dall'ottima Robin Hobb: Il viaggio dell’assassino

Trilogia in senso stretto: più che di tre romanzi differenti, stiamo parlando di un’unica storia, suddivisa in tre volumi, tanto che i primi due libri si segnalavano, in negativo, per dei finali praticamente assenti.

Tuttavia, se la storia è unica, i romanzi sono piuttosto differenti tra di loro: L’apprendista assassino è un romanzo di formazione, che mostra il protagonista della saga, Fitz Chevalier, quando è bambino; L’assassino di corte mostra invece complotti, intrighi politici e obiettivi dei vari personaggi; Il viaggio dell’assassino, come suggerisce il titolo (in effetti i tre titoli sono molto “onesti”), descrive il viaggio di Fitz, e in ciò il romanzo è certamente il più fantasy e tradizionale dei tre, con le sue avventure, le sue difficoltà, la sua ricerca… nonché il finale, tanto imponente quanto rapido, che fa succedere nel giro di poche pagine più di quanto non era successo nelle precedenti 750.

Tanto è lungo, difatti, Il viaggio dell’assassino: molto lungo, molto descrittivo, a tratti ripetitivo, molto impattante… tanto che il personaggio di Fitz, ma anche coloro che gli girano intorno, rischiano seriamente di entrare dentro il lettore.

Ecco in breve la trama del libro: Fitz è scampato alla morte, grazie al suo senso dello Spirito, “resuscitato” da Burrich e Umbra, pur se la sua coscienza è ancora lontana e va “richiamata”, essendosi fusa per un certo lasso di tempo con quella del lupo Occhidinotte
Ripristinata la sua umanità, inizia per lui un nuovo percorso: ufficialmente morto, con Regal sul trono e la sua Molly sparita chissà dove, il suo nuovo obiettivo è quello di uccidere lo zio usurpatore, e parallelamente di ritrovare l’altro zio, Veritas, a cui di diritto spetterebbe il trono dei Sei Ducati.

I quali sono stati in buona parte abbandonati, da Regal, al loro destino contro i pirati delle Navi Rosse, le loro incursioni e la successiva forgiatura, che rende gli esseri umani gusci vuoti simili a zombi. 
La missione è doppiamente difficile: sul piano fisico, perché ora Regal ha a disposizione un intero esercito; sul piano invisibile, perché Regal comanda la confraternita creata da Galen e ora capeggiata da Fermo, assai più forte nell’Arte rispetto a Fitz.

Com’era stato per i suoi due predecessori, ho divorato anche Il viaggio dell’assassino, leggendolo d giorno e di notte… segno principale della bontà di un romanzo.

Non che il libro sia esente da qualche difetto: avrebbe potuto essere più snello, in taluni casi è ripetitivo, sia nelle considerazioni emotive del protagonista sia negli eventi esterni (compresi tanti salvataggi all’ultimo secondo), è molto arbitrario in alcuni punti (per esempio, il lupo ha una coscienza e una capacità di ragionamento e di linguaggio praticamente pari a quella umana, mentre tutti gli altri animali sono praticamente snobbati)… e certamente non risparmia al lettore alcuni colpi bassi.

Intendiamoci, se si sono lette le Cronache del ghiaccio e del fuoco si è abituati a ben peggio… anche se qui la sofferenza è più intima, mentre nel caso dei libri di George Martin lo sconvolgimento era più “esteriore”, legato a eventi e morti di taluni personaggi.

A proposito delle Cronache del ghiaccio e del fuoco, successive di alcuni anni: a quanto pare la Hobb aveva anticipato Martin sul tema della riconquista del potere cavalcando dei draghi al proprio servizio… anche se ne Il viaggio dell’assassino il discorso è assai più ampio.

Ad ogni modo, terminata la Trilogia dei Lungavista, inizierò subito con la Trilogia dell’Uomo Ambrato, una delle tre trilogie della Hobb aventi come protagonista Fitz Chevalier (quella seguente è la Trilogia di Fitz e del Matto).

Al di là delle preferenze individuali per determinate ambientazioni o narrazioni, c’è assolutamente da dire una cosa: Robin Hobb, come scrittrice, sa il fatto suo.

L’editore un po’ meno quando pubblica, a inizio libro, una mappa praticamente illeggibile: sgranata e “mangiata” nella parte centrale che unisce le due pagine di sinistra e di destra. Non hanno controllato prima di stampare?

Fosco Del Nero


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giu27

Titolo: L’assassino di corte - Trilogia dei Lungavista 2 (Royal assassin).
Scrittore: Robin Hobb.
Genere: fantasy, drammatico.
Editore: Fanucci.
Anno: 1996.
Voto: 8.5.
Dove lo trovi: qui


Dopo L’apprendista assassino, era scontato che passassi a L’assassino di corte, secondo romanzo della Trilogia dei Lungavista, a sua volta prima trilogia di altre due trilogie seguenti: la Trilogia dell’Uomo Ambrato e Trilogia di Fitz e del Matto.

Il passare dal primo al secondo romanzo è stato scontato sia perché avevo gradito molto il primo, sia perché avevo già il secondo, che a differenza del primo è assai più lungo: si è passati da 450 a 670 pagine del medesimo formato… e l’opera non ha minimamente risentito dell’aumento di volume, anzi, se possibile se ne è giovata.

Non c’è molto da dire, in verità: Robin Hobb sa scrivere maledettamente bene, sia nel senso della qualità narrativa, sia nel senso della sceneggiatura, diciamo così.

Ecco per l’appunto la trama sommaria de L’assassino di corte: Fitz, sopravvissuto al tentato assassinio da parte di Regal, torna a Castelcervo, pur se in ritardo rispetto al resto della spedizione salita nel Regno delle Montagne, e recupera le forze, riprendendo i suoi vari addestramenti: armi, piante, veleni, arte, etc.

Più degli addestramenti, tuttavia, lo tengono occupato i continui complotti dello zio, cui si aggiungono varie altre difficoltà: le varie spie sparse nel palazzo, gli adepti dell’arte fedeli al loro istruttore Galen, i problemi legati sia all’arte che allo “spirito”, ossia il legame con gli animali che il ragazzo ha e che è mal visto ovunque, la decisione di Veritas di intraprendere una missione alla ricerca degli Antichi, fatto che lascia Castelcervo inevitabilmente sguarnito… sia all’esterno, verso le Navi Rosse e le loro “forgiature”, sia all’interno, verso Regal e gli altri traditori.

Ormai ho letto moltissimi libri in vita mia; non so se per il numero, o per una soglia di qualità richiesta sempre più alta, sono pochi oramai quelli che mi “tengono incollato allo schermo”, e che magari mi fanno andare avanti a leggere sino alle due o alle tre di notte.
L’assassino di corte è stato uno di quei pochi, cosa che spiega la sua valutazione assai elogiativa.

Unico neo, com’era stato anche per il primo romanzo: il finale non è un finale quasi per niente, e anzi lascia praticamente tutto in sospeso. Personalmente, non amo molto questo tipo di “operazione psicologica”, ma tant’è.

Seguirà ora Il viaggio dell’assassino, un altro volumone enorme.

Fosco Del Nero


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giu13

Titolo: L’apprendista assassino (Assassin’s apprentice).
Scrittore: Robin Hobb.
Genere: fantasy, drammatico.
Editore: Fanucci.
Anno: 1995.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.


Oggi recensisco L’apprendista assassino,  romanzo di Robin Hobb… ma prima, è necessaria una premessa.

Tempo fa mi era stato regalato un romanzo fantasy: L’assassino - Il ritorno. Lo lessi nonostante fosse il settimo, in ordine di lettura, di una lunga saga, suddivisa  in tre trilogie: la prima è la Trilogia dei Lungavista, la seconda la Trilogia dell’Uomo Ambrato, la terza la Trilogia di Fitz e del Matto.

Lo lessi per la buona fama dell’autrice e mi piacque talmente tanto che decisi seduta stante di leggermi tutti i libri precedenti, che quindi mi procurai.
L’apprendista assassino è per l’appunto il primo romanzo della prima trilogia, la Trilogia dei Lungavista.

È un testo lungo circa 450 pagine, molto denso, con molti personaggi, molti eventi e molta “passione”.
In effetti, credo sia un libro difficile da ignorare, nel senso che per forza suscita qualcosa dentro in lettore, per un verso o per l’altro.

Eccone la trama sommaria: Chevalier è l’erede al trono, primo di tre fratelli (gli altri sono Veritas e Regal), del Regno dei Sei Ducati, ma un dì abdica e si ritira con la moglie, Dama Pazienza, nell’eremo di Giuncheto.
Subito dopo, un bambino viene condotto a Castelcervo, la capitale del regno, e presentato come figlio illegittimo di Chevalier; il bambino viene allevato dallo stalliere ed ex braccio destro dell’ex erede al trono, Burrich, ma da tutti viene considerato una sorta di vergogna pubblica, a causa della quale l’erede al trono, nonché il più portato per la reggenza, ha dovuto/voluto abdicare (per la vergogna? Per proteggere il bambino? Per qualche altro motivo?).

Il piccolo, più tardi chiamato Fitz (anche se i più continuano a chiamarlo “il bastardo”), viene addestrato alla cura degli animali, e poi anche all’uso delle armi, alla lettura e alla scrittura… e infine anche nella cosiddetta “arte”, una sorta di dono psichico che Fitz dimostra di avere (con il quale si può sia manipolare la volontà altrui, che connettersi con gli animali), ma che l’insegnante Galen, che lo ha in sommo odio, fa in modo che venga mal direzionato.

L’altro insegnante del ragazzo, Umbra, lo stima assai di più e lo educa, su volere del Re Sagace, al lavoro di spia-assassino-avvelenatore, il cui primo incarico si dimostrerà alquanto problematico, imbattendosi anche in un tentativo di tradimento.

Non c’è molto da dire: Robin Hobb scrive molto, molto bene, e il suo intreccio è appassionante e ben ragionato. Non stupisce che L’apprendista assassino abbia così ben indirizzato la Trilogia dei Lungavista e la successiva carriera della scrittrice statunitense.

Detto questo, appuntamento col secondo romanzo: L'assassino di corte.

Fosco Del Nero


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mag31

Titolo: I labirinti di Krarth - Blood sword 1 (The battlepits of Krarth).
Scrittore: Dave Morris, Oliver Johnson.
Genere: fantasy.
Editore: E.L.
Anno: 1987.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: nel mercato dell’usato.


Altra recensione di un librogame: oggi è la volta de I labirinti di Krarth, primo libro della serie Blood sword.

Blood sword è certamente una delle serie di librogame che ha segnato la storia del genere, sia per la qualità media molto elevata sia per la struttura del libro, assai originale.

Partiamo dagli autori del primo volume della serie, ossia Dave Morris e Oliver Johnson, e continuiamo con l’anno di scrittura, il 1987. Quando al genere, siamo in pieno fantasy, con qualche venatura horror, come peraltro andava di moda nel genere; indimenticabili a questo riguardo le copertine del 95% dei librogame, con mostri inenarrabili in bella vista... anche quando tali mostri nella storia non c’erano neppure di striscio!

Spendiamo due parole sulla struttura di I labirinti di Krarth, il quale, prima novità, si può giocare sia da soli che in gruppo, per un  massimo di quattro giocatori: ognuno si sceglierà un personaggio tra il guerriero, il ladro, il saggio e lo stregone, e leggerà i capitoli a lui dedicati, salvo poi procedere insieme e combattere insieme.
Il combattimento era l’altra grande novità di Blood sword: per ciascun combattimento è disegnata nel libro una piccola mappa con le posizioni dei giocatori, quelle dei nemici, e le varie possibilità di fuga, nonché eventuali ostacoli dell’ambiente; il tutto è ripreso dai giochi di ruolo, cui Blood sword evidentemente si ispira, tanto nelle meccaniche del regolamento quanto le genere fantasy avventuroso.

Veniamo alla trama sommaria de I labirinti di Krarth: noi siamo un eroe (o due, o tre o quattro) che si vuole avventurare all’interno del labirinto al di sotto di Kalugen, laddove i Maghi di Krarth ogni tredici mesi tengono una gara in cui degli avventurieri, ciascuno sponsorizzato da un padrino, hanno come obiettivo trovare l’Emblema della Vittoria e riportarlo in superficie.
La prima scelta è quella del padrino da rappresentare, la seconda riguarda il farsi accettare o meno da lui, e poi si inizia a girare nel labirinto.

I labirinti di Krarth ha una bella atmosfera, una trama tutto sommato semplice ma efficace, ed è appassionante nel suo svolgimento.
Quanto al regolamento di Blood sword, funziona bene, pur essendo un po’ più complicato e impegnativo della media dei librogame, altrimenti più snelli.
La storia è godibile singolarmente, ma è nel gioco multiplo che l’avventura dà il meglio di sé.

Un ultimo appunto: dato il grande apprezzamento riscosso ai suoi tempi da Blood sword, essa è una delle poche serie con cui sta rinascendo l’interesse per i librigame: dopo decenni di assenza (che hanno reso piuttosto costosi i vecchi librogame EL nel mercato dell’usato) son stati già ristampati Lupo Solitario, Blood sword e Dimensione avventura e in attesa c’è Sortilegio. Non male.

Appuntamento dunque al secondo volume della serie, Il regno di Wyrd (giacché questa è una delle poche serie che mi sono tenuto dopo aver venduto la mia ampia collezione di librogame EL).

Fosco Del Nero


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mag16

Titolo: Jude l’oscuro (Jude the obscure).
Scrittore: Thomas Hardy.
Genere: drammatico, sentimentale.
Editore: Newton Compton.
Anno: 1895.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui


Avevo a casa da decenni, ormai, il romanzo Jude l’oscuro, scritto da Thomas Hardy nel 1895. Probabilmente, da ragazzino, mi aveva attirato l’aspetto “oscuro” e ribelle promesso dal titolo e dalla sua fama, salvo poi non avermi mai chiamato alla lettura.

Alla quale ho proceduto ora, un po’ per curiosità e un po’ per chiudere finalmente quel portoncino rimasto aperto per così tanto tempo.

I risultati sono stati altalenanti, in tutto: intanto, il romanzo non mi ha catturato granché all’inizio, forse per l’eloquio al contempo naif e formale del periodo vittoriano, salvo poi riprendersi in seguito, una volta che gli eventi si sono “messi in moto” con una certa intensità… per poi infine precipitare nel suo finale davvero poco incoraggiante, il quale sembra quasi confermare la morale del tempo, piuttosto che smentirla come il testo aveva sembrato fare sino a poco prima della sua conclusione.

Passiamo alla trama sommaria: Jude Fawley vive in una regione immaginaria dell’Inghilterra occidentale, in un piccolo borgo. Sin da bambino sogna di elevarsi culturalmente e socialmente, fino a diventare un sacerdote, un curato o qualcosa di affine. A tal scopo, impegna molto del suo tempo libero nello studio dei sacri testi, del latino e di tomi religiosi, per prepararsi a quando potrà far domanda di ammissione in qualche collegio religioso… possibilmente nella città di Christminster (una sorta di Oxford), da lui lungamente e ampiamente sognata e idealizzata (pur se mai “corrisposto” in tal senso).

Nel mentre, porta avanti piccoli lavori, divenendo un abile scalpellino e sposando Arabella, per poi scoprire assai presto che si è trattato di un matrimonio di pessima fattura: lei è troppo rozza e materiale per i suoi gusti, mentre sua cugina Sue si dimostra assai più affine a livello di animo.
Ma a quel punto lui ha alle spalle un matrimonio con separazione, mentre la cugina viene corteggiata dall’anziano maestro Phillotson, vecchio insegnante di Jude stesso.

Un commento di fondo sulla trama: nel periodo di uscita del romanzo, fu giudicata, dagli ambienti religiosi e “per bene”, immorale… laddove al giorno d’oggi non smuoverebbe nemmeno il più fervente dei parroci, anche perché, a ben guardare, quello che è stato dipinto come un “romanzo immorale” è in verità una sorta di trattato sulla morale, senza alcunché di scabroso e, anzi, molte pontificazioni e molti sforzi di elevazione e impegno personale (pur se, a conti fatti, vanificati in ogni direzione, in omaggio alla morale del tempo, che in pratica schiaccia tutto il resto, compresi amore, affinità elettive, senso della giustizia e del decoro).

Credo che non leggerò mai più Jude l’oscuro: pur essendo molto intenso e appassionante a tratti, si perde parecchio nella sua componente morale-religioso-filosofica, per poi presentare al lettore una sorta di conto karmico davvero poco bello a vedersi. In effetti, il romanzo di Hardy se la gioca come uno dei finali più tristi e scoraggianti che abbia mai letto in un libro... contrariamente alla fama di "ribelle" che ha il romanzo, il quale ha comunque oggettivamente il suo valore (e narrativo e di memoria storica).

Fosco Del Nero


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apr11

Titolo: La prosivendola (La petite marchande de prose).
Scrittore: Daniel Pennac.
Genere: commedia, giallo.
Editore: Feltrinelli.
Anno: 1990.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


Avevo già letto un romanzo di Daniel Pennac, ossia Il paradiso degli orchi, valutandolo discretamente bene. Perciò, oramai molti anni fa, avevo comprato un altro libro dell’autore francese, e della medesima saga, quella dedicata a Benjamin Malaussène: La prosivendola.

Anche se, a onor del vero, questo è il terzo romanzo della saga, mentre il secondo è La fata carabina.
Ogni libro è comunque indipendente, per cui non serve aver letto anche gli altri.

L’impatto con La prosivendola tuttavia non è stato dei migliori: ho provato a iniziarlo due volte, fermandomi entrambe a poche pagine dall’avvio, per riprendere il cimento in tempi recenti, stavolta motivato a terminare il testo.

C’è l’ho fatta, ma con una certa lentezza e poco entusiasmo.

Ecco la trama de La prosivendola: Benjamin Malaussène riceve una notizia poco gradita, ossia il venturo matrimonio della sorella minore Clara con un uomo enormemente più vecchio di lei, Clarence di Sant'Inverno. 58 anni dell’uomo contro i 18 della ragazza: normale che il fratello maggiore non veda la cosa di buon occhio.

La questione sembra esser messa da parte quando l’uomo, direttore di un carcere, viene brutalmente assassinato, nello stesso carcere, ma si riapre nel momento in cui Clara dichiara di essere incinta… e soprattutto quando Benjamin rimane vittima di un attentato, che sembra essergli stato fatale, cosa che farà reagire i suoi numerosi cari in modi diversi.

La fidanzata Julie, in particolare, sembra trasformarsi in una sorta di vendicatore mascherato, che uccide tutti quelli che reputa colpevoli della morte dell’amato.

La prosivendola è certamente un testo vivace: è vivace l’eloquio di Pennac, ricco e colorato, ed è vivace la trama, piena di eventi, più o meno grotteschi e più o meno credibili. Di fatto siamo di fronte a una mistura tra una commedia e un giallo.

Tuttavia, se devo essere onesto, si tratta di una mistura che non mi ha appassionato, che anzi mi ha lasciato indifferente e che ho portato a termine più per dovere che per piacere.

Anche la lettura de Il paradiso per gli orchi, a suo tempo, non mi fu immediata: iniziato, interrotto, ripreso e poi terminato. La differenza con La prosivendola è che, alla fine della fiera, il primo mi è piaciuto più del secondo libro, che a dire il vero per larghi tratti mi ha annoiato, da cui la valutazione mediocre. 

La prosivendola a parte, evidentemente Pennac non mi è molto congeniale come scrittore.

Fosco Del Nero


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mar28

Titolo: Lo scrittore mago.
Scrittore: Loretta Sebastianelli.
Genere: saggistica, scrittura.
Editore: Uno Editori.
Anno: 2018.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


Sarò sincero: ho acquistato Lo scrittore mago, testo saggistico di Loretta Sebastianelli, esclusivamente perché l’ho visto in vendita a 1 euro in un negozio online presso il quale stavo già effettuando un ordine.

I due motivi aggiuntivi che mi hanno spinto all’acquisto sono stati il titolo, il quale faceva intendere un processo di scrittura originale, e anzi dalla tendenza interiore e profonda (unitamente all’editore, che si occupa di crescita personale) e il fatto che l’argomento della scrittura mi interessa per definizione, essendo io stesso uno scrittore.

Forse quest’ultimo punto è stato quello decisivo per farmi valutare Lo scrittore mago in modo non troppo elogiativo, nel senso che ho trovato scontati quasi tutti i contenuti dell’opera, nonché tendenzialmente mentale-cerebrale lo stile e l’energia di fondo.

Nel dettaglio, le citazioni di cui l’autrice si avvale a completamento del suo discorso confermano questo secondo punto... come dico sempre, parafrasando un noto proverbio: "dimmi chi citi e ti dirò chi sei".

Il sottotitolo, che prometteva una “guida pratica al processo alchemico per trovare la tua vera voce creativa” l’ho trovato piuttosto eccessivo e, in definitiva, il testo non fa che elencare alcuni punti, corredandoli di alcune argomentazioni ed esercizi, spesso banali i primi e i secondi.

Ma forse, sarò sincero anche qui, sono eccessivamente critico nei confronti dell’opera recensita, dal momento che probabilmente essa si rivolge a chi non hai mai scritto, o lo ha fatto in modo incerto, e non a chi di libri ne ha già scritto una ventina… e che non ha alcun problema di struttura o di blocco creativo (almeno, finora).

In effetti, molti dei punti esposti li osservo anche io (compreso il principio della “creatività all’interno di una struttura”)… il che vuol dire che li apprezzo e li ritengo validi.

Diciamo che dai suddetti titolo e sottotitolo, nonché dalla pubblicazione dell’editore in questione, mi attendevo un’opera davvero “magico-alchemica”, cosa che Lo scrittore mago assolutamente non è… pur essendo probabilmente utile a livello di consigli e di sprone per i neofiti della scrittura.

In questo caso, l’autrice mi perdoni di aver valutato il testo dal mio punto di vista.

Fosco Del Nero


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mar15

Titolo: Asutra - Ciclo di Durdane 3 (The asutra).
Scrittore: Jack Vance.
Genere: fantascienza, avventura.
Editore: Euroclub.
Anno: 1973.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.


Dopo aver letto Il mondo di Durdane e Il popolo di Durdane, era scontato che giungesse anche la recensione di Asutra, il terzo e conclusivo romanzo del Ciclo di Durdane, scritto da Jack Vance all’inizio degli anni “70.

Purtroppo, se i primi due romanzi, pur se privi della profondità (interiore, coscienziale, spirituale) che personalmente vorrei vedere in qualunque testo, quale che sia il suo genere letterario, erano risultati dinamici e gradevoli, Asutra risulta solo dinamico e perde la freschezza dei primi due libri.

In verità, sembra più che altro una conclusione un po’ raffazzonata di quello che viceversa era cominciato come un ciclo avente una sua integrità e un suo fascino: in Asutra, invece, si perde praticamente tutto, con le cose che si fanno dispersive e davvero poco convincenti.

Ecco la trama sommaria di Asutra: dopo aver spodestato l’Anome (primo libro) e dopo aver scongiurato la minaccia dei Roguskhoi (secondo libro), Gastel Etzwane decide di andare alla fonte del problema, cercando di scoprire chi minaccia l’umanità di Durdane. Scopre che sono gli Asutra, una razza aliena capace di connettersi con un “ospite” orientandone il comportamento. Ci ha provato con l’umanità, e ancora prima ci aveva provato con la razza dei Ka, vivente in un altro pianeta.

Se il primo romanzo aveva come elemento centrale gli intrighi di palazzo e la strategia operativa, mentre il secondo la strategia bellica contro i barbari invasori, il terzo si dedica ad astronavi, viaggi spaziali e combattimenti… un calo netto di qualità che onestamente non mi sarei atteso.

Ma forse, banalmente, Vance non sapeva come far proseguire il ciclo oppure era intenzionato a chiuderlo il prima possibile. Lo stesso finale di Asutra lascia il tempo che trova, col personaggio che, ancora una volta, sembra non sapere cosa fare della propria vita.

Insomma: bene il primo, bene il secondo, male il terzo.
Questo potrebbe essere il giudizio sintetico sul Ciclo di Durdane di Jack Vance, il quale è un buon autore quando indaga l’aspetto psicologico e sociologico dei personaggi e dei mondi che crea, ma che scivola nella mediocrità più assoluta quando si dedica all’azione e al mero dinamismo.

Fosco Del Nero


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feb29

Titolo: Il popolo di Durdane - Ciclo di Durdane 2 (The brave free man).
Scrittore: Jack Vance.
Genere: fantascienza, avventura.
Editore: Euroclub.
Anno: 1972.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui


Il popolo di Durdane è il secondo romanzo del Ciclo di Durdane, di Jack Vance.
Se ho letto anche il secondo libro è stato per due motivi: il primo è che il primo romanzo, Il mondo di Durdane, mi è piaciuto; il secondo è che avevo la trilogia completa in un unico tomo… 

… una cosa molto comoda quando il primo libro ti piace, ma decisamente meno intelligente se l’acquisto non è stato azzeccato.

Con Jack Vance non dico che si va sul sicuro, ma quasi, per cui l’acquisto è andato in porto con buon esito.

Veniamo a Il popolo di Durdane: Gastel Etzwane, messo da parte l’Anome e acquisito in qualche modo un potere quasi assoluto, si dedica anima e corpo alla ristrutturazione delle forze di Shant al fine di debellare la pericolosa minaccia dei Roguskhoi, una misteriosa popolazione fisicamente molto dotata e caratterialmente molto distruttiva, che devasta, uccide e stupra in ogni luogo.

Egli sarà così alle prese sia con le periferie dello stato, spesso poco inclini a partecipare all’azione militare, sia con i giochi di palazzo, tra tradimenti e presunti tali.

Il romanzo è lungo come il suo predecessore, appena una decina di pagine in più, e la cosa non probabilmente casuale. Vance è dinamico e caratterizza bene… ma senza esagerare.
Anche i suoi contenuti sono interessanti… ma senza esagerare.

Il pubblico cui si rivolge è un pubblico curioso, discretamente colto e di ampie vedute… ma nulla di più.

Anche i suoi romanzi, o quantomeno quello che ho letto finora, compreso il Il popolo di Durdane, si presentano di buon valore, pur senza arrivare allo stato dell’arte o all’opera particolarmente profonda.

Vance, come autore, sa comunque il fatto suo.

Chiuderò la trilogia con Asutra, il terzo e ultimo libro del Ciclo di Durdane.

Fosco Del Nero


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